Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23433 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/10/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 26/10/2020), n.23433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9279/2017 proposto da:

B.M.L., BI.BE., G.B., tutti

domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ISACCO

SULLAM;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVRSITA’ E DELLA RICERCA, CIRCOLO

DIDATTICO STATALE LURATE CACCIVIO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1229/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/03/2016 R.G.N. 308/2014.

 

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 1229 del 2015, ha rigettato, le domande proposte in riassunzione da B.M.L., Bi.Be. e G.B. e altri lavoratori, nei confronti del Ministero dell’istruzione, università e ricerca (MIUR) e delle rispettive direzioni didattiche ed istituti scolastici.

2. Questa Corte, con la sentenza n. 5281 del 2013, aveva cassato con rinvio la sentenza della suddetta Corte d’Appello di Milano che aveva respinto le domande delle lavoratrici volte al riconoscimento a fini economici dell’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’Ente locale prima del trasferimento nei ruoli del Ministero, disposto ai sensi della L. 3 maggio 1999, n. 124.

3. La Corte d’Appello con la sentenza pronunciata in sede di riassunzione ha richiamato i principi enunciati nella sentenza rescindente, che garantiscono i lavoratori contro il peggioramento del trattamento economico percepito, ma non assicurano agli stessi in alcun modo un miglioramento della propria condizione retributiva.

Quindi, ha affermato che la propria cognizione in fase rescissoria era limitata dai dicta enunciati dal giudice di legittimità nella fase rescindente, e che nella specie il rinvio era stato disposto dalla sentenza Cass. n. 5281/13 per verificare in concreto, il rispetto della normativa come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Occorreva, pertanto, stabilire se a causa del mancato riconoscimento

dell’anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito avesse subito un peggioramento retributivo, inteso come peggioramento retributivo sostanziale e globale, cioè non limitato allo specifico istituto, operando un confronto con le condizioni immediatamente antecedenti il trasferimento.

Il giudice di secondo grado ha rilevato che le ricorrenti avevano dedotto l’esistenza di una differenza derivante dalla mancata conservazione di una voce di salario accessorio, rappresentata in concreto dal premio annuo incentivante, con il conseguente asserito verificarsi del presupposto della riduzione del trattamento economico complessivo all’atto del passaggio allo Stato.

Tali deduzioni in ordine alla base di calcolo utilizzata per l’attuazione della c.d. temporizzazione con esclusione del premio annuo incentivante sono state introdotte solo in fase di rinvio, che è un giudizio a carattere chiuso.

La pretesa delle lavoratrici risultava, altresì, infondata in quanto le stesse non avevano nè allegato, nè provato, che l’emolumento in questione avesse carattere continuativo e fosse corrisposto in connessione all’organizzazione del lavoro ed alla esecuzione della prestazione, organizzazione e prestazione rimaste immutate nel passaggio dall’ente locale.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono B.M.L., Bi.Be. e G.B. nei confronti del MIUR e del Circolo didattico statale Lurate Caccivio, prospettando tre motivi di ricorso.

5. L’Amministrazione è rimasta intimata.

6. In prossimità dell’adunanza camerale, le lavoratrici hanno depositato memoria e la sentenza della CEDU, Cicero ed altri c. Italia, esponendo che quest’ultima confermava la sentenza Agrati e altri c. Italia.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 384 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Assumono le ricorrenti che la Corte di rinvio doveva accogliere le domande delle ricorrenti in punto “temporizzazione della retribuzione

complessiva”, come calcolata nelle tabelle non contestate dall’Amministrazione, che si limitava a dedurre di avere applicato l’Accordo Aran 00.55. del 20 luglio 2000 oppure procedendo a CTU.

La Corte d’Appello deduceva di essere vincolata, in ragione del carattere chiuso del giudizio di rinvio a quanto statuito dalla sentenza rescindente di questa Corte, ma poichè i ricorsi introduttivi venivano proposti nella vigenza della L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, nel testo originario, era di tale disciplina che le attrici chiedevano l’applicazione nel giudizio di riassunzione, e in tal senso si indicavano e comparavano le retribuzioni.

La Corte d’Appello doveva tenere in considerazione che i ricorsi erano antecedenti alla L. n. 266 del 2005 e alla sentenza CGUE.

La comparazione era stata effettuata da esse ricorrenti attraverso le

tabelle inserite nel ricorso in riassunzione e i modelli 98.2 e PA04.

1.2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che è inammissibile la sollecitazione, in cui si sostanzia il motivo, ad una revisione del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente.

Quest’ultima, pronunciata dopo l’intervento della Corte di Giustizia e della Corte E.D.U. (la sentenza Cass., n. 5281 del 2013, è stata pubblicata il 4 marzo 2013, successivamente alla pubblicazione della sentenza Agrati ed altri contro Italia del 7 giugno 2011) ha ribadito l’efficacia retroattiva della L. n. 266 del 2005, art. 1; ha richiamato i quattro interventi del Giudice delle leggi, che hanno escluso profili di illegittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica; ha ritenuto che il complesso normativo fosse, appunto, costituito dalla L. n. 124 del 1999 e L. n. 266 del 2005 e che, sulla base del diritto Eurounitario, come interpretato dalla Corte di Lussemburgo, la domanda potesse trovare accoglimento solo nell’ipotesi di accertato peggioramento retributivo sostanziale.

A norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tenere conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità (cfr. fra le tante Cass. n. 11290/1999; Cass. n. 16518/2004; Cass. n. 23169/2006; Cass. n. 17353/2010; Cass. n. 1995/2015).

Dall’irretrattabilità del principio di diritto discende che la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla regula iuris in precedenza enunciata, perchè l’efficacia vincolante, che si estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno (Cass. n. 17353/2010 e Cass. n. 20981/2015), viene meno solo qualora la norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta inapplicabile per effetto di ius superveniens (cfr. fra le tante Cass. n. 20128/2013; Cass. n. 13873/2012; Cass. n. 17442/2006).

Tali ultime condizioni non ricorrono nel caso di specie, perchè il quadro normativo è rimasto immutato rispetto a quello apprezzato dalla sentenza rescindente, che ha con chiarezza indicato i limiti del giudizio di rinvio, subordinando l’accoglimento dell’originaria domanda all’esito dell’accertamento di fatto, effettuato dalla Corte territoriale in termini negativi per gli originari ricorrenti.

Nelle argomentazioni del motivo, le ricorrenti, nel richiamare i prospetti inseriti nel ricorso in riassunzione e i modelli 98.2 e PA04, riprospettano questioni già vagliate dalla sentenza rescindente con riguardo atta disciplina e ai principi applicabili.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (art. 360 c.p.c., n. 3).

E’ censurata la statuizione secondo cui la pretesa delle lavoratrici risultava, altresì, infondata in quanto le stesse non avevano nè allegato, nè provato, che l’emolumento in questione avesse carattere continuativo e fosse corrisposto in connessione all’organizzazione del lavoro ed alla esecuzione della prestazione, organizzazione e prestazione rimaste immutate nel passaggio dall’ente locale.

Ed infatti la statuizione della Corte d’Appello sarebbe erronea in quanto in contrasto con la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, che si riferisce alla retribuzione complessiva annua del 1999.

Le lavoratrici richiamano, quindi, le difese svolte in appello ove si faceva riferimento al premio incentivante stabilito dal CCNL 1995 e 1999, e previsto dall’art. 28 del CCNL Enti locali del 6 luglio 1995, che include tale premio tra il trattamento accessorio. Ricordano, altresì, di aver dedotto che l’ammontare della retribuzione complessiva si ricavava dai modelli 98.2 e PA04.

Pertanto, era errata l’affermazione che il premio incentivante non fosse stato corrisposto con continuità.

2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto le censure anche in relazione alla perdita degli elementi accessori della retribuzione, sono generiche e sostanzialmente eccentriche rispetto al criterio dettato nella pronuncia rescindente.

La Suprema Corte ha infatti demandato al giudice del rinvio di accertare un dato relazionale e concreto, ovverosia se, di fatto, i trattamenti retributivi, nel loro effettivo ammontare, prima e dopo il trasferimento, fossero diseguali.

Il richiamo della ricorrente a determinati istituti retributivi, riconosciuti prima e non attribuiti dopo, dunque non coglie nel segno, perchè quello che conta non sono, come giustamente sottolineato anche dalla Corte di appello di Milano, le singole voci retributive, ma il confronto tra i complessivi valori ante e post trasferimento, in quanto discendenti da poste fisse e continuative.

La Corte d’Appello ha escluso la sussistenza di un peggioramento retributivo sostanziale e globale atteso che non era provato che il premio incentivante fosse stato corrisposto in via continuativa ed in connessione all’organizzazione del lavoro ed alla esecuzione della prestazione, organizzazione del lavoro ed alla esecuzione della prestazione rimaste immutate nel passaggio dall’ente locale.

Il motivo qui in esame si sottrae in realtà al confronto con tale statuizione, limitandosi ad un rinvio generico ai modelli 98.2 o PA04, e alle tabelle già proposte con il ricorso in riassunzione, ad affermare l’esistenza di istituti riconosciuti presso gli enti locali e non previsti dal CCNL del comparto scuola, ma omettendo qualsiasi precisa indicazione, anche numerica – nel che consiste il confronto relazionale richiesto dalla sentenza rescindente, che come detto prescinde dalle singole componenti dell’uno e dell’altro trattamento – sui valori fissi, continuativi e non aleatori, in concreto percepiti ante e post trasferimento, così non assolvendo gli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

I requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicchè, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (Cass. SU 11.4.2012, n. 5698; Cass. S.U. 7.11.2013 n. 25038).

3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

La Corte d’Appello aveva omesso l’esame del fatto decisivo per il giudizio costituito dal peggioramento retributivo sostanziale tra il 1999 e il 2000, nonostante la documentazione prodotta in giudizio (modelli 98.2 e PA04).

3.1. Il motivo è inammissibile.

Il richiamato art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile ratione temporis in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 24 marzo 2016 attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/2014).

Il motivo in esame non è formulato nel rispetto degli oneri sopra indicati ed inoltre finisce per denunciare non l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale.

4. In definitiva, il ricorso si pone complessivamente in contrasto con i principi e la decisione che ha disposto il rinvio, i quali, in quanto il giudizio di rinvio è chiuso rispetto a questioni di diritto già definite con la sentenza rescindente, non possono essere messi in discussione dalla sentenza rescissoria (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27343; Cass. 4 aprile 2013, n. 8225) ed a fortiori non possono essere, come in sostanza avviene in questo caso, prospettate ex novo attraverso il ricorso per cassazione nei riguardi della sentenza che ad essi ha dato attuazione.

5. Il ricorso per cassazione va dunque dichiarato inammissibile.

6. Nulla spese non essendosi costituita l’Amministrazione.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

 

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