Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23439 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 17/11/2016, (ud. 27/09/2016, dep. 17/11/2016), n.23439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3180/2012 proposto da:

P.M.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VICOLO MARGANA 15, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

RINALDI FERRI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ISABELLA GIANNIOTTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Direttore e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della CARTOLARIZZAZIONE CREDITI INPS

S.C.C.I. S.P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli Avvocati LELIO MARITATO, ANTONINO

SGROI, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA POLIS S.P.A. ora EQUITALIA NORD S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 621/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 01/02/2011 R.G.N. 609/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato RINALDI FERRI LUIGI;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la sentenza impugnata, pubblicata in data 1 febbraio 2011, la Corte d’appello di Venezia, riformando la statuizione di primo grado, rigettava l’opposizione proposta da P.M.C. contro la cartella di pagamento emessa dall’INPS e concernente i contributi dovuti alla gestione commercianti. La Corte, richiamando un precedente di questa Corte n. 845/2010, riteneva che il socio accomandatario di una società che svolge intermediazione immobiliare deve essere iscritto nella gestione degli esercenti attività commerciali in quanto unico soggetto abilitato a compiere atti in nome della società, sicchè l’esercizio dell’attività commerciale in modo abituale e prevalente è “in re ipsa”.

2. Contro la sentenza, la P. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, illustrati da memoria. L’Inps resiste con controricorso. Motivi della decisione.

1. Con il primo motivo la P. censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202 e 203 e della L. n. 45 del 1986, art. 3. Assume che l’iscrizione alla gestione commercianti è subordinata alla ricorrenza dei presupposti previsti dall’art. 1, comma 203, i quali devono tutti coesistere. In particolare è necessario che l’apporto del soggetto all’attività della propria impresa sia prevalente rispetto all’attività prestata da altri soggetti al suo interno e che la partecipazione al lavoro aziendale, necessaria ai fini dell’iscrizione nella gestione commercianti, non può essere presunta nel socio che sia anche amministratore della società ma è un quid pluris che deve aggiungersi all’attività di amministratore.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, comma 203, L. cit., e della L. n. 45 del 1986, art. 3, nonchè l’omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione. Rileva che era onere dell’Istituto previdenziale provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo e tale onere non era stato assolto dall’Inps, il quale aveva fondato la sua pretesa esclusivamente sull’assunto che il socio accomandatario, in quanto tale, deve essere iscritto alla gestione commercianti, senza nulla dedurre sulla partecipazione personale al lavoro aziendale della socia con i caratteri della abitualità e della prevalenza. Al contrario, essa ricorrente aveva dimostrato che il suo lavoro all’interno della società era inesistente, giacchè il suo oggetto era costituito dalla gestione di un unico immobile e dalla riscossione dei relativi canoni, senza una vera e propria attività commerciale. Sul punto la sentenza non aveva affatto motivato.

3. Entrambi i motivi, che si affrontano congiuntamente, sono fondati.

4. E’ opportuno premettere che, come ribadito nella sentenza impugnata, non si pone nel caso in esame un problema di doppia iscrizione del socio nella gestione commercianti e nella gestione separata, in quanto la odierna ricorrente non è iscritta alla gestione separata. Si discute, invece, dei requisiti che devono ricorrere affinchè sorga l’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa per gli esercenti attività commerciale.

5. Questa Corte al riguardo ha già affermato che, se alla luce della norma interpretativa contenuta nel D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 11, non opera il criterio della attività prevalente, sicchè vale l’obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti che a quella separata (Cass. Sez. Un., 8 agosto 2011, n. 17076), tuttavia, proprio per l’autonomia delle posizioni, è necessario che per ciascuna di esse ricorrano le condizioni richieste dalla legge, cioè che si realizzi una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria (Cass. ord. 1 luglio 2015, n. 13446 e Cass. ord. 5 marzo 2013, n. 5444).

6. L’Inps ritiene invece che l’obbligo della iscrizione alla gestione commercianti per il socio accomandatario della s.a.s. sorga automaticamente, in ragione della posizione rivestita all’interno della società, essendo l’accomandatario l’unico soggetto abilitato a compiere atti in nome della s.a.s.. Tale assunto è infondato.

7. La disciplina dei presupposti dell’iscrizione alla gestione speciale commerciante dell’assicurazione generale obbligatoria ha subito modifiche di notevole entità ad opera della L. n. 662 del 1996. Un ruolo centrale è svolto dai commi 202 e 203 dell’art. 1, i quali, così recitano: “202. A decorrere dal 1 gennaio 1997 l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613 e successive modificazioni ed integrazioni, è estesa ai soggetti che esercitino in qualità di lavoratori autonomi le attività di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 49, comma 1, lett. d), con esclusione dei professionisti ed artisti.

203. La L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1, è sostituito dal seguente:

L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613 e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;

b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata;

c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;

d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”.

Con la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203, il legislatore ha esteso l’obbligo dell’iscrizione anche ai soci delle società a responsabilità limitata, per i quali è stata esclusa la necessità del requisito di cui alla lettera b), ossia la diretta assunzione degli oneri ed i rischi relativi alla gestione della attività.

Anche la L. n. 1397 del 1960, art. 2, che estendeva l’obbligo della iscrizione ai soci delle s.n.c. solo in presenza di tutti i requisiti indicati dall’art. 1, è stato abrogato e sostituito dalla L. 28 febbraio 1986, n. 45, art. 3, tuttora vigente, del seguente tenore: “Le disposizioni sull’iscrizione all’assicurazione contro le malattie contenute nella L. 27 novembre 1960, n. 1397, art. 1, come sostituito dalla L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, si applicano anche ai soci di società in nome collettivo o in accomandita semplice le quali esercitino le attività previste da tale articolo nel rispetto delle norme ad esse relative e gestiscano imprese organizzate prevalentemente con il lavoro dei soci e degli eventuali familiari coadiutori di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, art. 2. I soci devono possedere i requisiti di cui della L. 27 novembre 1960, n. 1397, citato art. 1, comma 1, lett. b) e c) e per essi non sono richiesti l’iscrizione al registro di cui alla l. 11 giugno 1971, n. 426, e il possesso delle autorizzazioni o licenze che siano prescritte per l’esercizio dell’attività”.

8. Perchè, quindi, sorga l’obbligo della iscrizione per i singoli soci non è sufficiente il requisito di cui alla lett. b), ossia la responsabilità illimitata per gli oneri ed i rischi della gestione, ma è comunque richiesta anche l’ulteriore condizione di cui alla lett. c) ed è quindi necessaria la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.

9. La disposizione in commento, inoltre, non differenzia in alcun modo l’accomandatario dal socio della s.n.c. e detta equiparazione risulta senz’altro coerente con la disciplina codicistica, atteso che, a norma dell’art. 2318 c.c., “i soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi deì soci della società in nome collettivo”. Ne discende che, così come nelle società in nome collettivo non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione il regime della responsabilità illimitata del socio, parimenti nella società in accomandita semplice l’accomandatario sarà tenuto all’iscrizione solo qualora partecipi direttamente al lavoro aziendale e detta partecipazione sia abituale e prevalente.

10. Il requisito di cui alla lettera c) non può dunque necessariamente discendere dalla qualità di accomandatario, poichè, rispetto alle previsioni della L. n. 1397 del 1960, così come successivamente integrata e modificata, vanno tenuti distinti i due piani del funzionamento della società, con i connessi poteri di amministrazione, e della gestione della attività commerciale, che ben può essere affidata a terzi estranei alla compagine sociale o ad altri soci che non siano anche amministratori della società.

11. E ciò perchè, come rimarcato da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza 12.2.2010, n. 3240, l’assicurazione obbligatoria “è posta a protezione, fin dalla sua iniziale introduzione, non già dell’elemento imprenditoriale del lavoratore autonomo, sia esso commerciante, coltivatore diretto o artigiano, ma per il fatto che tutti costoro sono accomunati ai lavoratori dipendenti dall’espletamento di attività lavorativa abituale, nel suo momento esecutivo, connotandosi detto impegno personale come elemento prevalente (rispetto agli altri fattori produttivi) all’interno dell’impresa”.

12. Alla luce di queste considerazioni, va ribadito il principio di diritto già espresso da questa corte (Cass. 26 febbraio 2016, n. 3835), secondo cui “ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, che ha modificato la L. n. 160 del 1975, art. 29 e della L. n. 45 del 1986, art. 3, la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui prova è a carico dell’istituto assicuratore”.

13. La sentenza pertanto deve essere cassata con rinvio al giudice d’appello il quale verificherà, alla luce delle emergenze istruttorie in atti, la sussistenza di un’attività commerciale con i caratteri indicati, dovendosi peraltro tener presente che, secondo quanto già affermato da questa Corte (Cass. 26 agosto 2016, n. 17370; Cass. 6 settembre 2016, n. 17643), l’attività di mera riscossione dei canoni di un immobile affittato non costituisce di norma attività d’impresa, indipendentemente dal fatto che ad esercitarla sia una società commerciale (Cass. ord. 11 febbraio 2013), salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare (Cass. n. 845 del 2010), e che l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri, per come sopra ricostruiti. Il giudice del rinvio provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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