Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23457 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 17/11/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 17/11/2016), n.23457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13795/2014 proposto da:

Y.O.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato NAZZARENA ZORZELLA giusta

procura speciale a margine del ricorso; (AMMESSO G.P.);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2140/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

29/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che è stato depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 13795/2014:

O.O., cittadino nigeriano, proponeva ricorso al Tribunale di Bologna avverso la decisione della Commissione Territoriale che aveva respinto la domanda di protezione internazionale dal medesimo avanzata. Alette conto rilevare che, nelle more del giudizio di primo grado, il ricorrente otteneva permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale accoglieva la domanda di O. con ordinanza del 29-31.05.2013, riconoscendo al richiedente lo status di protezione sussidiaria.

Il Ministero dell’interno, non costituitosi nel primo grado di giudizio, appellava l’ordinanza del Tribunale innanzi alla Corte d’appello di Bologna. O. si costituiva in giudizio con comparsa di costituzione e risposta, con la quale, per ciò che in questa sede ancora rileva, sollevava eccezione di inammissibilità del gravame per violazione degli artt. 163, 342 e 345 c.p.c., e confermava, nel merito, la bontà della decisione del primo Giudice.

La Corte territoriale, disattesa l’eccezione pregiudiziale e la difesa nel merito dell’odierno ricorrente, con sentenza n. 2140/2013 accoglieva l’appello del Ministero, negando ad O. il riconoscimento della protezione sussidiaria. Il Giudice d’appello fondava il suo convincimento sulla mancanza di un pericolo “individualizzante” rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, rilevando che neppure l’interpretazione estensiva della situazione meritevole di protezione ai sensi della lett. c) dell’art. 15 della Direttiva n. 2004/83/CE, fornita dalla Corte di Giustizia UE, permette di ricondurre all’istituto della protezione sussidiaria il caso di specie: il ricorrente, infatti, originario di uno stato nigeriano non oggetto di violenza indiscriminata, era fuggito dalla Nigeria in ragione dell’omicidio di alcuni parenti (sul quale, peraltro, la polizia locale aveva indagato, e di cui non sono mai stati accertati i motivi) e, comunque, anni dopo tale evento la madre del ricorrente, rimasta in Nigeria, lo rassicurava sull’essersi tranquillizzata la situazione (pag. 6 sentenza impugnata “… la quale nel 2008 gli ha detto che non c’erano stati più problemi, pur consigliandogli di non tornare a casa”).

Contro la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso in Cassazione Y.O.O., affidandosi ai seguenti motivi:

1. violazione artt. 112 e 132, c.p.c. e art. 118 disp. c.p.c. (art. 360, nn. 4 e 3); apparente motivazione su una eccezione di inammissibilità, per avere la Corte d’appello erroneamente respinto l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione sollevata da O., e comunque per aver fornito una motivazione meramente apparente a sostegno del rigetto dell’eccezione pregiudiziale, limitandosi a ritenere l’appello “(…)ammissibile, risultando sufficientemente integrati tutti i requisiti richiesti dall’art. 342 c.p.c.”. Peraltro, rileva il ricorrente:

– l’appello dell’Avvocatura dello Stato si risolve nel richiamo di una serie di pronunce giurisprudenziali, peraltro alcune delle quali aderenti a posizioni ormai superate, senza contestualizzare quanto in esse vi sarebbe di riferibile alla specifica vicenda;

– il gravame non contiene una diversa ricostruzione della specifica situazione fattuale rispetto a quella prospettata dal Tribunale, nè indica quali parti dell’ordinanza sarebbero errate;

– non è dato neppure atto da quale stato nigeriano provenga il ricorrente.

2. violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 14, D.Lgs. n. 23 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 CEDU; difetto di motivazione, travisamento fatti e omesso esame di fatti decisivi (art. 360, nn. 3 e 5), per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la situazione di pericolo descritta dal ricorrente non possa essere ricondotta al pericolo di un danno grave per la vita o l’incolumità, perchè di natura privata e perchè, comunque, non più attuale. In particolare, la Corte territoriale, ad avviso del ricorrente:

– avrebbe errato laddove ha preteso una qualificazione giuridica dei fiuti allegati da parte dal richiedente la protezione internazionale;

– avrebbe completamente omesso di prendere in considerazione la documentazione fornita dal ricorrente, in entrambi i gradi di merito, che attesterebbe che il pericolo che ha portato il ricorrente alla fuga dalla Nigeria è ancora attuale, e non, come sostenuto dal Giudice d’appello, ormai cessato,.

– avrebbe comunque errato a ritenere l’Ogun State, stato nigeriano di provenienza del ricorrente, come area non oggetto di violenze indiscriminate, atteso che il ricorrente aveva prodotto un avviso del Ministero degli Affari Esteri attestante l’accresciuta pericolosità del sud-ovest della Nigeria;

– avrebbe, in definitiva, dovuto conformarsi alla giurisprudenza della Corte di Giustizia (C 465 del 2007) secondo cui l’esistenza del pericolo di danno alla vita o all’incolumità può considerarsi provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione correrebbe” per la sola presenza sul territorio, un rischio effettivo che tale pericolo si concretizzi.

Il primo motivo è manifestamente fondato sotto entrambi i profili di censura. L’appello del Ministero non contiene alcun riferimento alle dichiarazioni del ricorrente, limitandosi ad un excursus normativo e giurisprudenziale di carattere generale. In particolare, nessuna considerazione viene svolta circa la precisa situazione di O.. Ne risulta un atto d’appello non riferibile specificamente alla pronuncia impugnata ma di natura sostanzialmente seriale. Peraltro, occorre rilevare che la giustificazione della specificità dell’appello contenuta nella sentenza impugnata è meramente apparente in quanto non risponde alla censura di genericità ma si limita a definire ammissibile l’appello “risultando sufficientemente integrati i requisiti richiesti dall’art. 342 c.p.c.” (pag. 3, ultime tre righe, provvedimento impregnato, da pag. 4 inizia la trattazione del merito del gravame).

Tale vizio è censurabile anche sotto la vigenza del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. sez. un. n. 19881 del 2014 “(…) In questa prospettiva, volontà del legislatore e scopo della legge convergono senza equivoci nella esplicita scelta di ridurre al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità. Ritorna così pienamente attuale la giurisprudenza delle Sezioni Unite sul vizio di motivazione ex art. 111 Cost., come formatasi anteriormente alla riforma del D.Lgs. n. 40 del 2006: il vizio si converte in violazione di legge nei soli casi di omissione di motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile, sempre che il vizio fosse testuale.

Assorbito il secondo motivo, qualora si condividano le suesposte considerazioni, si converrà sull’accoglimento del primo motivo di ricorso, e la nullità della sentenza impugnata”.

Il collegio condivide senza rilievi la relazione e per l’effetto accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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