Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23461 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 17/11/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 17/11/2016), n.23461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28016/2014 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO FRANCIA

178, presso lo studio dell’avvocato PIERO MANCUSI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA PERSICO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA EDILIZIA MONTE CERVINO SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5466/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

9/10/2013, depositata il 15/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito l’Avvocato Antonella Persico difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. E’ stata depositata in Cancelleria la seguente relazione: “Il consigliere relatore, letti gli atti depositati, rilevato che M.F., con atto spedito per la notifica postale in data 19 novembre 2014, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 5466/13, depositata il 15 ottobre 2013, con cui la Corte d’Appello di Roma ha respinto la sua domanda di revocazione delle sentenze n. 1072/95 e n. 2993/08 emesse dalla stessa Corte distrettuale nei confronti della Cooperativa Edilizia Monte Cervino s.r.l. (con le quali erano stati confermati, rispettivamente, il rigetto della impugnazione avverso il provvedimento del Collegio dei Probiviri di conferma della delibera di esclusione del M. dalla compagine sociale e la declaratoria di decadenza del medesimo dal diritto alla restituzione della quota sociale), condannando anche l’odierno ricorrente al pagamento della somma di Euro 3.000,00 a titolo di ristoro dei danni non patrimoniali prodotti alla suddetta cooperativa a norma dell’art. 96 c.p.c.;

che l’intimata Cooperativa Edilizia Monte Cervino s.r.l. non ha svolto difese;

considerato che con il primo motivo di ricorso il M. lamenta la nullità della sentenza asserendo la mancanza della sottoscrizione da parte del giudice in quanto la sentenza recherebbe la firma di ” M.S.” in luogo di quella di ” D.M.S.”, consigliere risultante dall’epigrafe estensore della sentenza;

Che con il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., nn. 3 e 4, poichè la corte d’appello, nel respingere la domanda di revocazione della sentenza n. 2993/08 per errore consistente nell’avere la corte basato la sua decisione sulla esistenza della Delib. del Consiglio di Amministrazione di esclusione del M. dalla qualità di socio -che invece non era in atti nè gli era mai stata notificata-, avrebbe fondato la sua decisione sulla effettiva presenza in atti non della delibera bensì della sua comunicazione al ricorrente;

Che con il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., poichè: a) nell’imputargli una colpa grave per aver basato la sua impugnazione su documentazione completamente estranea all’oggetto del giudizio di specie, la Corte d’Appello non avrebbe indicato tale documentazione delineando un difetto assoluto di motivazione; b) la Cooperativa non avrebbe mai allegato e dimostrato il danno non patrimoniale da essa sofferto;

che il quarto motivo di ricorso censura la condanna del ricorrente alle spese, della quale il ricorrente chiede la cassazione con la condanna della controparte o in subordine la compensazione;

ritenuto che il primo motivo di ricorso appare infondato in quanto, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, la sottoscrizione apposta dal giudice estensore svolge le necessarie funzioni identitarie e di riferibilità soggettiva, supportato nel caso specifico da elementi come l’indicazione del relatore nella intestazione della decisione, che permettono la identificazione tra segno grafico ed indicazione nominativa (cfr. Cass. n. 7713/02, n. 28281/11);

che la doglianza di cui il secondo motivo di ricorso appare, da un lato, inammissibilmente priva del necessario supporto chiarificatore in ordine allo svolgimento del processo ed all’esatto contenuto della sentenza del 2008 cui fa riferimento il motivo (il passo riportato in ricorso che ivi si dice essere stato impugnato per revocazione non appare affatto costituire fondamento della decisione stessa, trattandosi di un riassunto della precedente sentenza del 1995), dall’altro comunque priva di fondamento giacchè appare far riferimento ad un fatto (la esistenza in atti del documento contenente la Delib.) privo di rilevanza ai fini della decisione impugnata per revocazione, che pare aver preso in considerazione – e ritenuto provato attraverso un percorso logico insussumibile sotto la previsione dell’art. 395 c.p.c., n. 4 – il solo fatto della esistenza della delibera stessa;

che il terzo motivo di ricorso appare infondato relativamente ad entrambe le doglianze prospettate, atteso che: a) quanto all’asserito difetto assoluto di motivazione, la corte distrettuale pare aver esposto coerentemente le ragioni del proprio convincimento (cfr.: Cass. n. 8053/14), che del resto paiono trovare implicito riscontro nelle considerazioni espresse in sentenza circa l’infondatezza del ricorso (cfr. Cass. S.U. n. 20598/08; Sez. 6 n. 24531/10); b) quanto al danno, la corte distrettuale non pare essersi discostata dalla giurisprudenza, cui ha fatto peraltro espresso richiamo, di questa Corte di legittimità, secondo cui, nella normalità dei casi e secondo l’id quod plerumque accidit, ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali, causano ex se anche danni non patrimoniali che, per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa (cfr., Cass. n. 20995/11, n. 10606/10, n. 24645/07);

che il quarto motivo di ricorso appare inammissibile, non esponendo specifica censura avverso la pronuncia sulle spese;

ritiene pertanto che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio a norma dell’art. 380 bis c.p.c., per ivi, qualora il collegio condivida i rilievi che precedono, essere rigettato”.

2. All’esito della odierna adunanza camerale, il Collegio, esaminate le difese del ricorrente (che ha anche depositato memoria illustrativa), condivide integralmente le considerazioni esposte nella relazione, avverso le quali il ricorrente non ha in effetti formulato replica alcuna nella relazione.

Il rigetto del ricorso si impone dunque, senza provvedere sulle spese non avendo parte intimata svolto difese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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