Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23449 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 17/11/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 17/11/2016), n.23449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3272/2015 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in Roma, via Antonio Musa n.

12-A, presso lo studio dell’Avvocato Fabrizio Pertica, che lo

rappresenta e difende, per procura speciale in calce al ricorso,

unitamente all’Avvocato Pierluigi Fabbro;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, N. 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Bologna depositato il 24

novembre 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8

giugno 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per il ricorrente, l’Avvocato Fabrizio Pertica.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che P.S., con ricorso depositato il 7 maggio 2014 presso la Corte d’appello di Bologna, chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell’indennizzo a titolo di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento penale, iniziato dinnanzi al Giudice di pace di Monfalcone con decreto di citazione a giudizio del 17 gennaio 2007, conclusosi con sentenza depositata il 7 ottobre 2013, non impugnata e passata in giudicato il 14 gennaio 2014;

che il consigliere designato rigettava la domanda in quanto, pur dandosi atto che il giudizio presupposto si era protratto irragionevolmente per dieci mesi, non risultava presentata l’istanza di accelerazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), per il periodo successivo alla entrata in vigore della norma, con la conseguenza che la parte non aveva diritto all’indennizzo in quanto il giudizio aveva avuto una durata complessiva inferiore a sei anni dal momento della acquisizione della qualità di imputato e la entrata in vigore della citata disposizione;

che avverso questo decreto il P. proponeva opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter;

che la Corte d’appello, in composizione collegiale, rigettava l’opposizione ritenendo che l’istanza di accelerazione fosse un rimedio posto dall’ordinamento a tutela dell’interesse della parte ad una sollecita definizione del procedimento penale e che, quindi, del tutto correttamente il decreto opposto avesse considerato operante la prescrizione per il solo periodo successivo alla sua entrata in vigore; che per la cassazione di questo decreto il P. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo;

che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con l’unico motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2-bis, 2-ter e 2-quinquies, lett. e), art. 1 c.p., artt. 11, 12 e 14 disp. gen., artt. 3, 24, 25, 111 e 117 Cost., art. 6, par. 1, della CEDU e 14, par. 3, lettera g), del Patto internazionale dei diritti civili e politici (New York 16 dicembre 1996), nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio;

che il ricorrente sostiene che la disposizione di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), non può trovare applicazione nei processi penali che, alla data della sua entrata in vigore, avevano già superato la durata ragionevole, trattandosi di disposizione priva di efficacia retroattiva, anche in considerazione che nessuna disposizione transitoria ha previsto il necessario deposito della istanza di accelerazione nei procedimenti pendenti e che già avevano superato la soglia della ragionevole durata;

che erronea sarebbe altresì l’interpretazione dell’art. 2, comma 2-ter, seguita dalla Corte territoriale, atteso che quella disposizione, per non essere ritenuta costituzionalmente illegittima, non potrebbe applicarsi altro che a giudizi svoltisi in più gradi e fasi e non anche ai giudizi durati in un solo grado oltre sei anni;

che il primo profilo dell’unico motivo di ricorso è fondato;

che, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), come introdotto del D.L. n. 83 del 2012, art. 55 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, “Non è riconosciuto alcun indennizzo: (…) e) quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all’art. 2-bis”;

che tale disposizione, in forza del medesimo art. 55, comma 2, si applica “ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”;

che la disposizione di cui al comma 2-quinquies, lett. e), per la sua stessa formulazione, postula che l’istanza di accelerazione venga presentata nel procedimento penale allorquando questo non abbia ancora superato la durata ragionevole stabilita dall’art. 2;

che successivamente, con la L. n. 208 del 2015, in vigore dal 1 gennaio 2016, il legislatore ha modificato la disciplina dell’equa riparazione e, introducendo l’istituto dei rimedi preventivi quale condizione per la possibilità di proporre la domanda di equa riparazione (L. n. 89 del 2001, art. 1-bis, comma 2, introdotto dalla citata L. n. 208 del 2015), ha abrogato l’art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), prevedendo che “l’imputato e le altre parti del processo penale hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’art. 2, comma 2 bis” (L. n. 89 del 2001, art. 1-ter, comma 2, introdotto dalla L. n. 208 del 2015);

che, avuto riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis (e cioè quella risultante dalle disposizioni introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), nessuna disposizione transitoria prevede espressamente l’applicabilità della stessa nei procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della Legge di Conversione n. 134 del 2012 (11 settembre 2012), abbiano superato la ragionevole durata;

che, peraltro, dalla formulazione letterale dell’art. 2-quinquies, lett. e), si desume la inapplicabilità della stessa ai procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, avessero già superato la ragionevole durata, atteso che il termine per la presentazione della istanza sarebbe decorso, per tali giudizi, non dal superamento della durata ragionevole, ma dalla entrata in vigore della legge di conversione, con evidente mutamento dei presupposti applicativi della disposizione stessa;

che la pretesa di sterilizzare la durata del giudizio penale presupposto, successiva alla entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, dal computo della durata complessiva di quel procedimento ai fini della individuazione della sua irragionevole durata, appare errata e non coerente con il dato letterale della disposizione citata;

che risulta, dunque, evidente l’errore nel quale è incorsa la Corte d’appello di Bologna nell’escludere dal computo complessivo della durata del procedimento penale presupposto il segmento temporale successivo alla entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, perchè in quel giudizio l’imputato non aveva presentato l’istanza di accelerazione;

che resta, ovviamente, ferma la possibilità del giudice di merito di valutare il comportamento dell’imputato nel giudizio presupposto alfine di desumerne elementi significativi ai fini della determinazione dell’indennizzo;

che, in relazione a tale motivo di ricorso deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “in tema di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento penale, la disposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e) – a tenore della quale non è riconosciuto alcun indennizzo “quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all’art. 2-bis” – non è applicabile in relazione alle domande di equa riparazione relative a procedimenti penali che, alla data di entrata in vigore della stessa, avessero già superato la durata ragionevole di cui all’art. 2-bis della medesima Legge”;

che anche il secondo profilo dell’unico motivo di ricorso è fondato, avendo questa Corte affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui “in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2-ter, secondo cui detto termine si considera comunque rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, costituisce norma di chiusura che implica una valutazione complessiva del giudizio articolato nei tre gradi, e non opera, perciò, con riguardo ai processi che si esauriscono in unico grado” (Cass. n. 23745 del 2014; in senso conforme, Cass. n. 14101 del 2015; Cass. n. 14966 del 2015; Cass. n. 20915 del 2015; Cass. n. 23348 del 2015; Cass. n. 23349 del 2015);

che, dunque, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo esame della domanda alla luce degli indicati principi di diritto;

che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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