Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23455 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 24/05/2019, dep. 20/09/2019), n.23455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 992/2018 proposto da:

J.M.I., elettivamente domiciliato in Roma Viale Manzoni

81 presso lo studio dell’avvocato Emanuele Giudice che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2011/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2019 dal consigliere LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 7 novembre 2017) conferma la decisione adottata dal locale Tribunale, di rigetto del ricorso proposto dal cittadino del Bangladesh J.M.I., avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva respinto le richieste del ricorrente di protezione internazionale o di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente nel ricorso ha sostenuto di “aver lasciato il proprio Paese per motivi economici e perchè vessato dalla propria matrigna”;

b) tale condizione, quale descritta dall’interessato, non consente di accogliere la domanda di protezione internazionale;

c) in essa neppure è ravvisabile una delle situazioni di vulnerabilità atte a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che i motivi economici allegati non precluderebbero il rientro nel Paese di origine.

3. Il ricorso di J.M.I. domanda la cassazione della sentenza per due motivi, entrambi riferiti al diniego del premesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. Resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

5. La causa, già fissata all’adunanza camerale della Sesta Sezione civile di questa Corte è stata rimessa alla pubblica udienza di questa Prima Sezione con ordinanza interlocutoria n. 4637 del 2019, nella quale si è rilevato che: “non ricorrono le condizioni per la decisione camerale di Sesta civile e che è opportuno che la causa sia trattata in pubblica udienza di Prima Sezione”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

1.1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Preliminarmente si ricorda che dalla storia del ricorrente, come verbalizzata nel corso dell’audizione dinanzi alla Commissione Territoriale e confermata in entrambi i gradi del giudizio, risulta quanto segue: dopo la morte della madre, il padre si è risposato e la matrigna con i suoi familiari lo hanno maltrattato, anche con violenze fisiche, minacciandolo di morte, per escluderlo dalla successione del padre. Il richiedente ha quindi trovato rifugio nella famiglia della moglie che lo ha aiutato economicamente sia a curarsi (essendo malato di reni e del tutto indigente) sia ad espatriare. Così, dopo essere passato per la Libia dopo qualche tempo di ulteriori peregrinazioni e sofferenze, si è imbarcato per l’Italia.

Alla luce del suddetto racconto si contesta il rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari perchè basato sull’assunto secondo cui le situazioni di vulnerabilità da esso protette sarebbe soltanto quelle derivanti dalla necessità dello Stato italiano di rispettare obblighi costituzionali e internazionali, mentre tali situazioni costituiscono un “catalogo aperto” in base alla giurisprudenza di legittimità (si cita: Cass. n. 2566 del 2013).

In questa cornice possono essere presi in considerazione anche l’estrema povertà e il serio interesse ad integrarsi nel Paese ospitante, laddove “un ritorno non volontario in Bangladesh comporterebbe la perdita di opportunità apprezzabili sotto il profilo etico-giuridico”.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello espresso dubbi sulla verosimiglianza del racconto del richiedente senza considerare che, nel percorso istruttorio, la povertà non era l’unica ragione posta a base della domanda essendo stato rappresentato anche il violento conflitto familiare che ha provocato la sua espulsione dalla comunità di appartenenza.

II – Esame delle censure.

2. L’esame dei motivi di censura porta al rigetto del ricorso, per le ragioni di seguito esposte.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Con esso si sostiene che – diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello – il ricorrente avrebbe pieno diritto ad ottenere la protezione umanitaria perchè versa nella condizione di vulnerabilità in quanto: a) si trova in una situazione di estrema povertà; b) la sua vicenda familiare deve essere inserita all’interno del quadro socio-politico del Bangladesh, “caratterizzato da forti e diversificati livelli di criticità”; c) ha raggiunto un elevato livello di integrazione lavorativa, sicchè il rientro in patria equivarrebbe per lui alla perdita di apprezzabili opportunità sotto il profilo etico-giuridico.

Tuttavia, non viene contestata efficacemente – e nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – la statuizione posta a base del rigetto della protezione umanitaria, rappresentata dal fatto che dalla storia personale dell’interessato risulta che egli si è determinato a lasciare il proprio Paese per motivi economici e questo non ostacola il suo rientro in patria.

3.2. Infatti le deduzioni del ricorrente in materia di protezione umanitaria risultano del tutto generiche e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che dal ricorso non si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare.

3.3. In particolare, l’inadeguatezza delle condizioni di vita di Bangladesh è di per sè ininfluente ai fini della protezione umanitaria, in quanto una simile situazione per rilevare deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui all’art. 5, comma 6, cit..

4. Il secondo motivo va dichiarato inammissibile perchè le censure con esso proposte finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dalla Corte d’appello a proposito della condizione personale del ricorrente quale emersa dal suo racconto, nelle quali si è tenuto conto anche del riferito conflitto familiare.

A ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici del merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano.

III – Conclusioni.

5. In sintesi, il ricorso deve essere respinto.

6. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

7. L’ammissione della parte ricorrente al patrocinio a spese dello Stato determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284; Cass. 28 febbraio 2019, n. 5973; Cass. 13 marzo 2019, n. 7204; Cass. 24 maggio 2019, n. 14292).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 24 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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