Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23454 del 26/08/2021

Cassazione civile sez. II, 26/08/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 26/08/2021), n.23454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14713-2016 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IN

ARCIONE n. 71, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO DI BRINA, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.F., B.K., B.P., F.T.,

F.L., e S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1352/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 19/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/03/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

viste le conclusioni del P.G., nella persona del Sostituto Dott.

CELESTE ALBERTO, il quale ha concluso per il rigetto del secondo

motivo di ricorso

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dal matrimonio tra B.M. e T.M.A. nascevano tre figli: B.P., B.F. e B.M.K.. Dal successivo matrimonio contratto dallo stesso B. con C.M., dopo il divorzio dalla prima moglie, nasceva invece la quarta figlia B.B.. Alla sua morte, B.M. disponeva del suo patrimonio con testamento olografo, lasciando la quota disponibile alla seconda moglie C.M., in aggiunta alla legittima, ed il resto ai quattro figli, in parti uguali tra loro. Tutti gli eredi accettavano l’eredità con beneficio di inventario.

Con atto di citazione notificato il 4.9.1996 B.P. evocava in giudizio C.M., B.B., B.F., B.M.K., D.M.P. e F.I. innanzi il Tribunale di Treviso per sentir dichiarare la nullità, o comunque la simulazione assoluta, dell’atto di vendita del 17.3.1983, con il quale il defunto B.M., padre dell’attore, aveva venduto un immobile in (OMISSIS) a F.I., e della successiva compravendita intercorsa, in relazione allo stesso immobile, tra quest’ultimo e C.M. in data 12.10.1995. Ad avviso dell’attore, detti atti avrebbero dissimulato altrettante donazioni, appunto nulle per difetto di forma, o comunque sarebbero assolutamente simulati, e sarebbero lesivi della quota di legittima.

Con altro atto di citazione la medesima domanda veniva proposta da B.F. e B.M.K..

Le due cause venivano riunite e in esse si costituivano, con separate comparse, la C. ed il F., resistendo alla domanda. Rimaneva invece contumace B.B..

Con sentenza n. 152/2007 il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando assolutamente simulata la prima compravendita del 1983 ed opponibile detta simulazione alla C. e restituendo il bene all’asse ereditario di B.M.. Dichiarava relativamente simulata l’altra compravendita del 5.10.1995, con la quale B.M. aveva trasferito alla C. altri beni immobili, in quanto dissimulante donazione, e restituiva anche detti beni all’asse ereditario del defunto. Disponeva infine lo scioglimento della comunione ereditaria tra i coeredi, secondo le quote di rispettiva competenza, ordinando la trascrizione della sentenza nei registri immobiliari.

Avverso detta decisione interponeva appello la C.. Si costituivano in seconde cure, per resistere al gravame, B.F. e B.M.K., anche come eredi della sorella B.B., nel frattempo prematuramente scomparsa. Spiegava inoltre appello incidentale B.P., anche nella qualità di erede della sorella premorta. Rimanevano invece contumaci F.T., F.L. e S.L., eredi di F.I., a sua volta deceduto.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1352/2015, la Corte di Appello di Venezia rigettava tanto il gravame principale che quello incidentale, compensando le spese tra la C. e B.P., e condannando invece la C. alle spese del grado nei confronti di B.F. e B.M.K., costituiti in seconde cure.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.M., affidandosi a due motivi.

Gli intimati B.F., B.K., B.P., F.T., F.L. e S.L. non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Alberto Celeste, ha concluso per il rigetto del secondo motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare il giudicato esterno derivante dalla sentenza n. 53/88 della medesima Corte territoriale, con la quale era stata respinta la domanda che il F., dopo aver acquistato dal B.M. il bene immobile oggetto della compravendita del 1983, aveva proposto nei confronti di T.M.A., prima moglie del B. e madre dei tre figli di primo letto P., F. e M.K., per ottenerne il rilascio. Ad avviso della ricorrente, la decisione n. 53/88 conterrebbe una statuizione di accertamento della validità del contratto di compravendita intercorso tra il B. ed il F. e spiegherebbe effetti di giudicato anche nel presente giudizio, con conseguente impossibilità di porre nuovamente in discussione la questione della validità di quel contratto.

La censura è infondata.

La Corte di Appello non ha ravvisato alcun giudicato perché nell’ambito del primo giudizio il F. aveva agito soltanto per ottenere la condanna della prima moglie del B. al rilascio dell’immobile oggetto della compravendita del 1983, e quest’ultima si era difesa asserendo di vantare un diritto sul bene, in quanto comodataria, senza controvertere sulla proprietà del cespite. Sul punto, è illuminante il passaggio della sentenza impugnata, ove si legge che “… la domanda di rilascio della casa e risarcitoria presupponevano il possesso in capo al F. e l’obbligo di consegna da parte del B., mentre la T. aveva avanzato, a sua volta, la pretesa di legittima detenzione del bene, ex comodato. E dunque, non era vi stata controversia sulla proprietà della villa, la quale era stata oggetto del solo giudizio di riduzione e simulazione, con la conseguenza che non poteva in alcun modo essersi formato giudicato implicito sul punto, che non era stato oggetto di valutazione da parte del giudice, investito del problema del solo rilascio e connesso risarcimento”(cfr. pagg. 13 e 14).

Il giudicato, oltre ad avere una sua efficacia diretta nei confronti delle parti, loro eredi ed aventi causa, è dotato anche di efficacia riflessa, nel senso che esso, come affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui la sentenza è stata emessa, allorquando detti ultimi siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definita nel precedente processo o, comunque, di una posizione soggettiva subordinata a detta situazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 792 del 24/01/1995, Rv. 489888; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10654 del 10/10/1991, Rv. 474171; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11153 del 12/11/1997, Rv. 509763; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4864 del 01/03/2007, Rv. 595330; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27500 del 22/12/2006, Rv. 593614; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 22908 del 08/10/2013, Rv. 627887; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 21240 del 28/08/2018, Rv. 650353; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5411 del 25/02/2019, Rv. 652762; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17931 del 04/07/2019, Rv. 654562).

Due, quindi, sono i requisiti che devono necessariamente sussistere per poter ravvisare un’efficacia riflessa del giudicato: da un lato, un rapporto di dipendenza tra la situazione giuridica definita nel primo giudizio e la posizione soggettiva fatta valere dalla parte nel successivo giudizio; dall’altro lato, la possibilità di individuare, nella prima decisione, un’affermazione oggettiva di verità. Nel caso di specie, non è possibile individuare, nella sentenza n. 53/88, tale affermazione oggettiva di verità, poiché la prima controversia, intercorsa tra il F. e la T., non ha avuto ad oggetto, neanche in modo riflesso, la titolarità del diritto di proprietà della villa in (OMISSIS) oggetto della compravendita del 1983, né tantomeno la validità di detto negozio di trasferimento, ma soltanto la sussistenza, o meno, in capo alla T., convenuta in quel giudizio, di un titolo legittimante la detenzione del bene oggetto di causa. Dall’esame del fascicolo -consentito al collegio al fine di verificare la sussistenza, o meno, della violazione del giudicato denunciata dalla parte ricorrente- risulta infatti che il F. aveva a suo tempo evocato in giudizio la T. soltanto per ottenere l’accertamento dell’assenza del titolo di detenzione in capo alla medesima e per sentirla condannare al rilascio dell’immobile ed al risarcimento del danno derivante dall’illecita occupazione. Il Tribunale di Treviso, che aveva accolto la domanda con la sentenza n. 1547/87, si è limitato ad accertare l’indebita occupazione del cespite, senza per nulla affrontare le tematiche della validità del contratto con il quale era stato realizzato il trasferimento della proprietà del bene e della titolarità di quest’ultimo diritto, in capo al F. o ad altri. L’affermazione oggettiva di verità contenuta nella sentenza che ha definito il primo giudizio, pertanto, non può che cadere su quanto ha costituito oggetto di quest’ultimo, e quindi sulla sola insussistenza, in capo alla T., di un titolo legittimante la detenzione dell’immobile di (OMISSIS). Non è possibile, per converso, configurare un profilo di efficacia riflessa della sentenza n. 53/88 della Corte di Appello di Venezia in relazione alla validità del contratto di compravendita del 1983 che costituisce oggetto della domanda di simulazione proposta dai figli di B.M. nel presente giudizio.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414,1415,1417 e 2722 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile la prova della simulazione con ogni mezzo, sul presupposto della terzietà dell’erede rispetto al negozio simulato, non tenendo conto che la disposizione di cui all’art. 1417 c.c. preclude il ricorso alla prova della simulazione per testimoni o presunzioni tanto per le parti del contratto oggetto dell’azione di simulazione che per i loro aventi causa. Secondo la ricorrente, quindi, la Corte di Appello avrebbe dovuto verificare se la domanda dei figli di primo letto del B. fosse diretta al recupero del bene oggetto della compravendita del 1983, o piuttosto all’accertamento della lesione delle quote di legittima spettanti agli attori, ed individuare il regime giuridico della prova in base a detto percorso ricostruttivo. Avrebbe, inoltre, dovuto considerare che la domanda di simulazione assoluta del negozio del 1983 era in realtà diretta solo contro il F. ed aveva lo scopo di far rientrare il bene nell’asse ereditario del defunto, e dunque assolveva ad una funzione recuperatoria. Secondo la ricorrente, detta funzione non viene meno per effetto della dichiarazione di opponibilità della simulazione alla C., giacché questa consegue all’accoglimento della domanda di simulazione, e non ad una richiesta di riduzione della disposizione lesiva delle quote di legittima dei figli di primo letto del defunto B.M.. I quali, inoltre, neppure avevano dedotto che la compravendita del 1983 dissimulava una donazione in favore della seconda moglie. Pertanto, secondo quest’ultima, gli eredi non avevano proposto una domanda iure proprio, per la reintegrazione della quota di legittima loro spettante, ma avevano agito come aventi causa del defunto, al solo fine di far valere la simulazione assoluta dell’atto nei confronti del F.. Di conseguenza, la prova della simulazione non avrebbe dovuto essere ammessa per testimoni e presunzioni.

La censura è infondata.

La Corte di Appello afferma che l’azione proposta dai figli del B. non era solo diretta ad ottenere l’accertamento della natura simulata della compravendita del 1983, intercorsa con il F., ma anche a recuperare all’asse ereditario il bene che ne aveva costituito oggetto (cfr. pagg. 17 e 18 della sentenza impugnata). Di conseguenza, la Corte territoriale ha ritenuto non applicabile, nel caso di specie, la limitazione della prova testimoniale o per presunzioni, in perfetta coerenza con quanto affermato da questa Corte, secondo cui, ove siano proposte, congiuntamente, la domanda di accertamento della natura simulata di un contratto e quella di riduzione della conseguente disposizione lesiva della legittima, va applicato un unico regime probatorio. In proposito, “Il legittimario è ammesso a provare, nella veste di terzo, la simulazione di una vendita fatta dal de cuius per testimoni e presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per un’esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia; egli, pertanto, va considerato terzo anche quando l’accertamento della simulazione sia preordinato solamente all’inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima e, così, a determinare l’eventuale riduzione delle porzioni dei coeredi concorrenti nella successione ab intestato, in conformità a quanto dispone l’art. 553 c.c.” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12317 del 09/05/2019, Rv. 653810; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15510 del 13/06/2018, Rv. 649176).

Ne’ si pone un problema in ordine alle espressioni usate dal legittimario nella formulazione della domanda, poiché quel che rileva è la sostanza della stessa. Sul punto, questa Corte ha affermato che “Quando la successione legittima si apre su un relictum insufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari alla quota di riserva, avendo il de cuius fatto in vita donazioni che eccedono la disponibile, la riduzione delle donazioni pronunciata su istanza del legittimario ha funzione integrativa del contenuto economico della quota ereditaria di cui il legittimario stesso è già investito ex lege, determinando il concorso della successione legittima con la successione necessaria. Pertanto, la circostanza che il legittimario, nel chiedere l’accertamento della simulazione di atti compiuti dal de cuius, abbia fatto riferimento alla quota di successione ab intestato non implica che egli abbia inteso far valere i suoi diritti di erede piuttosto che quelli di legittimario, qualora dall’esame complessivo della domanda risulti che l’accertamento sia stato comunque richiesto per il recupero o la reintegrazione della quota di legittima lesa” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16535 del 31/07/2020, Rv. 658294).

La Corte di Appello ha, dunque, correttamente ritenuto che nel caso di specie l’azione proposta dagli attuali intimati non fosse diretta soltanto all’accertamento della natura simulata della compravendita intercorsa nel 1983 tra il B. ed il F. ed all’opponibilità di detta simulazione alla Cecchin, in quanto avente causa del F., ma soprattutto al recupero all’asse ereditario del bene oggetto di detta disposizione, in funzione di tutela dei diritti spettanti ai legittimari. E, per effetto di tale interpretazione della domanda giudiziale, ha ammesso la possibilità degli attori di provare la simulazione con ogni mezzo, poiché essi avevano agito iure proprio.

Quanto sopra conferma, sotto altro profilo, l’infondatezza del primo motivo di ricorso, posto che giammai potrebbe ritenersi l’azione dell’erede, finalizzata a conseguire la dichiarazione della natura simulata degli atti dispositivi eseguiti dal de cuius in vita in lesione della quota di legittima e la conseguente reintegrazione di quest’ultima, e tesa alla tutela di un diritto proprio dell’erede pretermesso, preclusa per effetto del giudicato formatosi in vita del de cuius tra il medesimo ed altri soggetti, diversi dai legittimari. L’effetto riflesso del giudicato, infatti, è impedito “… tutte le volte in cui il terzo vanti un proprio diritto autonomo rispetto al rapporto in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile che ne possa ricevere un pregiudizio giuridico” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7523 del 27/03/2007, Rv. 596278; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. Sez. 5, Sentenza n. Sez. 1, Sentenza n. Sez. 5, Sentenza n. Sez. 3, Sentenza n. Sez. 3, Sentenza n. 6238 del 15/03/2010, Rv. 611979; Cass. 691 del 13/01/2011, Rv. 616292; Cass. 24558 del 02/12/2015, Rv. 637983; Cass. 12252 del 17/05/2017, Rv. 644131; Cass. 15599 del 11/06/2019, Rv. 654346; Cass. 8101 del 23/04/2020, Rv. 657573).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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