Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23449 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. I, 26/10/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 26/10/2020), n.23449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28213/2020 R.G. proposto da:

D.F.V.I.R.M., (già M.R.),

rappresentato e difeso dall’Avv. Arturo Antonucci, e dagli Avv.

Prof. Piero Mazzola, e Roberto Vassalle, con domicilio eletto presso

lo studio del primo in Roma, corso Trieste, n. 87;

– ricorrente –

contro

CREDITO VALTELLINESE S.C., in persona dell’amministratore delegato

p.t. F.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Michele Mazza,

con domicilio eletto in Roma, via dei Prefetti, n. 17, presso lo

studio dell’Avv. Domenico Reccia;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2423/15,

depositata il 19 ottobre 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 luglio

2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.R. convenne in giudizio il Credito Valtellinese Soc. coop. a r.l., per sentir dichiarare la nullità di un contratto di negoziazione di valori mobiliari e di diciotto ordini d’investimento impartiti in esecuzione dello stesso, per difetto di forma scritta, o per sentir pronunciare la risoluzione del contratto e dei medesimi ordini per inadempimento degli obblighi previsti dagli artt. 27, 28, 29 e 32 del Regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998, con la condanna della Banca al pagamento della somma complessiva di Euro 279.933,50, a titolo di restituzione degli importi impiegati nello acquisto di obbligazioni argentine, della differenza tra il prezzo di acquisto ed il ricavato della vendita di titoli (OMISSIS) e dei diritti e delle commissioni illegittimamente addebitatigli per le operazioni di vendita, ovvero al risarcimento dei danni.

Si costituì il Credito Valtellinese, e resistette alla domanda, sostenendo che gl’investimenti, aventi carattere prevalentemente speculativo, erano stati decisi dallo stesso attore, investitore esperto e spericolato, il quale non aveva soltanto subito perdite, ma aveva realizzato anche profitti; sostenne inoltre che dalla somma complessivamente investita (Euro 531.542,06) doveva essere detratto, oltre agl’importi incassati dall’attore per disinvestimenti (Euro 382.367,31), il valore residuo dei titoli rimasti in suo possesso (Euro 68.826,29).

1.1. Con sentenza del 24 febbraio 2010, il Tribunale di Padova accolse la domanda, dichiarando la nullità del contratto quadro e delle operazioni impugnate, per difetto di forma scritta del primo, e condannando il Credito Valtellinese al pagamento della somma di Euro 294.710,14, oltre interessi legali, detratto il valore residuo dei titoli alla data di pubblicazione della sentenza.

2. L’impugnazione proposta dal Credito Valtellinese è stata parzialmente accolta dalla Corte d’appello di Venezia, che con sentenza del 19 ottobre 2015 ha accolto parzialmente anche il gravame incidentale proposto dal M., condannando l’appellante principale al pagamento della somma di Euro 210.644,70, oltre interessi legali, detratto il valore residuo dei titoli rimasti nel portafoglio dell’appellato, e quest’ultimo a restituire quanto percepito in eccedenza.

A fondamento della decisione, la Corte ha dichiarato innanzitutto l’inammissibilità della domanda di compensazione del credito della Banca per risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 1338 c.c. con il credito restitutorio dell’attore, in quanto non formulata nè nell’atto di appello nè all’udienza di precisazione delle conclusioni e neppure nelle conclusioni riportate nella comparsa conclusionale, osservando comunque che non risultava provata l’imputabilità al M. della falsità delle firme apposte sui contratti.

Nel merito, ha ritenuto non condivisibile l’affermazione della sentenza di primo grado, secondo cui, in quanto prevista a tutela dell’investitore, la nullità del contratto di negoziazione non consentiva alla Banca di chiedere la dichiarazione di nullità degli atti esecutivi, non impugnati, osservando che la legittimazione esclusiva dell’investitore a far valere la nullità del contratto quadro per difetto di forma non comporta anche la facoltà di selezionare gli effetti dell’invalidità, dal momento che le nullità di protezione, una volta fatte valere, non si differenziano dalla generale figura d’invalidità, producendo effetti unidirezionali soltanto nel caso in cui il vizio sia tale da consentire di conservare il contratto nei suoi elementi non sfavorevoli alla parte protetta. Rilevato in particolare che del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, prevede al comma 1, un’ipotesi generale di nullità per mancanza di forma ed al secondo una nullità parziale avente efficacia circoscritta alla clausola nulla, ha affermato che il primo vizio, investendo l’intero contratto, non consente di ipotizzare la sopravvivenza di una parte dello stesso, precisando comunque che nella specie l’investitore non aveva fatto valere la nullità di singole operazioni, ma quella dell’intero contratto di negoziazione, mentre la Banca fin dall’inizio aveva sostenuto che la nullità di quest’ultimo faceva venir meno tutte le operazioni compiute, con la conseguenza che l’attore aveva diritto alla sola differenza tra l’ammontare dei versamenti effettuati e quello dei prelievi compiuti.

La Corte ha ritenuto pertanto assorbita la domanda di restituzione del predetto importo a titolo d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, dichiarando inoltre non pertinente la questione riguardante la detrazione della somma ricavata dalla vendita dei titoli e dall’incasso delle relative cedole, in quanto tale importo era stato tenuto in conto dal c.t.u. nella determinazione della somma dovuta. Precisato infine che l’obbligazione restitutoria aveva natura di debito di valuta, ha ritenuto fondata la domanda di riconoscimento della rivalutazione monetaria, in misura pari al tasso del rendimento annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi.

3. Avverso la predetta sentenza il M. (ora D.F.v.I.R.M., a seguito di cambiamento di cognome) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, il Credito Valtellinese S.c. (già Credito Valtellinese Soc. coop. a r.l.).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 3, censurando la sentenza impugnata per aver accolto la domanda riconvenzionale proposta dalla Banca, senza considerare che quella di primo grado aveva dichiarato soltanto incidentalmente la nullità del contratto quadro, avendo esso ricorrente richiesto la dichiarazione di nullità non già dell’intero rapporto, ma solo delle diciotto operazioni indicate. Premesso che la legittimazione a far valere gli effetti delle nullità di protezione spetta esclusivamente al contraente protetto, afferma l’inammissibilità della domanda riconvenzionale avente ad oggetto la dichiarazione di nullità anche delle negoziazioni non impugnate dal cliente e la condanna di quest’ultimo alle restituzioni, non essendo l’intermediario legittimato a proporla neppure in un separato giudizio. Aggiunge che la nullità delle predette negoziazioni non è rilevabile neppure d’ufficio, a meno che la relativa dichiarazione non risulti vantaggiosa per il contraente protetto, precisando comunque che l’eventuale esclusione dell’ammissibilità di una domanda selettiva di quest’ultimo, oltre a porsi in contrasto con il principio dispositivo e con l’autonoma valenza negoziale delle operazioni compiute in esecuzione del contratto quadro, potrebbe condurre soltanto al rigetto della stessa, e non anche alla dichiarazione di ammissibilità della domanda riconvenzionale dell’intermediario.

1.1. Il motivo non merita accoglimento, pur dovendosi procedere, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo risulta conforme al diritto.

Le censure proposte dal ricorrente riflettono un orientamento piuttosto diffuso in dottrina e nella giurisprudenza di merito, e fatto proprio anche dalla sentenza di primo grado, nonchè da una pronuncia di legittimità, secondo cui la nullità del contratto relativo alla prestazione di servizi d’investimento per difetto della forma scritta, richiesta ad substantiam dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 1, potendo essere fatta valere soltanto dal cliente, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, opera esclusivamente a vantaggio di quest’ultimo, tanto sul piano processuale quanto su quello sostanziale, con la conseguenza che il contraente privo di legittimazione a proporre la relativa domanda deve limitarsi a subire gli effetti della relativa dichiarazione, così come individuati dalla parte legittimata, senza poter chiedere, nè in via principale in un separato giudizio, nè in via riconvenzionale nel medesimo giudizio promosso dal cliente, il riconoscimento di eventuali effetti ad essa favorevoli (cfr. Cass., Sez. I, 27/04/2016, n. 8395): ciò comporterebbe, in riferimento alla fattispecie in esame, l’esclusione della possibilità per la Banca di far valere, alla luce dell’intervenuta dichiarazione di nullità del contratto quadro, la nullità derivata di tutti gli ordini d’investimento impartiti dal ricorrente in esecuzione dello stesso, ivi compresi quelli non impugnati dall’attore, ed il conseguente diritto alla restituzione degl’importi che quest’ultimo ha ricevuto in virtù dei predetti investimenti.

La possibilità di un uso selettivo dell’azione di nullità, derivante dall’estensione del regime proprio delle nullità di protezione a quella prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 1, è stata tuttavia negata da un altro indirizzo, anch’esso recepito da una pronuncia di legittimità, secondo cui, ferma restando la rilevabilità d’ufficio del vizio, operante anche rispetto alla predetta categoria di nullità (cfr. Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 26242), il regime in questione si esaurisce nell’attribuzione ad una sola delle parti della legittimazione a proporre la relativa domanda o eccezione, e non trova pertanto applicazione con riguardo agli effetti caducatori e restitutori dell’invalidità, i quali possono essere fatti valere da entrambe le parti, conformemente alla disciplina generale, con la conseguenza che, una volta dichiarata la nullità del contratto quadro per difetto di forma, i rapporti tra le parti restano assoggettati alle comuni regole dell’indebito, richiamate dall’art. 1422 c.c. (cfr. Cass., Sez. I, 16/03/2018, n. 6664): a tale indirizzo si è puntualmente attenuta la sentenza impugnata, la quale, rilevato che il c.t.u. nominato nel corso del giudizio aveva quantificato in Euro 210.644,70 la differenza tra le somme investite dall’attore in esecuzione del contratto quadro dichiarato nullo (ivi compresi gl’importi degli acquisti effettuati con gli atti esecutivi non impugnati) e quelle ricavate dalle operazioni di disinvestimento, detratti gl’importi percepiti per la vendita dei titoli e la riscossione delle relative cedole, ha commisurato al predetto importo, pari al saldo negativo dei rapporti complessivamente intercorsi tra il cliente e la Banca, la somma dovuta in restituzione da quest’ultima.

Il contrasto di giurisprudenza determinatosi a seguito dell’accoglimento dei predetti orientamenti da parte delle citate sentenze è stato risolto da una recente pronuncia di questa Corte, emessa a Sezioni Unite, con cui è stato enunciato il seguente principio di diritto: “la nullità per difetto di forma scritta contenuta nel D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 3, può essere fatta valere esclusivamente dell’investitore, con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno alla luce della complessiva esecuzione degli ordini conseguiti alla conclusione del contratto quadro” (cfr. Cass., Sez. Un., 4/11/2019, n. 28314).

A sostegno di tale decisione, è stato affermato che la questione di legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione nei contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi d’investimento dev’essere risolta assumendo come criterio ordinante l’applicazione del principio di buona fede, da intendersi in senso oggettivo, anche se non coincidente per intero con l’ambito di operatività degli istituti dell’exceptio doli generalis e dell’abuso del diritto. Premesso infatti che la previsione delle nullità di protezione svolge una funzione riequilibratrice delle condizioni negoziali garantite dalla conoscenza del testo del contratto quadro, cui contribuiscono anche gli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, si è precisato che ciò non esclude la configurabilità di un obbligo di lealtà dell’investitore, a garanzia dell’intermediario che abbia correttamente assunto le informazioni necessarie per delineare il profilo soggettivo del cliente, al fine di conformare gl’investimenti alle sue caratteristiche, alla sua capacità economica ed alla sua propensione al rischio. Si è quindi confermato che della dichiarazione d’invalidità del contratto quadro può avvalersi soltanto l’investitore, sia sul piano processuale che su quello sostanziale, ma si è aggiunto che, al fine di modulare correttamente tale meccanismo, occorre procedere ad un esame degli investimenti complessivamente eseguiti, ponendo a confronto quelli che hanno costituito oggetto dell’azione di nullità, derivata dal vizio di forma del contratto quadro, con quelli che ne sono esclusi, in modo tale da verificare se permanga un pregiudizio per l’investitore corrispondente al petitum azionato. Nel caso in cui gli ordini non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto un risultato economico superiore al pregiudizio confluito nel petitum, l’intermediario può sollevare l’eccezione di buona fede, al solo fine di paralizzare gli effetti restitutori della dichiarazione di nullità degli ordini selezionati, e quindi di evitare di subire un ingiustificato pregiudizio economico; ove invece si accerti che l’investitore ha effettivamente subito un danno, anche al netto del rendimento delle operazioni non colpite dall’azione di nullità, deve escludersi che quest’ultima contrasti con il principio di buona fede, entro il limite del pregiudizio accertato. E’ stato infine precisato che, fermo restando l’onere di specifica allegazione dei vantaggi derivanti dalle operazioni non impugnate, gravante sull’intermediario, l’eccezione di buona fede opera su un piano diverso da quello dell’estensione degli effetti della nullità dichiarata, e non è quindi configurabile come eccezione in senso stretto, in quanto non agisce sui fatti costitutivi dell’azione dalla quale scaturiscono gli effetti restitutori, ma sulle modalità di esercizio dei poteri endocontrattuali delle parti.

In applicazione di tale principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, non merita censura la sentenza impugnata, la quale, pur avendo ritenuto che la nullità del contratto quadro si comunicasse automaticamente a tutte le operazioni di investimento compiute in esecuzione dello stesso, ivi comprese quelle non impugnate, ha limitato la condanna della Banca alla restituzione della sola differenza tra l’importo complessivamente investito dall’attore e quello complessivamente ricavato dalle operazioni di disinvestimento: poichè tale differenza risultava inferiore al pregiudizio asseritamente derivante dalle operazioni impugnate, evidentemente in conseguenza dei positivi risultati economici delle operazioni non impugnate, doveva infatti ritenersi fondata l’eccezione proposta dalla Banca, secondo cui dall’importo del predetto pregiudizio doveva detrarsi quello dei vantaggi che l’attore aveva complessivamente ritratto dall’esecuzione del contratto quadro.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 820,1148 e 2033 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha detratto dalla somma dovuta in restituzione dalla Banca l’importo delle cedole riscosse per i titoli di Stato argentini, le quali, oltre a non essere state pagate dalla Banca, ma dall’emittente, costituivano il corrispettivo del godimento del capitale, la cui restituzione doveva ritenersi subordinata alla prova della mala fede dell’investitore.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Il rigetto del motivo di appello incidentale concernente la restituzione dell’importo delle cedole è stato infatti giustificato dalla Corte di merito mediante l’affermazione non già dell’infondatezza della pretesa, ma del difetto di pertinenza della censura rispetto al metodo seguito dal c.t.u., e fatto proprio dalla sentenza impugnata, ai fini della determinazione della somma complessivamente dovuta dalla Banca. Nel contestare tale rilievo, il ricorrente ribadisce che dalla predetta somma sarebbe stato indebitamente detratto l’importo delle cedole, richiamando a sostegno del proprio assunto la relazione del c.t.u., ma trascrivendone nel ricorso soltanto poche righe, dalle quali non si evince il metodo di calcolo complessivamente adottato dal c.t.u., ed omettendo di allegarne copia al ricorso o d’indicare la sede in cui la stessa può essere rinvenuta, con la conseguenza che risulta impossibile non solo verificare la fondatezza della censura, ma finanche coglierne esattamente la portata. La produzione degli atti processuali, dei documenti, dei contratti o degli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda costituisce d’altronde oggetto di un onere espressamente previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, a pena d’improcedibilità del ricorso, che, pur dovendosi ritenere soddisfatto, ove si tratti di atti o documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio del giudizio di merito, mediante il deposito della richiesta di trasmissione presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, postula in ogni caso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la specifica indicazione sia dell’atto o del documento richiamato dal ricorrente che dei dati necessari per il loro reperimento (cfr. Cass., Sez. VI, 3/05/2019, n. 11599; Cass., Sez. lav., 18/09/2017, n. 21554; 11/01/2016, n. 195).

3. Corretta pertanto la motivazione della sentenza impugnata, nei sensi dianzi indicati, il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

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