Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23434 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 17/11/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 17/11/2016), n.23434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5182-2011 proposto da:

B.P., M.P., G.M., D.G.,

R.G., tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dagli avvocati GABRIELE PALOSCIA e TOMMASO ROLFO, giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

BANCA CR FIRENZE S.P.A., C.f. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SALARIA 332, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE MAJO,

rappresentata e difesa dall’avvocato VITTORIO BECHI, giusta delega

in atti;

EQUITALIA CERIT S.P.A., C.f. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SALARIA 332, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE MAJO,

rappresenta e difesa dall’avvocato VITTORIO BECHI, giusta delega in

atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 80/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/02/2010 r.g.n. 698/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udite l’Avvocato BECHI VITTORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata l’8.2.10 la Corte d’appello di Firenze rigettava il gravame dei ricorrenti di cui in epigrafe contro la sentenza del Tribunale della stessa sede che ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere la condanna della Banca CR Firenze S.p.A. al pagamento di differenze retributive varie conseguenti all’invocata retrodatazione della decorrenza (tra il 1967 e il 1979) dei rispettivi rapporti di lavoro in ragione del fatto che ognuno dei lavoratori, prima di essere assunto a tempo indeterminato, era stato inizialmente e illegittimamente assunto con rapporto di servizio saltuario per svolgere le mansioni di messo notificatore od ufficiale esattoriale.

Per la cassazione della sentenza ricorrono i lavoratori affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

Resistono con separati controricorsi Banca CR di Firenze S.p.A. ed Equitalia Cerit S.p.A. (cessionaria di ramo d’azienda da parte della prima), anche nei confronti della quale si sono celebrati i gradi di merito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 7, art. 188 c.p.c. e art. 414 c.p.c., n. 5 e art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata attribuito ai ricorrenti l’onere della prova concernente l’assenza o meno di soluzioni di continuità negli iniziali rapporti sorti come a tempo determinato, nonchè la prova della sussistenza delle condizioni legittimanti l’assunzione a termine, senza poi neppure consentire la prova chiesta a riguardo fin dal primo grado dai ricorrenti medesimi e ciò nonostante che la pronuncia del Tribunale avesse già accertato che i rapporti de quibus si erano svolti senza interruzione alcuna, come allegato fin dall’introduzione del giudizio.

Il secondo motivo prospetta violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2697 e 1230 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale sostanzialmente confermato la novazione del rapporto di lavoro dei ricorrenti – da messi saltuari a notificatori ordinari – illegittimamente rilevata d’ufficio dal giudice di prime cure e, comunque, sfornita di qualsiasi prova dei relativi elementi qualificanti. Ad ogni modo – prosegue il ricorso – l’unica eventuale modifica degli originari rapporti, da dipendenti avventizi a dipendenti di ruolo, non comporta novazione, ma mera vicenda modificativa d’un rapporto unitario.

Il terzo motivo deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 18 CCNL esattoriali del 1971, in virtù del quale l’assunzione in servizio saltuario di ufficiali esattoriali e messi esattori è consentita per ciascun mese per meno di 15 giorni e, complessivamente, per meno di 180 giorni nell’anno ad orario normale.

2 – I tre motivi di impugnazione – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – vanno disattesi.

A pag. 2 del ricorso si riporta un passaggio dell’atto introduttivo di lite in cui si lamenta la “mancata retribuzione dei periodi non lavorati”, dal che si evince che gli stessi odierni ricorrenti avevano esordito con l’allegare, sostanzialmente, che i rispettivi rapporti di lavoro avevano avuto delle soluzioni di continuità, seppur ritenute illegittime.

Dunque, la non continuità dei rapporti de quibus, affermata anche dalle società controricorrenti, deve considerarsi un fatto pacifico e, come tale, non bisognoso di prova, sicchè è vano discutere sulla ripartizione del relativo onere probatorio.

Si tenga presente che la possibilità di assumere gli odierni ricorrenti come messi notificatori od ufficiali esattoriali saltuari era prevista dai contratti collettivi e riscontrata in sede previdenziale dalla L. n. 377 del 1958, art. 8 norma anteriore alla prima legge limitativa delle assunzioni a termine (la L. n. 230 del 1962).

Importanza centrale ai fini dell’accertamento della legittimità di tali assunzioni rivestiva l’art. 18 CCNL esattoriali del 1971, che autorizzava l’assunzione di ufficiali esattoriali e messi notificatori in servizio saltuario (per meno di 15 giorni in ciascun mese e, complessivamente, per meno di 180 giorni nell’anno ad orario normale) in quelle esattorie ove per esigenze di servizio non fosse stata consentita la loro prestazione in via continuativa.

Non risulta che tali limiti temporali siano stati, allora, superati, anche se si obietta in ricorso la mancanza di prova dell’esistenza delle condizioni legittimanti le suddette assunzioni a termine, prova gravante sul datore di lavoro.

Ma pur a voler – in astratta ipotesi – supporre che i rapporti originariamente sorti fossero da qualificarsi come veri e propri rapporti di lavoro a tempo indeterminato, resta il rilievo della loro avvenuta novazione, affermata da entrambe le sentenze di merito, esclude la rilevanza dell’esistenza o meno, all’epoca, delle suddette condizioni legittimanti l’assunzione a termine.

Infatti, con la novazione resta esclusa a monte la possibilità di retrodatare l’inizio dei rapporti de quibus, retrodatazione che è il presupposto delle differenze retributive per cui è causa.

Nè è fondata la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c. sollevata con il secondo motivo di ricorso, perchè in realtà la novazione non forma oggetto di un’eccezione in senso proprio, come si desume dalla nozione e dalla disciplina, quali delineate negli artt. 1230 – 1235 c.c., poste a raffronto con l’espressa previsione della non rilevabilità d’ufficio della compensazione (art. 1242 c.c.).

Pertanto, ben può il giudice rilevarla d’ufficio, come questa S.C. ha già avuto modo di statuire: cfr. Cass. n. 12685/15; Cass. n. 8527/09; Cass. n. 3026/99.

Più in generale sulla distinzione fra eccezioni in senso stretto e in senso lato è appena il caso di ribadire l’insegnamento di Cass. S.U. n. 15661/05, secondo cui nel nostro ordinamento sono eccezioni in senso stretto quelle rilevabili solo ad istanza di parte in virtù di espressa disposizione normativa in tal senso o quelle in ci).i il fatta integratore dell’eccezione corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio soltanto da parte del titolare.

All’evidenza, l’eccezione di novazione non rientra in nessuna di queste due categorie.

Si sostiene, ancora, in ricorso, che ad ogni modo non di vera e propria novazione si sarebbe trattato, bensì di mera vicenda modificativa d’un rapporto unitario.

Tuttavia, l’accertamento in concreto dei presupposti della novazione è proprio del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se logicamente motivato (cfr., ex aliis, Cass. n. 5673/10; Cass. n. 11672/07), accertamento che nel caso di specie è stato correttamente effettuato avuto riguardo non già al mero passaggio da dipendenti avventizi a dipendenti di ruolo, ma anche alla modifica dei contrapposti obblighi contrattuali fra le parti e alle modalità della prestazione lavorativa.

Nè tale verifica può oggi essere rimessa in discussione: ciò presupporrebbe un accesso diretto agli atti di causa e un loro apprezzamento, non consentiti in sede di legittimità.

4- In conclusione il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in favore di ciascuna società controricorrente in Euro 4.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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