Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23459 del 10/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 10/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 10/11/2011), n.23459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

EQUITALIA GERIT s.p.a. – Agente della Riscossione per la Provincia di

Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata

e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso,

dall’Avv. PURI PAOLO ed elettivamente domiciliata presso il suo

studio in Roma, via XXIV Maggio, n. 43;

– ricorrente –

contro

V.P., rappresentato e difeso, in virtù di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. VALCHERA MANLIO ed

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via del

Pozzetto, n. 117;

– controricorrente –

e

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 24942 del

2009, depositata il 1 dicembre 2009 (non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14 ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito l’Avv. Paolo Puri per la ricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VIOLA ALFREDO POMPEO, che ha concluso: “nulla

osserva”.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 20 aprile 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “Con sentenza n. 24942 del 2009 (depositata il 1 dicembre 2009) il Tribunale di Roma accoglieva l’appello proposto da V.P. nei confronti della s.p.a. Equitalia Gerit e del Comune di Roma avverso la sentenza n. 3987/2007 del Giudice di pace di quella stessa città e, in riforma di quest’ultima sentenza, dichiarava la nullità della cartella esattoriale impugnata, condannava la citata Equitalia (subentrata alla MPS) a restituire all’appellante la somma di Euro 251,24 (quale importo corrisposto dal V. in dipendenza di preavviso di fermo amministrativo) e condanna la stessa società, in solido con il Comune di Roma, alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.

La suddetta s.p.a. Equitalia Gerit ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 6 settembre 2009 e depositato il 20 settembre successivo) nei riguardi della richiamata sentenza di appello (non notificata) formulando tre motivi, evidenziando, in via preliminare, che il ricorso nella sede di legittimità era stato formulato al fine di ottenere l’annullamento della decisione impugnata limitatamente alla disposta sua condanna al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi della controversia. Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata assumendone la nullità nella parte relativa alla condanna alle spese di giudizio di essa società quale concessionario della riscossione per violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione agli artt. 3, 24 e 24 Cost. (avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Con il secondo motivo la società ricorrente ha censurato la menzionata sentenza del Tribunale capitolino per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il terzo motivo la stessa ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza impugnata nella parte relativa alla condanna alle spese del Concessionario della riscossione per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, degli artt. 201 e 206 C.d.S., e con riferimento all’art. 3 Cost., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4).

Si è costituito in questa fase con controricorso l’intimato V.P., instando per il rigetto del ricorso, mentre non ha svolto attività difensiva l’altro intimato Comune di Roma.

Ritiene il relatore che sembrano sussistere, nella specie, le condizioni per la ravvisare la manifesta infondatezza del proposto ricorso con riferimento a tutti e tre i motivi formulati.

Si deve, in linea preliminare, rilevare che, con i tre formulati motivi, la società ricorrente, senza avanzare alcuna specifica censura avverso la pronuncia di accoglimento nel merito della domanda del V. da parte del Tribunale di Roma (anche con riguardo alla domanda di restituzione della sanzione indebitamente pagata), ha inteso contestare la legittimità della sua condanna alle spese, in via solidale con il Comune di Roma, sul presupposto della sua erronea ritenuta soccombenza in relazione al motivo per cui l’appello era stato accolto, riferibile ad un comportamento omissivo esclusivo del suddetto Comune.

Con riferimento al primo e al terzo motivo – che possono essere esaminati congiuntamente – si osserva che, sulla scorta dei sei motivi di ricorso dedotti originariamente con il ricorso dinanzi al giudice di pace, era stato richiesto l’annullamento della cartella esattoriale e della relativa ingiunzione di pagamento, sulla scorta di comportamenti asseriti come illegittimi posti in essere sia dal Comune di Roma e che dal Concessionario esattoriale, i quali, perciò, erano stati evocati in giudizio entrambi, ciascuno per il rispettivo titolo e per la conseguente conformazione all’eventuale pronuncia di annullamento domandata, con la loro necessaria partecipazione all’instaurato giudizio. In dipendenza del successivo sviluppo in secondo grado, l’attuale controricorrente aveva proposto anche la domanda restitutoria nei confronti della società Equitalia con riguardo all’importo corrisposto per la sanzione (al fine di evitare il fermo amministrativo) ove ritenuta illegittima, domanda questa che il Tribunale di Roma, con la sentenza impugnata in questa sede, ha accolto nei confronti della suddetta società oltre a quella principale di annullamento della cartella impugnata. Orbene, sulla scorta dell’impostazione della domanda originaria e del contenuto dell’appello in relazione allo svolgimento della vicenda processuale, non può mettersi in dubbio che il concessionario esattoriale fosse legittimato passivo nella introdotta controversia, avendo, peraltro, questa Corte (v. Cass. n. 24154/2007) statuito che, in sede di opposizione a cartella esattoriale, emessa per il pagamento di sanzione amministrativa, è consentito all’intimato, qualora si deduca la mancata notifica del verbale di accertamento dell’infrazione o dell’ordinanza – ingiunzione irrogativa della sanzione, contestare per la prima volta la validità del titolo esecutivo, onde, in tal caso al soggetto esattore deve riconoscersi, insieme all’ente impositore titolare della pretesa contestata, la concorrente legittimazione passiva, con la conseguenza che l’opposizione deve essere proposta anche nei confronti del medesimo esattore, che ha emesso la cartella esattoriale ed al quale va riconosciuto l’interesse a resistere anche per gli innegabili riflessi che un eventuale accoglimento dell’opposizione potrebbe comportare nei rapporti con l’ente, che ha provveduto ad inserire la sanzione nei ruoli trasmessi ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 27, (specificandosi che, trattandosi d’ipotesi di litisconsorzio necessario, la mancata integrazione del contraddittorio può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo). Alla stregua di tale considerazione e della posizione da riconoscersi alla società concessionaria dei servizio di esattoria, oltre che della condotta dalla medesima tenuta con riguardo all’intrapresa procedura del preavviso di fermo che aveva indotto – pur in pendenza di opposizione giudiziale – il V. a pagare la sanzione, è indubbio, indipendentemente dalla circostanza che la domanda principale di annullamento sia stata accolta per omissioni pregresse riconducibili all’altro convenuto Comune di Roma riferibili alla notificazione del verbale di accertamento, che la società oggi ricorrente abbia comunque resistito al giudizio (adottando anche una condotta extraprocessuale ulteriormente lesiva della sfera giuridica dell’ingiunto), facendo valere ragioni contrarie a quelle del ricorrente in primo grado e poi appellante, risultando specificamente soccombente sulla indicata domanda restitutoria accolta in sede di gravame (indipendentemente dalla correttezza o meno di tale statuizione quanto all’individuazione del soggetto passivamente legittimato, non valutabile in questa sede per effetto della mancata impugnazione sul punto della decisione del Tribunale di Roma). Del resto è risaputo che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 19456/2008 e Cass. n. 20335/2004), la soccombenza costituisce un’applicazione del principio di causalità, per il quale non è esente da onere delle spese la parte che col suo comportamento abbia provocato la necessità del processo, prescindendosi dalle ragioni – di merito o processuali – che l’abbiano determinata e dagli specifici motivi di rigetto della loro pretesa, oltre che delle rispettive posizioni processuali assunte da più convenuti ritenuti passivamente legittimati. Alla luce delle argomentazioni che precedono le violazioni dedotte con il primo e terzo motivo non sembrano sussistenti.

Con il secondo motivo risulta prospettato un vizio motivazionale della sentenza impugnata con riferimento alla rilevata soccombenza della società ricorrente ritenuta ingiusta in relazione all’intervenuto accoglimento dell’appello per una condotta omissiva ricollegabile esclusivamente al Comune di Roma.

Come si è già visto, però, la condanna alle spese in via solidale della società concessionaria (odierna ricorrente), disposta in sede di gravame, appare come una logica conseguenza dei principi precedentemente esposti e, quindi, come una conseguenza della condotta processuale ed extraprocessuale della stessa, nonchè quale effetto ineludibile della pronuncia (incontestata sul punto) di condanna della medesima Equitalia Gerit s.p.a. in proprio alla restituzione di quanto indebitamente percetto in virtù dell’illegittima sanzione irrogata al V. e della conseguente esecuzione esattoriale intrapresa in suo danno. Pertanto, avendo il giudice di appello, accolto l’impugnazione nei confronti di entrambi gli appellanti, esso ha fatto corretta applicazione del principio generale della soccombenza previsto dall’art. 91 c.p.c., senza necessità di dover adottare in proposito una specifica motivazione.

Oltretutto, in tema di spese processuali, la giurisprudenza essenzialmente consolidata ha precisato che la, statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea, mentre in ogni altro caso e, in particolare, ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendone l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione, la statuizione è insindacabile in sede di legittimità, stante l’assenza di un dovere del giudice di motivare il provvedimento adottato, senza che al riguardo siano configurabili dubbi di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 111 Cost..

In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., ravvisandosi la possibile manifesta infondatezza del ricorso con riferimento a tutti e tre i motivi formulati”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, non cogliendo nel segno le deduzioni reiterate nella memoria difensiva dalla società ricorrente e dal suo difensore in sede di adunanza camerale, dovendosi riconfermare, in relazione alle argomentazioni compiutamente evidenziate nella suddetta relazione, la sussistenza della legittimazione passiva della stessa società concessionaria del servizio esattoriale (come, peraltro, sostenuto dalla più recente giurisprudenza di questa Corte) e l’emergenza della sua soccombenza con riferimento all’oggetto complessivo della controversia e al suo esito finale, culminato nella sentenza di appello con la quale è stata accolta una specifica domanda anche nei confronti della medesima odierna ricorrente;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese della presente fase in favore del controricorrente V.P., che si liquidano come in dispositivo, mentre non bisogna adottare alcuna statuizione al riguardo con riferimento alla posizione dell’altro intimato Comune di Roma, non costituitosi in questa fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore del controricorrente V.P., che si liquidano in complessivi Euro 500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2011

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