Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23459 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. I, 26/10/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 26/10/2020), n.23459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10013/2019 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Panama 18,

presso lo studio dell’avvocato Pieri Marco, rappresentato e difeso

dall’avvocato Bonifati Gianluigi, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– imputato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 21/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/07/2020 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ricorso depositato il 3.5.18 D.A., cittadino della (OMISSIS), impugnò il provvedimento della Commissione territoriale, che aveva respinto la domanda di protezione internazionale, innanzi al Tribunale di Milano che, con decreto del 21.2.19, ha rigettato il gravame, osservando che: non sussistevano i presupposti della protezione internazionale poichè il racconto del ricorrente poteva dirsi plausibile con riferimento ai riferiti contrasti di carattere familiare sorti dopo la morte della madre, quando era andato a vivere con la seconda moglie del padre che mal sopportava il ricorrente in assenza del marito e che aveva tentato di allontanarlo anche con accuse pretestuose (connesse a sospetti rapporti con la sorellastra e a furti ai danni delle amiche); non ricorrevano i presupposti della protezione sussidiaria, nè in ordine al pericolo di un danno grave alla persona, nè riguardo alla situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, come desumibile dai report internazionali acquisiti; era da escludere anche la protezione umanitaria per l’insussistenza di condizioni individuali di vulnerabilità, non essendo a tal fine sufficienti le esperienze lavorative maturate dal ricorrente nell’ambito dell’accoglienza in Italia.

D.A. ricorre in cassazione con unico motivo.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

CHE:

L’unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. In particolare, il ricorrente si duole che il Tribunale non abbia riconosciuto il permesso umanitario, valutando la persistenza delle condizioni di vulnerabilità personali, attraverso la comparazione delle condizioni di vita godute in Italia, considerando l’attività lavorativa svolta, con quelle in cui il ricorrente verserebbe in caso di rimpatrio, essendo peraltro orfano e privo di parenti.

Il motivo è inammissibile. Va premesso che, secondo l’orientamento di questa Corte – cui il collegio intende dare continuità – ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, il giudice è chiamato a verificare l’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, anche esercitando i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, ma è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., n. 13573/2020; n. 7622/2020).

Nella fattispecie, il ricorrente non ha allegato condizioni specifiche, individuali, di vulnerabilità, limitandosi a lamentare genericamente che la situazione socio-economica e sanitaria del paese d’origine non consente un livello sufficientemente adeguato di vita.

Invero, la doglianza è sostanzialmente fondata sul richiamo delle varie norme senza alcun concreto riferimento alla condizione individuale del ricorrente, se si eccettua il riferimento all’esperienza lavorativa che, di per sè, è irrilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (SU n. 29459/19: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello d’integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato).

Nulla per le spese, atteso che il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione, senza presentare controricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

 

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