Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23447 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/10/2017, (ud. 06/09/2017, dep.06/10/2017),  n. 23447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20844-2014 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA ((OMISSIS)), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato RICCARDO FARANDA, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1670/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/2/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/9/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione del locale Tribunale che aveva riconosciuto il diritto di P.L., docente assunta con ripetuti contratti a tempo determinato, agli scatti biennali di stipendio nella misura prevista dal c.c.n.l. comparto scuola del 2,50% a partire dal terzo anno di servizio e condannato il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca a corrispondere alla predetta le differenze stipendiali come quantificate in ricorso;

– la Corte territoriale, pur dando atto che le doglianze del Ministero appellante erano basate anche sull’interpretazione della normativa di cui alla L. n. 312 del 1980e dei contratti collettivi di comparto, ha ritenuto risolutivo il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6; ha, così, svolto le seguenti considerazioni: – le condizioni di impiego, rispetto alle quali sussiste il divieto di discriminazione, comprendono in conformità con quanto chiarito dalla Corte di Giustizia, tutti gli istituti idonei ad incidere sulla quantificazione del trattamento retributivo, non essendo idonei a giustificare una diversità di trattamento tanto la mera circostanza che un impiego nel settore pubblico sia definito “non di ruolo” quanto la specialità del sistema del reclutamento scolastico; – la clausola 4, in quanto precisa ed incondizionata, prevale sul diritto interno laddove la natura, la durata e la frequenza delle prestazioni lavorative non differiscono, in fatto, da quelle del personale assunto a tempo indeterminato, irrilevante essendo la modalità di selezione del personale “non di ruolo”;

– per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di un motivo;

– la lavoratrice ha resistito con controricorso;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– non sono state depositate memorie;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con l’unico articolato motivo il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca denuncia violazione e falsa applicazione la L. n. 312 del 1980, art. 53, del C.C.N.L. art. 142, comparto scuola 24 luglio 2003 e art. 146 del c.c.n.l. del 29 novembre 2007, del D.P.R. 23 agosto 1988, n. 399, art. 3, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 9, comma 18, come convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, art. 1, comma 2, della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, della direttiva 99/70/C.E. Assume che: – i rapporti di lavoro a tempo determinato del settore scolastico sono assoggettati ad una normativa speciale di settore, sicchè agli stessi non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001; – il principio di non discriminazione è correlato all’abuso del contratto a termine, che nella specie deve essere escluso in quanto il ricorso alla supplenza e alla stipula di contratti a termine del personale scolastico trova giustificazione in ragioni oggettive e non è maliziosamente finalizzato a consentire al datore di lavoro un risparmio di spesa; – il lavoratore assunto a tempo determinato nel settore scolastico non è comparabile a quello di ruolo, perchè ogni singolo rapporto è distinto ed autonomo rispetto al precedente; – la L. n. 312 del 1980, art. 53, ha regolato il trattamento economico solo di alcune categorie di docenti e dunque non è invocabile a sostegno della pretesa;

– il motivo è solo in parte fondato;

– si osserva innanzitutto che nel presente giudizio si discute: – di equiparazione del trattamento economico del personale “non di ruolo” rispetto a quello “di ruolo” sulla base del principio di non discriminazione economica sancito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro; – di parametro rispetto al quale effettuare in concreto tale equiparazione (individuato in sede di ricorso e di sentenza di primo grado negli scatti biennali L. n. 312 del 1980, ex art. 53, – aumenti periodici del 2,50% sullo stipendio iniziale di qualifica – che si assumono spettanti al personale “non di ruolo” per effetto della permanente vigenza di tale norma pur a seguito della successiva contrattazione collettiva);

– quanto al primo aspetto, le doglianze del Ministero sono in fondate;

– come già osservato da questa Corte (Cass. 7 novembre 2016, n. 22558, Cass. 23 novembre 2016, n. 23868; Cass. 29 dicembre 2016, n. 27387, Cass. 5 gennaio 2017, n. 165; Cass. 10 gennaio 2017, n. 290 alle cui motivazioni ci si riporta integralmente in quanto del tutto condivise), l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste, quindi, a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacchè detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C177/14, Regojo Dans, punto 32);

– la clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C- 307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed affermando la esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137, n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Certo Alonso, cit., punto 42);

– la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevando la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);

– l’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale – che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa – e valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n. 2468);

– anche in questa sede il Ministero, pur affermando l’esistenza di condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali sole potrebbero legittimare la disparità, insistendo, infatti, sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, ossia su ragioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo Quadro, da non confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione, in ordine alle quali nulla ha dedotto il ricorrente;

– quanto al secondo aspetto, e cioè alla utilizzabilità, quale parametro di riferimento per attuare in concreto l’equiparazione rispetto al personale di ruolo, della L. n. 312 del 1980, art. 53, (e dunque degli scatti biennali del 2,50%) in luogo della progressione stipendiale prevista dai contratti collettivi del comparto scuola (cd. gradoni), le doglianze del Ministero sono fondate;

– è stato affermato da questa Corte che l’invocata attribuzione degli scatti biennali di cui alla L. n. 312 del 1980, art. 53, non può trovare titolo nel principio di non discriminazione, posto che tali scatti, a far tempo dalla contrattualizzazione dell’impiego pubblico, non hanno più fatto parte della retribuzione del personale di ruolo della scuola, docente, tecnico ed amministrativo; da tale momento, infatti, l’indicata norma può dirsi vigente ed efficace solo relativamente ai docenti di religione e ad alcune particolari categorie di insegnanti che, sebbene non immessi nei ruoli, prestano attività sulla base, non di supplenze temporanee o annuali, bensì in forza di contratti a tempo indeterminato previsti in via eccezionale dal L. n. 270 del 1982, art. 15. Anche il richiamo a tale disposizione ad opera della contrattazione collettiva deve, così, ritenersi limitato ai soli insegnanti di religione, per i quali è prevista la perdurante vigenza della norma, così come integrata dal D.P.R. n. 399 del 1988. In tal senso si è espressa questa Corte nella decisione n. 22558/2016 (alla cui ampia ricostruzione normativa si rimanda) con la quale è stato affermato il seguente principio di diritto: “L. 11 luglio 1980, art. 53, n. 312, che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola ed è stato richiamato, D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 69, comma 1, e art. 71 dal C.C.N.L. 4.8.1995 e dai contratti successivi, per affermarne la perdurante vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione”, principio che, in questa sede, va confermato;

– da tanto consegue che, condivisa solo in parte la proposta, il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma che deciderà la causa facendo applicazione dei principi sopra indicati, in particolare tenendo conto a fini comparativi della progressione stipendiale per scaglioni retributivi (“gradoni”) prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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