Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23442 del 10/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 10/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 10/11/2011), n.23442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33451/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

D.F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BUCCARI

11, presso lo studio dell’avvocato PECORARO FRANCESCO, rappresentato

e difeso dall’avvocato FAUGNO Fabio Massimo, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 847/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/11/2005 R.G.N. 201/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato FAUGNO FABIO MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per inammissibilità e in

subordine accoglimento per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.F.F. fa parte – insieme con moltissimi altri suoi colleghi – del personale non docente della scuota, indicato con l’acronimo ATA (amministrativo, tecnico ed ausiliario) già dipendente dagli enti locali che a decorrere dal 1 gennaio 2000 è stato trasferito nei ruoli del personale dello Stato-Comparto Scuola.

2. Il D.F. convenne in giudizio il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora in poi: MIUR) chiedendo il riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Il Tribunale di Pescara accolse la domanda.

3. Il Ministero impugnò la sentenza e la Corte d’appello dell’Aquila (con sentenza del 24 novembre 2005) rigettò l’appello.

4. Il MIUR propone ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello chiedendo a questa Corte di applicare la sopravvenuta norma interpretativa della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8, comma 2, di cui alla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 218 (finanziaria 2006) e conseguentemente di cassare l’impugnata sentenza.

5. Il D.F. resiste con controricorso, illustrato da memorie, ove pregiudizialmente eccepisce l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. In via pregiudiziale e nel rito va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata – sotto diversi profili – dal resistente D.F..

7. In riferimento al preteso mancato rispetto del termine breve per proporre il ricorso per cassazione di cui all’art. 325 cod. proc. civ., va precisato che, dalla relata di notifica apposta sulla copia della sentenza notificata depositata dallo stesso D.F., risulta che la notifica (peraltro, finalizzata all’esecuzione) è stata indirizzata al MIUR e non anche all’Avvocatura generale dello Stato.

8. Conseguentemente tale notifica non può valere al fine di far decorrere il suindicato termine breve per due ragioni, cioè: a) perchè, secondo un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte recentemente ribadito dalla Sezioni unite (Cass. SU 13 giugno 2011, n. 12898), la notificazione della sentenza in forma esecutiva eseguita alla controparte personalmente anzichè al procuratore costituito ai sensi dell’art. 170 cod. proc. civ., comma 1, e art. 285 cod. proc. civ., è inidonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti sia del notificante, sia del destinatario; b) perchè la notifica stessa è stata effettuata solo al MIUR e non anche all’Avvocatura generale dello Stato, come prescritto dal R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11 e della L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 9.

9. Altrettanto infondato è l’altro profilo di inammissibilità riferito ad un presunto superamento del termine annuale stabilito dall’art. 327 cod. proc. civ..

10. Va. infatti, precisato al riguardo che dalla copia del ricorso notificato risulta che la richiesta di avvio del procedimento notificatorio è stata effettuata il 23 novembre 2006 e, inoltre, a margine dell’atto è apposto il timbro, recante il numero cronologico che è datato 24 novembre 2006 e firmato. Poichè la sentenza è stata depositata il 24 novembre 2005, non si è verificato alcun superamento dell’indicato termine annuale.

11. Quanto al merito, la questione oggetto della controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale ATA trasferito dagli enti locali at MIUR in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8.

12. Tale norma, dopo aver premesso, al comma 1, che il personale ATA degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado passa a carico dello Stato, prevede, nel comma 2, che: “Il personale di ruolo di cui al comma 1, dipendente degli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale è consentita l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonchè il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto”.

13. La disposizione fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal D.M. Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che “recepì” l’accordo stipulato tra PARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000.

14. Con tale accordo l’ARAN e le associazioni sindacali avevano dato applicazione alla L. n. 124 del 1999, art. 8, stabilendo, quanto al regime contrattuale, che, pur nella prosecuzione ininterrotta del relativo rapporto di lavoro, cessava di applicarsi a decorrere dall’1 gennaio 2000 il c.c.n.l. 1 aprile 1999 del Comparto Regioni-Autonomie locali e dalla stessa data si applicava il c.c.n.l. 26 maggio 1999 del Comparto Scuola.

15. L’art. 3 dell’accordo disciplinò l’inquadramento professionale e retribuivo, nei seguenti termini: i dipendenti trasferiti “sono inquadrati nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola, indicate nell’allegata tabella B, con le seguenti modalità. Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale, tra quelle indicate nell’allegata tabella B, d’importo qualificato la disposizione tra le “norme di sanatoria con efficacia retroattiva” perchè il legislatore, emanandola, ha elevato a dato normativo primario il contenuto di un atto regolamentare o amministrativo a carattere generale (il decreto ministeriale che aveva a sua volta recepito l’accordo collettivo ARAN-Sindacati del 2000) giudicato dalla giurisprudenza inidoneo a derogare una norma di legge. Elevato il livello del contenuto normativo del decreto ministeriale trascrivendolo in una norma di rango primario, è venuto meno con efficacia retroattiva il vizio dell’atto. “Si è trattato – precisano le Sezioni unite – di una sanatoria ex lege del contenuto precettivo del D.M. 5 aprile 2001, ciò che in linea di principio era consentito lare al legislatore avendo la giurisprudenza costituzionale da tempo ammesso le leggi di sanatoria pur assoggettandone la sostanziale retroattività a scrutinio di legittimità sulla base del parametro della ragionevolezza” (Così: Cass. S.U. 8 agosto 2011, n. 17076.

richiamando Corte cost. n. 234 del 2007).

21. Le questioni di legittimità costituzionale riguardanti la suddetta norma introdotta dalla legge finanziaria sollevate da vari giudici – compresa questa Corte di cassazione, che, con ordinanza n. 22260 del 2008. prospettò la violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 CEDU, relativamente al problema dell’ingerenza legislativa in controversie giudiziarie in corso – sono state tutte respinte dalla Corte costituzionale con una pluralità di pronunzie: la sentenza n. 234 del 2007, le ordinanze n. 400 del 2007 e n. 212 del 2008, nonchè la sentenza n. 311 del 2009.

22. Pertanto, dopo tali pronunce del Giudice delle leggi, i ricorsi proposti dai dipendenti che assumevano il carattere non retroattivo della norma di interpretazione contenuta nella L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, sono stati respinti da questa Corte con numerose sentenze (vedi, per tutte: Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).

23. Questo approdo è stato nuovamente messo in discussione dai successivi sviluppi della vicenda sul piano della giurisprudenza europea.

24. Sono, infatti, intervenute sul tema sia la Corte europea dei diritti dell’uomo, sia la Corte di giustizia dell’Unione europea.

25. La Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa con una decisione (sentenza 7 giugno 2011, Agrati ed altri c. Italia) non ancora definitiva, perchè è oggetto di richiesta di rinvio della causa alla Grande Camera, presentata dallo Stato italiano, ai sensi dell’art. 43 della CEDU. 26. La Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) si è espressa, con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10), sulla domanda di pronuncia pregiudiziale – proposta ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Venezia, nella controversia instaurata nei confronti del Ministero dalla signora S. I. – in merito alìinterpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti.

27. Il Tribunale di Venezia aveva sottoposto alla Corte quattro questioni pregiudiziali.

28. La prima questione consisteva, in sintesi, nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8, possa costituire un “trasferimento d’impresa” ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori.

29. La soluzione della Corte UE è affermativa, nei seguenti termini:

“La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parli di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro” (vedi punto 1 del dispositivo e punto 66 della motivazione).

30. Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: a) se la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva 77/1987 (trasfusa, unitamente alla direttiva 98/50, nella direttiva 2001/23) deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seeonda questione); b) se il suddetto art. 3 della menzionata direttiva debba essere interpretato nel senso che tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione).

31. Con riferimento a tali due questioni il dispositivo della decisione è il seguente: “quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa. L’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. E’ compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo”.

32. Dal complesso dei suindicati principi si desume, quindi, che la Corte UE ha chiamato il giudice nazionale ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un “peggioramento retribuivo sostanziale”.

33. In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame, v., supra, accordo del 20 luglio 2000). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli Stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo “scopo della direttiva”, consistente “nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento” (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva “ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente”).

34. Quindi, nella definizione delle singole controversie è necessario stabilire se, in concreto, si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice nazionale (nella attuale controversia: il giudice del rinvio) deve osservare i seguenti criteri: 1) Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75, e al 77 si precisa “posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento”. Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

2) Quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributi vo sostanziale” (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere “globale” (n. 76: “condizioni globalmente meno favorevoli”; n. 82: “posizione globalmente sfavorevole”), quindi non limitato allo specifico istituto, ma considerando eventuali trattamenti più favorevoli su altri profili nonchè eventuali effetti negativi sul trattamento di fine rapporto e sulla posizione previdenziale. 3) Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto “all’atto del trasferimento” (n. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: “all’atto della determinazione della toro posizione retributiva di partenza”).

35. La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente del comma 218 dell’art. 1 della legge finanziaria 2006, all’art. 6, n. 2, TUE, in combinato disposto con l’art. 6 CEDU e artt. 46, 47 e 52, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della sentenza emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha statuito che: “vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi” di cui alle norme suindicate (vedi: punti 27 e 84 della sentenza).

36. La sentenza della Corte di giustizia UE incide sul presente giudizio. In base all’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere- dovere di dare immediata applicazione alle norme della UE provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (vedi, per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984: ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme UE direttamente applicabili (vedi: Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè sull’onere di interpretazione conforme al diritto UE, tra le tante: Corte cost. sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

37. Il caso in esame deve quindi essere deciso in consonanza con la citata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Ciò comporta che il ricorso deve essere accolto, seppure per ragioni diverse da quelle addotte dal MIUR, perchè la violazione del complesso normativo costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (cui fa riferimento il ricorrente) deve essere veriticata sulla base dei principi enunciati della Corte di giustizia UE, nei termini dianzi indicati (vedi, spec. punto 34 della presente sentenza).

38. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio ad altro Giudice, il quale, applicando i suindicati criteri di comparazione, dovrà decidere la controversia nel merito, verificando la sussistenza, o meno, di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento. Il Giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2011

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