Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23451 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. I, 26/10/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 26/10/2020), n.23451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6417/2016 R.G. proposto da:

SAPUM IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.

C.F., rappresentata e difesa dagli Avv. Maurizio Della

Costanza, Claudia Cardenà e Gianluca Caporossi, con domicilio

eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via degli Scipioni,

n. 268/a;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A., in persona del legale

rappresentante p.t. D.P., rappresentato e difeso dal Prof.

Avv. Osvaldo Prosperi, con domicilio eletto in Roma, via Paolo

Emilio, n. 34, presso lo studio dell’Avv. Quirino D’Angelo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 1151/15,

depositata il 14 ottobre 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 luglio

2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Sapum Immobiliare S.r.l. convenne in giudizio la Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., per sentirla condannare al risarcimento dei danni cagionati dall’inadempimento degli obblighi informativi posti a suo carico, in qualità di intermediario finanziario, in relazione ad un investimento, effettuato il 21 marzo 2001, in titoli obbligazionari emessi dalla Repubblica Argentina, il cui capitale era andato parzialmente perduto a seguito del default dichiarato dall’emittente.

Premesso di aver impiegato nel predetto acquisto parte del ricavato della vendita della propria azienda, già depositato presso la Banca, sostenne che, nonostante la propria scelta di effettuare un investimento caratterizzato da un basso livello di rischio, finalizzato alla conservazione del capitale investito, i dipendenti della convenuta avevano suggerito l’acquisto dei predetti titoli, proprio in un momento in cui le principali agenzie di rating stavano declassando il debito dell’emittente, omettendo di tener conto del suo profilo di rischio, di proporle una diversificazione degl’impieghi e di fornirle informazioni adeguate sulla natura ed i rischi dell’operazione. Aggiunse che nel corso del rapporto la Banca aveva omesso di tenerla al corrente del precipitare della situazione e di consigliarla in ordine all’accettazione dell’offerta pubblica di scambio formulata dal Governo argentino a circa tre anni di distanza dall’acquisto.

Si costituì la Banca, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto e proponendo in via subordinata domanda riconvenzionale di compensazione del credito risarcitorio con l’importo delle cedole riscosse e di restituzione dei titoli rimasti in possesso dell’attrice.

1.1. Con sentenza del 5 maggio 2008, il Tribunale di Pesaro rigettò la domanda, osservando che l’investimento, effettuato su espressa richiesta dell’attrice, nonostante la prospettazione di impieghi alternativi, aveva ad oggetto titoli caratterizzati da un margine di rischio significativo ma non elevato, in ordine ai quali erano state fornite tutte le informazioni necessarie, non essendo la Banca in grado di prevedere il default dell’emittente, nè tenuta a fornire informazioni successive all’effettuazione dell’operazione.

2. L’impugnazione proposta dalla Sapum Immobiliare è stata rigettata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza del 14 ottobre 2015.

Premesso che il giudizio, instaurato con rito ordinario, era proseguito in primo grado nelle forme previste dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, la Corte ha dichiarato inammissibili le allegazioni in fatto contenute nella memoria di replica depositata dall’attrice il 16 ottobre 2006, affermando la riconducibilità di quest’ultima all’art. 7, anzichè all’art. 6 del predetto decreto, in quanto all’esito della prima udienza di comparizione, prima che fosse disposto il mutamento del rito, era stato concesso il termine per il deposito della memoria di cui all’art. 180 c.p.c.. Precisato inoltre che nell’atto di citazione in primo grado e nella predetta memoria l’attrice aveva proposto domanda di risarcimento dei danni per inadempimento, ha ritenuto nuove le domande di accertamento della nullità e di annullamento del contratto nonchè quelle fondate sull’art. 1469-bis c.c. e sulla responsabilità precontrattuale, formulate con l’atto di appello, rilevando che soltanto con la predetta memoria l’attrice aveva allegato la mancata manifestazione in forma scritta del dissenso della Banca.

In ordine alla prova testimoniale assunta in primo grado, la Corte ha poi escluso l’incapacità a testimoniare dei dipendenti della Banca, in quanto aventi un interesse meramente riflesso alla decisione della causa, ribadendo inoltre l’ammissibilità e la rilevanza della prova, già confermate dal Collegio in primo grado, in quanto le domande rivolte ai testi non comprendevano le espressioni contenute nei capitoli di prova che implicavano giudizi, e le circostanze capitolate non erano volte a supplire alla mancanza della dichiarazione prescritta dall’art. 29 del regolamento Consob.

Nel merito, ha escluso l’obbligo della Banca d’informare l’attrice in ordine ai fatti verificatisi in Argentina nel 1994 e nel 1997, trattandosi di circostanze risalenti nel tempo; pur riconoscendo che gli obblighi informativi non possono essere assolti unicamente mediante la consegna del prospetto riguardante i rischi generali d’investimento, ha rilevato che dall’istruttoria espletata era emerso che i dipendenti della Banca, oltre ad aver formulato proposte d’investimento alternative e meno rischiose, avevano fornito informazioni in ordine a titoli aventi carattere maggiormente speculativo soltanto su richiesta dell’attrice, che mirava in tal modo ad ottenere guadagni costanti e più consistenti; ha ritenuto provato anche che la Banca aveva fornito all’investitrice un’informazione completa, richiamandone l’attenzione sui pericoli derivanti dalla mancata diversificazione degl’investimenti, sulla volatilità degli stessi e sul rischio relativo ai paesi emergenti, e provvedendo alla consegna delle schede relative ai singoli titoli, con l’indicazione del rateo, della scadenza, del rating e dello stacco delle cedole; ha ribadito in proposito l’attendibilità delle deposizioni rese dai testi, escludendo anche la possibilità di desumere la scarsa propensione al rischio dell’investitrice dal precedente impiego delle sue disponibilità in operazioni “pronti contro termine”; ha ritenuto irrilevante, indipendentemente dalla tardività della deduzione, la circostanza, riferita solo in comparsa conclusionale, che il giorno precedente all’ordine di acquisto i titoli fossero stati declassati dalle agenzie di rating internazionali, osservando che non vi era certezza della conoscenza di tale declassamento da parte della Banca, non essendo stata fornita la prova della diffusione della relativa notizia; ha dichiarato inammissibile, in quanto nuova, l’allegazione della mancata prospettazione dell’inadeguatezza dell’operazione da parte della Banca, rilevando comunque che le risultanze dell’istruttoria, oltre a dimostrare il contestuale acquisto di altri titoli, per un importo superiore alla metà di quello investito, non consentivano di ritenere ammessa tale circostanza. Ha escluso infine che la Banca fosse tenuta a fornire informazioni sull’andamento successivo dei titoli acquistati, trattandosi di un obbligo riferibile esclusivamente ai rapporti di negoziazione e gestione individuale dei titoli.

3. Avverso la predetta sentenza la Sapum Immobiliare ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro in motivi, illustrati anche con memoria. La BNL ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1176,1218 e 1375 c.c., D.Lgs. 24 febbraio 1998, art. 21 e degli artt. 23, 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’obbligo della Banca d’informarla in ordine ai rischi connessi all’investimento in titoli argentini, senza considerare che le più recenti riduzioni del relativo rating, non risultanti dalle schede consegnatele, costituivano un sintomo dell’accresciuta vulnerabilità e della minore garanzia di rimborso delle somme investite. Sostiene che, nell’escludere l’obbligo d’informare il cliente in ordine al declassamento avvenuto il giorno prima dell’acquisto dei titoli, la Corte di merito non ha considerato che è l’intermediario a dover fornire la prova positiva della propria diligenza nell’adempimento degli obblighi posti a suo carico. Contesta infine la tardività della relativa deduzione, affermando che il declassamento, oltre costituire un fatto notorio, era stato espressamente dedotto nell’atto di appello.

1.1. Il motivo è infondato.

L’esclusione della responsabilità della Banca è stata puntualmente giustificata dalla Corte di merito mediante il richiamo alle risultanze dell’istruttoria espletata, dalla quale era emerso che l’operazione d’investimento aveva costituito il risultato di una scelta consapevolmente effettuata dalla ricorrente, la quale, pur essendo stata ampiamente informata in ordine al livello di rischio connesso all’investimento in titoli di Stato argentini e resa altresì edotta dell’esistenza di forme più sicure d’impiego della somma disponibile, anche mediante la consegna di schede recanti le relative indicazioni, aveva espressamente sollecitato l’acquisto dei predetti titoli, dimostrandosi evidentemente disponibile a correre maggiori rischi pur di conseguire utili più elevati. Sulla base di tali elementi, la sentenza impugnata ha correttamente concluso per l’avvenuto rispetto degli obblighi informativi previsti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e dagli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, la cui finalità va individuata, come ripetutamente affermato da questa Corte, proprio nel consentire all’investitore di effettuare l’investimento nella piena consapevolezza di tutte le implicazioni dell’operazione, in virtù dell’acquisizione dell’intero ventaglio delle informazioni, specifiche e personalizzate, che si rendano necessarie di volta in volta, alla stregua della diligenza richiesta dall’attività professionalmente esercitata dall’intermediario, in relazione sia alle caratteristiche dell’investitore che a quelle del titolo verso cui si indirizza l’investimento, e ciò non solo nel caso in cui l’investimento sia inquadrabile in un contratto di gestione individuale o di consulenza finanziaria, ma anche nel caso in cui il rapporto abbia ad oggetto un’attività di mera negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini (cfr. Cass., Sez. I, 24/04/2018, n. 10111; 15/06/2017, n. 14884). E’ pur vero che il conseguimento della predetta finalità presuppone un sufficiente grado di precisione ed aggiornamento delle informazioni fornite dall’intermediario, le quali in tanto consentono di valutare appieno la convenienza dell’operazione, in relazione non solo alle garanzie di restituzione del capitale investito, ma anche all’andamento dei mercati e alla possibilità di impieghi più lucrosi, in quanto rispecchino nel modo più fedele possibile la situazione in atto all’epoca dell’effettuazione dell’investimento: nella specie, tuttavia, l’apprezzamento compiuto dalla sentenza impugnata in ordine all’adeguatezza dei dati forniti, ivi compreso il rating dei titoli, non risulta validamente censurato dalla ricorrente, la quale, nel lamentare il mancato aggiornamento di tale indicazione, omette di precisare la fase e l’atto del giudizio di merito in cui tale carenza è stata dedotta. Nel contestare l’inammissibilità della deduzione relativa all’ulteriore declassamento dei titoli intervenuto il giorno prima dell’acquisto, la ricorrente ammette poi di aver fatto valere tale circostanza soltanto nell’atto di appello, in tal modo riconoscendone la tardività, ma ne sottolinea la notorietà, senza considerare che il ricorso al notorio da parte del giudice opera esclusivamente sul piano della prova dei fatti, dispensando le parti dal relativo onere, senza escludere la necessità di una puntuale e tempestiva allegazione degli stessi (cfr. Cass., Sez. I, 14/02/2006, n. 3146; Cass., Sez. lav., 21/07/2011, n. 9965; Cass., Sez. II, 26/03/1999, n. 2878).

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la nullità del procedimento e della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 183 e 345 c.p.c., D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 6 e 7, sostenendo che, nel dichiarare inammissibile l’allegazione dell’inadeguatezza dell’operazione, la sentenza impugnata non ha considerato che la domanda di risarcimento era fondata, tra l’altro, anche sulla difformità dell’investimento suggerito rispetto agli obiettivi del risparmiatore; la deduzione della violazione dell’art. 29 del regolamento Consob, sia nell’atto di riassunzione del giudizio di primo grado a seguito del mutamento del rito che nella comparsa conclusionale e in appello, non comportava pertanto l’introduzione di un nuovo tema d’indagine, configurandosi piuttosto come una mera argomentazione difensiva a sostegno della sussistenza dell’inadempimento.

2.1. Il motivo è infondato.

La natura processuale del vizio lamentato consente di procedere all’esame diretto degli atti, dal quale si evince che, a sostegno della domanda avanzata nell’atto di citazione, la ricorrente aveva fatto genericamente valere la violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, astenendosi dal richiamare l’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 e limitandosi ad allegare l’inadempimento degli obblighi d’informazione attiva e passiva gravanti sulla Banca, in relazione al declassamento dei titoli argentini ed alla difformità dell’impiego rispetto ai propri obiettivi d’investimento. Il mero riferimento a tali obiettivi, in ordine ai quali l’art. 28, comma 1, lett. a), del Regolamento Consob impone all’intermediario d’informarsi indipendentemente dal profilo di rischio dell’investitore, non può considerarsi di per sè sintomatico dell’intento di far valere la violazione dell’art. 29 cit., la cui deduzione postula quanto meno l’indicazione degli aspetti menzionati da tale disposizione (tipologia, oggetto, frequenza o dimensione) in relazione ai quali si afferma che l’operazione compiuta risulta inadeguata rispetto al predetto profilo. La necessità di tale specificazione costituisce infatti un risvolto dell’onere di allegazione incombente all’investitore che lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, in correlazione con la ripartizione dell’onere della prova prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, il quale, in armonia con la disciplina generale dettata dall’art. 1218 c.c., impone all’investitore non solo di fornire la prova del danno subito e del nesso di causalità tra lo stesso e la predetta violazione (nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole), ma anche di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, e ciò al fine di consentire all’intermediario di provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute (cfr. Cass., Sez. I, 24/04/2018, n. 10111; 28/02/2018, n. 4727; 18/05/2017, n. 12544). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, rilevato che la predetta specificazione aveva avuto luogo soltanto nella memoria depositata a seguito del mutamento del rito disposto ai sensi del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 1, u.c., all’esito dell’udienza successiva alla scadenza del termine di cui all’art. 180 c.p.c., comma 3 (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alla sostituzione disposta dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. c-bis), convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80), ha ritenuto tardiva, ai sensi del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 13, comma 5, l’allegazione dell’inadeguatezza dell’operazione, osservando che la memoria in questione non era riconducibile all’art. 6, ma all’art. 7 del medesimo decreto, il quale consente soltanto di replicare alle eccezioni della controparte, nonchè di proporre le eccezioni non rilevabili d’ufficio che siano conseguenza delle nuove domande ed eccezioni proposte dall’attore a norma dell’art. 6, comma 2. A maggior ragione deve poi escludersi che tale allegazione potesse trovare spazio nella comparsa conclusionale o nell’atto di appello, ponendosi tale facoltà in contrasto con la funzione meramente illustrativa del primo atto e con il divieto di proporre nuove domande stabilito dall’art. 345 c.p.c., per il secondo: l’autonomia della fattispecie disciplinata dall’art. 29 del Regolamento Consob impedisce infatti di ravvisare nella deduzione dei relativi elementi costitutivi una mera emendatio libelli, comportando la stessa l’introduzione di un nuovo tema d’indagine, diverso da quello riguardante la violazione degli obblighi previsti dall’art. 28 e quindi non proponibile nel corso del giudizio, a pena di lesione del diritto di difesa del convenuto.

3. Il rigetto delle censure riguardanti la novità della domanda fondata sulla violazione dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 comporta l’inammissibilità del terzo motivo, con cui la ricorrente ha impugnato le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale in ordine all’inadeguatezza dell’operazione, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e degli artt. 23, 26, 28 e 29 del predetto Regolamento, nonchè per omissione o contraddittorietà della motivazione, lamentando la mancata valutazione dell’elevato margine di rischio dell’investimento e della eccessiva concentrazione dello stesso in titoli rischiosi, anche in relazione all’importo investito ed alla mancanza di esperienza della cliente.

3.1. Qualora infatti, come nella specie, il giudice, dopo aver dichiarato inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo di gravame, in tal modo spogliandosi della potestas judicandi in ordine al merito della questione, abbia ugualmente proceduto all’esame della stessa, la parte soccombente non ha interesse ad impugnare le relative argomentazioni, da considerarsi svolte ad abundantiam, in quanto prive di concreta incidenza sulla decisione adottata (cfr. Cass., Sez. Un., 30/10/2013, n. 24469; Cass., Sez. III, 19/12/2017, n. 30393; Cass., Sez. II, 4/01/2017, n. 101).

4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1176 e 1375 c.c., D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e degli artt. 23, 26, 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, sostenendo che, nel ritenere irrilevante l’inadempimento dell’obbligo d’informazione in ordine all’andamento dei titoli in epoca successiva all’acquisto, la sentenza impugnata non ha considerato che gli obblighi informativi dell’intermediario si estendono anche alla fase di esecuzione del contratto d’intermediazione, al fine di porre il cliente in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni di investimento e disinvestimento.

4.1. Il motivo è infondato.

In quanto volti a consentire all’investitore di operare scelte d’investimento pienamente consapevoli, gli obblighi gravanti sull’intermediario ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. b), vanno infatti adempiuti in vista dell’investimento, con la cui effettuazione si esauriscono, a meno che la negoziazione dei titoli non sia collegata ad un contratto di gestione o di consulenza in materia d’investimenti (cfr. Cass., Sez. I, 24/04/2018, n. 10112; 3/07/2017, n. 16318; 22/02/2017, n. 4602).

5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

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