Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23455 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. I, 26/10/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 26/10/2020), n.23455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2630/2019 proposto da:

A.Z., elettivamente domiciliato in Ascoli Piceno, presso

lo studio dell’avvocata Stefania Mariani, che lo rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/07/2020 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- A.Z., proveniente dalla terra della (OMISSIS), ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Ancona avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure di diniego di riconoscimento della protezione umanitaria.

Con decreto depositato il 18 dicembre 2018, il Tribunale adito ha rigettato il ricorso.

2.- Il decreto ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal richiedente non erano credibili, in quanti non circostanziate su fatti essenziali e determinanti l’espatrio, incoerenti e contraddittorie. Ha poi escluso la sussistenza di una situazione di conflitto armato e/o di violenza indiscriminati nel Paese di provenienza del richiedente, richiamando in particolare le notizie riferite da report EASO 2017 e dal report CRHRP del 217. Ha rilevato ancora che, nella specie, non sono emersi profili di vulnerabilità specifici alla persona del richiedente.

3.- Avverso questo provvedimento il richiedente ha presentato ricorso, articolando tre motivi di cassazione.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 4 Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, art. 10 Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, “in merito allo speciale regime probatorio vigente nella materia di che trattasi e agli ampi poteri/doveri di collaborazione posto in capo all’organo amministrativo prima, e al giudice poi, nell’esame della domanda di protezione internazionale”; col secondo motivo, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, “in relazione alla ritenuta insussistenza di esposizione a un danno grave in capo al ricorrente, nonostante questi fosse stato minacciato apertamente quanto alla propria incolumità personale e alla vita, in un contesto di violenza incontrollata da parte di privati cittadini e nella sostanziale inaffidabilità della protezione da parte di corpi di polizia e/o militari e/o paramilitari”; col terzo motivo, violazione dell’art. 4 Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, art. 19 Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 2 Cost., “in merito alla ritenuta insussistenza dei “seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionale dello Stato” per l’accoglimento dell’istanza di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

5.- Il ricorso è inammissibile.

5.1.- Il primo motivo, che dichiara di attenere in genere alla “richiesta di protezione internazionale, si snoda lungo una serie di considerazioni astratte, e anche disaggregate, sul tema dell’onere della prova nei giudizi di riconoscimento della protezione; su quella del dovere di collaborazione del giudice, sulla situazione politica, economica e sociale della Ghana; sul dovere del giudice di esaminare tale situazione anche con riferimento ai Paese in cui i richiedenti sono transitati; sul fatto che si manifesta discutibile che il “giudice possa decidere su COI acquisite autonomamente e che non sono state sottoposte al contraddittorio delle parti”. A un certo punto dell’esposizione, il motivo introduce anche un passaggio relativo alla materia della protezione umanitaria, assumendo che il “giovane guineano ha compiuto sinceri sforzi per cogliere tutte le opportunità che il sistema di accoglienza ha messo a sua disposizione”.

Il motivo difetta dunque, nelle sue”travi portanti: della specificità che è richiesta ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione.

In relazione, poi, all’unica censura che il motivo muove in termini puntuali al decreto anconetano, si deve rilevare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI assunte d’ufficio dal giudice a integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali” (Cass., 11 novembre 2019, n. 29056).

5.2.- Col secondo motivo, il ricorrente afferma in particolare che il giudice avrebbe dovuto accertare se le autorità ivoriane fossero effettivamente in grado di (o realmente volessero) offrire adeguata protezione al ricorrente”. Il ricorrente non indica, tuttavia, le ragioni per cui – a fronte del documentato esame della situazione politica, sociale ed economica del Ghana compiuto dal decreto impugnato rimarrebbe in discussione il punto segnalato.

5.3.- Il terzo motivo, che è dedicato al tema della protezione umanitaria, non individua profili di vulnerabilità che risultino specifici alla persona del richiedente. Nei fatti, il motivo si limita ad allegare, in termini generici, “l’accettabile livello di integrazione sociale raggiunto”, nonchè la diffusa povertà che si riscontra in Ghana e la cronica mancanza di prospettive occupazionali che si riscontra in tale Paese: “con riferimento al caso di specie si sarebbe potuto facilmente ipotizzare, in via prognostica e in caso di rimpatrio forzato, il rischio di lesione del diritto alla vita privata familiare, nonchè del diritto alla libertà di pensiero e di coscienza”.

6.- Non vi ha luogo provvedere sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

 

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