Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23458 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 17/11/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 17/11/2016), n.23458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26717/2013 proposto da:

M.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE LIEGI 58, presso lo studio dell’avvocato ROMANO CERQUETTI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO GIACOMELLI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALESSANDRO DE MURI giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 685/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 07/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA SCALDAFERRI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. E’ stata depositata in Cancelleria la seguente relazione: “Il consigliere relatore, letti gli atti depositati, rilevato che M.D. ha proposto ricorso per cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Trieste, depositata il 7 agosto 2013, che, in accoglimento dell’appello proposto da D.S.A., ha condannato essa ricorrente al pagamento dell’importo di Euro 26.089,00 (oltre interessi legali e spese processuali) quale credito sorto in seguito allo scioglimento della “AR & DO s.n.c.”, partecipata dalle parti con quote uguali;

che D.S.A. resiste con controricorso;

considerato che il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi; con il primo si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 201 c.p.c., in quanto il consulente tecnico d’ufficio officiato in appello, sulle cui risultanze risulta basata la sentenza impugnata, avrebbe illegittimamente considerato come prove le risultanze di una perizia giurata di parte appellante; con il secondo motivo si denuncia la violazione e errata applicazione dell’art. 61 c.p.c., in quanto, nonostante la scarsa documentazione contabile prodotta da controparte e la opposizione di essa appellata, la corte distrettuale aveva disposto consulenza tecnica d’ufficio, che non può essere un mezzo per supplire alla deficienza delle allegazioni o per avviare un’indagine volta ad accertare fatti non provati; che con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ed in particolare circa la reale sussistenza dei pagamenti che la D.S. assumeva di aver effettuato a proprie spese per estinguere i debiti della società e che fondavano il suo preteso diritto di regresso nei confronti dell’ex socia M., avendo quest’ultima contestato tali fatti;

ritenuto che il primo motivo di ricorso non pare meritevole di accoglimento, in quanto (pur prescindendo dalla verifica in ordine alla congruità in diritto del vizio rubricato) dalla sua illustrazione emerge la denuncia della omessa considerazione, da parte della corte distrettuale, di osservazioni critiche alla consulenza d’ufficio delle quali invece la corte non poteva tener conto essendo state svolte tardivamente in sede di comparsa conclusionale e di replica, come ammesso in ricorso (cfr. ex multis: Cass. Sez. 1 n. 3330/16; Sez. 1 n. 20636/13; Sez. 2 n. 7335/13);

che il secondo motivo appare inammissibile in quanto la ricorrente si limita ad affermare astrattamente il principio giuridico che assume essere stato violato, senza precisare come e per quali specifiche ragioni tale violazione ricorrerebbe nella specie (con riguardo al puntuale quesito trascritto in sentenza e/o al contenuto della consulenza);

che anche il terzo motivo appare inammissibile atteso che nè dalla sentenza impugnata nè dal ricorso risulta se e come la questione relativa alla prova dei pagamenti dei debiti sociali allegati dalla appellante fosse stata sollevata in grado di appello;

ritiene pertanto che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio a norma dell’art. 380 bis c.p.c., per ivi, qualora il collegio condivida i rilievi che precedono, essere rigettato”.

2. All’esito della odierna adunanza camerale, il Collegio, esaminate le difese delle parti (che hanno entrambe depositato memorie illustrative), condivide integralmente le considerazioni espresse nella relazione. Alle quali ritiene solo di aggiungere – viste le contestazioni espresse dalla ricorrente in memoria con riguardo al rilievo della inammissibilità del terzo motivo – il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare genericamente in ricorso (cfr., nella specie, pag. 15) l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare contestualmente in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675). Di qui il rilievo dell’inammissibilità del terzo motivo di ricorso, alla quale solo tardivamente la ricorrente ha inteso porre rimedio nella memoria da ultimo depositata ex art. 378 c.p.c..

Si impone dunque il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che si liquidano come in dispositivo; del pari si provvede a liquidare, a norma dell’art. 385 c.p.c. (cfr. Cass. n. 19544/15), le spese del procedimento ex art. 373 c.p.c., instaurato dalla odierna ricorrente dinanzi alla Corte d’appello di Trieste successivamente al ricorso (il che peraltro rende ammissibile la produzione successiva della relativa documentazione).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso in favore della controparte delle spese di questo giudizio, in Euro 3200,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi) oltre spese generali forfetarie e accessori di legge, nonchè delle spese del procedimento ex art. 373 c.p.c., che liquida in complessivi Euro 1.500,00 per diritti ed onorari oltre spese generali ed accessori di legge.

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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