Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2344 del 03/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/02/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 03/02/2020), n.2344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27787-2017 proposto da:

B.A., B.A.M., B.M.,

B.C., B.M., B.P., M.G.,

M.N., M.M.M., M.L., MA.LI.,

M.F., M.A., MA.AN., ISTITUTO DI (OMISSIS), in

persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO BOGGIA, rappresentati e difesi dall’avvocato

NICOLA M.;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI GROTFAGLIE, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI, 30, presso

il Dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato IRENE

VAGLIA;

– resistente –

avverso l’ordinanza n. R.G. 413/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 06/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 08.09.2016, B.A. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe convenivano in giudizio innanzi alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, il Comune di Grottaglie al fine di vedersi riconoscere la giusta indennità per la reiterazione di vincoli preordinati all’esproprio e/o sostanzialmente espropriativi, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, imposti sui loro terreni siti in Grottaglie e identificati catastalmente al foglio 36 particelle 2473 e 247, già 79 (subalterni 2 e 3), di cui asserivano essere comproprietari.

Nel contraddittorio del Comune di Grottaglie, la Corte adita, con ordinanza del 06.04.2017, rigettava la domanda ritenendo che si fosse in presenza di un vincolo conformativo per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, non avente pertanto natura sostanzialmente espropriativa. Avverso detta ordinanza, propongono ricorso i proprietari con due motivi. Il Comune di Grottaglie ha depositato un “atto di costituzione”, con cui, dato “per noto” il ricorso, ha concluso per l’inammissibilità, o il rigetto del ricorso avversario. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va, preliminarmente, dichiarata l’inammissibilità dell’atto di costituzione del Comune. In disparte la questione della qualificazione di tale atto come controricorso (in riferimento ai requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., cfr. Cass. SU n. 22571 del 2019), esso è stato notificato ai ricorrenti per mezzo del servizio postale con consegna all’agente postale il 5 marzo 2018, ben oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c. essendo il ricorso stato notificato all’Ente in via telematica il 6 novembre 2017, all’indirizzo pec (ufficiolegale.comunegrottaglie.pec.rurar.puglia.it) indicato in sede di merito.

Tanto comporta l’inammissibilità della memoria, in applicazione della giurisprudenza, che, espressa in tema di definizione del procedimento ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., esprime un principio di carattere generale in riferimento al rito camerale non partecipato, secondo cui, in assenza di deposito del controricorso è preclusa alla parte intimata qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio anche se soltanto ai fini della partecipazione alla discussione orale – o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (cfr. Cass. n. 10813 del 2019 e giurisprudenza richiamata).

2. Con i due motivi di ricorso, si deduce: a) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; b) l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare, i ricorrenti lamentano che, nel non ritenere sussistente un vincolo sostanzialmente espropriativo, la Corte d’Appello di Lecce ha violato il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39; si dolgono, inoltre, che la Corte abbia omesso di valutare la questione della mancata integrazione del PRG con la necessarie prescrizioni esecutive di dettaglio, con le quali l’ente comunale avrebbe dovuto specificare quale e quanta parte dell’area, tipizzata come “area di pertinenza attrezzature in progetto” era destinata a “poste e telegrafi” ovvero ad “alberghi” (o a verde pubblico attrezzato), il che aveva comportato la mancanza di una qualsiasi specificazione in ordine ai relativi indici edilizi, con conseguente impossibilità di concreto utilizzo del suolo da parte di essi ricorrenti.

3. I motivi, che meritano una trattazione congiunta in quanto pongono la medesima questione, sono infondati.

4. E’ opportuno ricordare che in materia urbanistica, ai fini del riconoscimento dell’indennità prevista del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, è principio consolidato di questa Corte che il carattere conformativo (e non ablatorio) del piano regolatore o di una sua variante non scaturisce dalla sua collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ovvero dalla presenza di piani particolareggiati o attuativi, ma dipende soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, che presentano i vincoli in esso contenuti. In particolare, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. funditus Cass. n. 3620 del 2016), il vincolo ha carattere conformativo quando esso miri ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, e quando costituisca, comunque, una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto -direttamente incidente sul valore del bene non suscettibile di deroghe di fatto- e tale da configurare in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con particolari tipi di beni pubblici; mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area.

Nell’ambito della categoria delle imposizioni non aventi carattere generale ed obbiettivo, il carattere espropriativo è stato ravvisato (cfr. Corte Cost. n. 6 del 1966) sia nel caso di vincoli preordinati al successivo trasferimento della proprietà del bene sia nel caso in cui i vincoli stessi incidano sul godimento del bene, rimasto in proprietà al privato, “tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso”.

Tali principi sono stati riprodotti da Corte Cost. n. 55 del 1968, che, ferma restando la legittimità, a monte, del potere di zonizzazione, ha dichiarato l’illegittimità delle norme della legge urbanistica (art. 7, nn. 2, 3 e 4) immediatamente operative nei confronti di diritti reali che ponevano vincoli a carattere particolare ed a tempo indeterminato preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi a carico della proprietà privata senza previsione di indennizzo. E’ dunque intervenuta la L. n. 1187 del 1968, art. 2 ha sancito la decadenza quinquennale per le sole indicazioni di p.r.g. “nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportano l’inedificabilità” (disciplina ora abrogata dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 58 e sostituita dall’art. 9 stesso decreto).

Successivamente, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 179 del 1999, ha affermato che fuoriescono dallo schema ablatorio-espropriativo e dalle connesse garanzie costituzionali i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene (cfr. Cass. n. 3620 del 2016 cit. e Cons. Stato n. 1669 del 2015). In conclusione, non tutti i vincoli urbanistici sono soggetti a decadenza, ma solo quelli a preordinati all’espropriazione o a carattere espropriativo, ed in tal caso, l’indennizzo, come alternativa non eludibile al termine di efficacia posto dalla L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2, è dovuto in ipotesi di reiterazione del vincolo scaduto -possibilità riconosciuta all’Amministrazione per giustificate ragioni di interesse pubblico- che superi la durata fissata dal legislatore come limite alla sopportabilità del sacrificio da parte del soggetto titolare del bene.

5. A tali condivisi principi si è attenuta l’impugnata sentenza, che -a prescindere dall’identificazione della specifica destinazione- si fonda essenzialmente sull’accertata natura conformativa del vincolo, poichè derivante dalla precisa scelta urbanistica di incidere su di una generalità di beni e realizzabile anche attraverso l’iniziativa privata. Il ricorso, con cui si sostiene che tale vincolo sarebbe invece espropriativo, perchè imposto, solo, sui beni di essi ricorrenti, formula una censura inammissibile, sia perchè inerisce al giudizio di fatto sia perchè genericamente formulata, laddove la dedotta indeterminatezza del vincolo -per non esser stato chiarito, mediante disciplina di dettaglio, cosa poter fare e dove- che implicherebbe un esproprio di fatto delle aree è del pari inammissibile, non avendo i ricorrenti allegato di aver proposto istanze per l’utilizzazione dei suoli nè a fortiori specificato che fossero state respinte e con quale motivazione; e del resto la verifica inerente alla dedotta impossibilità di realizzazione delle opere consentite, in conseguenza del concreto configurarsi del vincolo imposto, implica una questione di pertinenza non del giudice ordinario, ma del giudice amministrativo, come tale inammissibile in questa sede.

6. Sotto altro profilo, va rilevato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, ovvero che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia; pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato, come nella specie, comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415 del 29/10/2018).

7. Il ricorso va, in conclusione, rigettato, non dovendo provvedersi sulle spese, stante l’inammissibilità della costituzione del Comune.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 3 febbraio 2020

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