Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23459 del 26/08/2021

Cassazione civile sez. II, 26/08/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 26/08/2021), n.23459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9731-2016 proposto da:

AZIENDA ELETTRICA CASIES SRL, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo

studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ARTHUR FREI;

– ricorrente –

contro

MAIBACH SRL, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA A. VALLISNERI, 11, presso lo studio dell’avvocato

CHIARA PACIFICI, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati CLEMENTI HELMUT, HANS-MAGNUS EGGER;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 175/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI di

BOLZANO, depositata il 15/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:

– la s.r.l. Maibach agì in “negatoria servitutis” nei confronti dell’Azienda Elettrica Casies società cooperativa avuto riguardo all’esistenza nel sottosuolo del fondo di proprietà dell’attrice di condotte, attraverso le quali la convenuta utilizzava acque per produrre energia elettrica; quest’ultima affermò, in via principale, la sussistenza di servitù consensuale e, in subordine, avanzò domanda di servitù coattiva d’acquedotto;

– il Tribunale dichiarò la libertà del fondo attoreo e condannò la convenuta alla rimozione dei tubi e al risarcimento del danno;

– la Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, rigettò l’impugnazione dell’Azienda Elettrica;

ritenuto che avverso la statuizione di secondo grado l’insoddisfatta appellante propone ricorso per cassazione sulla base di unitaria censura e che l’intimata resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria;

ritenuto che la ricorrente denunzia violazione degli artt. 1033,1034 e 1037 c.c., artt. 100,115 e 183 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, evidenziando i seguenti profili di doglianza:

– la Corte locale aveva fatto cattiva applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9685/2013, stante che qui non ricorreva la necessità della partecipazione “al processo dei proprietari di altri fondi frapponentesi tra quello supposto intercluso e la via pubblica”, poiché “tra il fondo asservito di Maibach e quello su cui insiste la centrale elettrica non sono frapposti altri fondi”;

– non poteva estendersi analogicamente il regime normativo modellato sull’art. 1051 c.c. all’art. 1037 c.c., poiché “in materia di servitù di acquedotto l’art. 1037 c.c. si limita a stabilire che chi vuol fare passare le acque sul fondo altrui deve dimostrare che può “disporre” dell’acqua durante il tempo per cui chiede il passaggio, mentre non rileva affatto che il collegamento venga realizzato dall’utente finale alla sorgente”;

– l’art. 1037 in parola “con l’espressione “disporre dell’acqua” (…) intende riferirsi a qualsiasi rapporto sia di natura reale (proprietà, enfiteusi, usufrutto, superficie) sia di natura obbligatoria (come somministrazione, locazione-conduzione etc.) di godimento dell’acqua, nonché a qualsiasi tipo di utilizzazione dell’acqua, per effetto di concessione o riconoscimento di utenze pubbliche da parte della p.a.”;

– non controverso che la ricorrente non è titolare di servitù di acquedotto sugli altri fondi, e’, tuttavia pacifico che la condotta forzata alimenta da oltre trent’anni una centrale elettrica e che la convenuta già con la comparsa di risposta aveva affermato la legittimità dell’occupazione dei fondi attraversati, così facendo valere titoli obbligatori, che trovavano conferma nella Delib. Consiglio comunale 23 settembre 1981, nel mentre avverso tale prospettazione la controparte non aveva dedotto alcunché tempestivamente (solo tardivamente, con le repliche di primo grado, aveva per la prima volta eccepito la mancanza di titoli legittimanti l’occupazione degli altri fondi);

considerato che la doglianza non è fondata, valendo quanto segue:

a) la Corte locale, in particolare, facendo applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 9685/2013, afferma che la domanda meritava rigetto perché formulata solo nei confronti di uno dei proprietari dei fondi interessati dal percorso, difettando, quindi, come chiarito dalle Sezioni Unite, la “essenziale condizione dell’azione che consiste nella “possibilità giuridica” – ossia nella sia pure solo astratta corrispondenza della pretesa accampata in giudizio a una norma che le dia fondamento – poiché il bene della vita reclamato dall’attore non gli è accordato dall’ordinamento”;

ai) il discrimine disegnato dalla ricorrente tra la servitù prediale e quella di acquedotto, al fine che qui rileva, non persuade, infatti: così come per la servitù prediale, anche per quella di acquedotto, si tratta di assicurare per la sua interezza il percorso che, in questo caso, conduce dalla fonte alla centrale idroelettrica;

– non assume significato dirimente la circostanza, enfatizzata col ricorso, che il fondo di cui trattasi sia l’ultimo, poiché a immediata valle di esso è collocata la centrale elettrica dell’azienda elettrica e non il primo o uno di mezzo: quel che rileva è che l’acquedotto, senza soluzione di continuità, che lo renderebbe inutile, giunga dalla fonte a destinazione (nel caso alla centrale idroelettrica);

– in definitiva, trattasi di conclusione, “mutatis mutandis”, perfettamente identica a quella che si verifica per le servitù prediali, occorrendo che su tutto il percorso il fondo aspirante dominante abbia titolo per il transito;

a2) non può, inoltre, condividersi la tesi secondo la quale purché il passaggio per gli altri fondi sia di fatto in essere la servitù coattiva sarebbe utilmente riconoscibile; il ragionamento va fatto esattamente al contrario: in tanto è utile la costituzione del diritto reale di servitù in quanto analogo diritto possa costituirsi per tutti i tratti interessati dalla condotta, diversamente si tratterebbe di un riconoscimento monco e inutilmente lesivo del diritto di un solo proprietario (questo il senso della sentenza delle S.U., sopra richiamata);

b) non sussiste la supposta violazione processuale perché, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, l’art. 115 c.p.c. qui non entra in gioco, stante che non era dato sapere quali fatti l’attrice avrebbe dovuto contestare, senza contare che, per stessa ammissione in ricorso, quei fatti non conducono alla sussistenza di diritti reali di passaggio delle condutture sugli altri fondi interessati.

Diritto

CONSIDERATO

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, enunciandosi il seguente principio di diritto:

“sussistendo la medesima “ratio”, in materia di servitù coattiva d’acquedotto vale il principio enunciato dalla Sezioni unite, con la sentenza n. 9685/2013, secondo il quale l’azione di costituzione coattiva di servitù di passaggio deve essere contestualmente proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all’accesso alla pubblica via; né, al fine è bastevole alla parte istante allegare che su tutte le altre tratte o su talune di esse, il passaggio avvenga precariamente”;

considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 2.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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