Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23462 del 26/08/2021

Cassazione civile sez. III, 26/08/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 26/08/2021), n.23462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 38283-2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avv.to PASQUALE SPINICELLI

(avv.pasqualespinicellilegalmail.it) elettivamente domiciliato in

Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria Centrale della Corte di

Cassazione;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. 688/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 11/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.A., proveniente dal (OMISSIS), ricorre affidandosi ad un unico motivo per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Perugia che aveva rigettato l’impugnazione avverso la pronuncia del Tribunale con la quale era stata respinta la domanda di protezione internazionale da lui avanzata, in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere stato costretto a lasciare il proprio paese per lo stato di estrema povertà ed indigenza in cui era stato costretto a vivere sin da bambino nel proprio villaggio di origine, temendo per la propria incolumità personale in caso di rimpatrio.

2. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 CEDU, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, 11,28, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 ed art. 8, comma 3 e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 5, nonché dell’art. 115 e 116 c.p.c..

1.1. Assume, al riguardo, che la decisione della Corte, in punto di protezione umanitaria non aveva tenuto conto della sua vulnerabilità, esclusa apoditticamente senza alcuna valutazione della vicenda narrata alla quale doveva essere ricondotta, né delle conseguenze che avrebbe subito in caso di rimpatrio in condizione di indigenza tale da configurare una povertà inemendabile.

1.2. Lamenta inoltre:

a. che non era stata affatto valutata la sua integrazione in Italia, dimostrata attraverso la produzione di un contratto di lavoro che si era protratto nel tempo, la cui consistenza non era stata affatto valutata dalla Corte territoriale che ne aveva apoditticamente escluso la rilevanza.

b. che era stato disatteso quanto predicato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, non essendo state acquisite informazioni sul livello di tutela dei diritti fondamentali nel paese di origine.

1.3. Il motivo è fondato.

1.4. Deve premettersi che la censura, ricondotta al vizio di violazione di legge, deve essere riqualificata con riferimento al vizio di motivazione apparente di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in quanto, al di là della rubrica, le argomentazioni ad essa sottese denunciano una motivazione apparente, con la quale – in assenza di ogni riferimento a C.O.I. attendibili ed aggiornate – è stato escluso apoditticamente che ricorressero i presupposti delle varie forme di protezione invocata, senza articolare il giudizio di comparazione predicato dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di protezione umanitaria (cfr. Cass. 4455/2018; Cass. 29459/2019): la motivazione resa, quindi, è al disotto della sufficienza costituzionale, senza accertare alcunché sul paese di origine e sulle specifica situazione dedotta – e cioè l’esistenza di una povertà inemendabile tale da compromettere anche il diritto all’alimentazione – a apoditticamente escluso la rilevanza dell’integrazione vantata e della vulnerabilità dedotta, in relazione all’indigenza vissuta ed alla povertà inemendabile alla quale il rimpatrio potrebbe esporre il ricorrente.

1.5. Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di affermare che “in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, oltre che a quella vissuta nel paese di transito, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione”(cfr. Cass.13079/2019; Cass. 8571/2020; Cass. 20642/2020; Cass. 198/2021).

1.6. I giudici d’appello non hanno osservato i principi sopra richiamati: la sentenza, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, per il riesame della controversia, in relazione al motivo accolto, alla luce del principio di diritto teste’ richiamato e di quelli che seguono:

“secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato; peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire”;

“il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di violazione di legge”;

“il riferimento alle fonti ufficiali aggiornate, attendibili e specifiche rispetto alla situazione individuale dedotta configura un dovere del giudice che giammai potrà determinare una inversione, a carico del richiedente, dell’onere postulato dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3”.

2. La Corte di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte,

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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