Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23430 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/10/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 26/10/2020), n.23430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6318/2016 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA,

257, presso lo studio dell’avvocato PAOLA LIMATOLA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO PUGLIESE;

– ricorrente –

contro

FARO COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI S.P.A., IN

LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ARCHIMEDE 112, presso lo studio dell’avvocato SERGIO MAGRINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO VALENTINI;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 10/2016 del TRIBUNALE di GENOVA, depositato il

27/01/2016 r.g.n. 8688/2014.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA

Che:

la sig.ra G.S., premesso di aver lavorato alle dipendenze della FARO Assicurazioni S.p.A. dal settembre 2001 come funzionaria addetta al settore amministrativo e contabile e dal primo ottobre 2010 sino al 4 agosto 2011 quale dirigente con mansioni di direttore amministrativo, mediante domanda spedita il 12 gennaio 2012 chiedeva di essere ammessa – in via privilegiata ed in prededuzione – al passivo della liquidazione coatta amministrativa in cui l’anzidetta società era stata posta con D.M. 28 luglio 2011, per un credito relativo a compensi maturati in costanza di rapporto, indennizzo per mancato godimento dell’autovettura aziendale, indennità di “outplacement”, indennità supplementare ex art. 38 del c.c.n.l. dirigenti delle imprese di assicurazioni e rimborsi, quantificato in misura pari a complessivi Euro 470.074,05. La ricorrente, in particolare, aveva allegato che all’atto della promozione a dirigente aveva maturato il diritto all’uso di un’autovettura, trattandosi di un benefit per intero, non essendo previsto e possibile un uso promiscuo, per cui aveva effettivamente ricevuto nel mese di dicembre dell’anno 2009 un veicolo di marca BMW X5, restituito all’azienda il 21 marzo 2011, data dalla quale aveva maturato il diritto all’equivalente economico del benefit sino alla risoluzione del rapporto; che con lettera del 28 dicembre 2010 l’azienda le aveva comunicato l’esistenza di un patto di durata minima garantita, fino al 31 dicembre 2015, con l’obbligo per la compagnia di non licenziarla se non per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c., sicchè per l’effetto doveva ritenersi comunque maturato il diritto alla retribuzione fino al 31 dicembre 2015; che il licenziamento intimatole era stato motivato dalla sopravvenuta messa in liquidazione coatta amministrativa della società e dalla conseguente cessazione delle ragioni della permanenza nel posto di lavoro. Nondimeno, l’avvio della procedura di liquidazione coatta non rappresentava evento idoneo a determinare l’immediata cessazione dell’attività d’impresa e la conseguente risoluzione del rapporto con la responsabile dell’amministrazione, sicchè il licenziamento doveva ritenersi sotto tale profilo illegittimo, con il conseguente diritto all’indennità supplementare di cui al citato art. 38;

il commissario liquidatore accoglieva la domanda di insinuazione al passivo limitatamente all’importo di Euro 128,53 a titolo di rateo premio non scaduto, senza fornire una specifica motivazione in ordine al rigetto delle ulteriori pretese avanzate dalla signora G.;

quest’ultima proponeva opposizione avverso l’anzidetto provvedimento, insistendo per l’accoglimento della propria domanda di ammissione al passivo in base alle voci di credito dettagliatamente individuate, tra cui la somma di Euro 189.478,81 a titolo d’indennità supplementare contrattuale, e di Euro 413.026,00 per retribuzione maturata fino al 31 dicembre 2015, Euro 30.594 per t.f.r. ed Euro 1525,30 per rimborso spese mediche;

la FARO S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa si opponeva alle richieste ex adverso avanzate, instando per il rigetto delle domande, osservando in particolare che con provvedimento del 14 luglio 2010, a tutela degli interessi degli assicurati e degli aventi diritto a prestazioni assicurative, l’ISVAP aveva fatto divieto alla società FARO di compiere atti di disposizione su beni esistenti, sicchè era contraria a logica la stipulazione di un patto di durata minima garantita a distanza di sette mesi da tale determinazione, anche perchè fin dall’anno 2015 si erano susseguiti periodi in cui la compagnia FARO era stata sottoposta ad amministrazione straordinaria e poi in liquidazione coatta amministrativa. Di conseguenza, l’accordo appariva nullo in quanto posto in essere in contrasto con le distruzioni imperative emanate dall’ISVAP. Ad ogni modo, il patto datato 28 dicembre 2010 doveva considerarsi inefficace ex art. 1987 c.c., consistendo in una promessa unilaterale effettuata al di fuori dei casi ammessi dalla legge, o comunque inopponibile alla procedura, poichè privo di data certa, laddove inoltre dalle risultanze informatiche emergeva come il documento allegato dalla istante fosse in data 25 – 26 gennaio 2011 una mera bozza incompleta e da rivedere. Inoltre, il provvedimento di licenziamento era stato motivato dall’avvenuta soppressione del posto di lavoro dell’opponente, in conseguenza del decreto in data 28 luglio 2011, con il quale il Ministero dello Sviluppo Economico aveva disposto la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa in tutti i rami e la liquidazione coatta amministrativa. In tal senso in difetto di altri posti di residua utilità in cui collocare la dirigente, stante l’inevitabile blocco dell’attività per l’impossibilità del conseguimento del suo oggetto sociale, non sussistevano i presupposti per garantirle la permanenza presso l’azienda. La circostanza del resto risultava confermata dalla drastica diminuzione dei dipendenti registrata tra il 28 luglio 2011 ed il 12 luglio 2012. Di conseguenza, non era dovuta l’indennità supplementare di cui all’art. 37 del c.c.n.l., nè la quota di incidenza benefit dell’auto aziendale sull’indennità supplementare. Quanto all’autovettura aziendale non emergeva alcuna forma di tassazione sull’eventuale compensi in natura percepito dall’opponente in relazione all’attribuzione del veicolo, che pertanto non appariva qualificabile in termini di fringe benefit. In ogni caso, il valore annuale della concessione in uso ai dipendenti della suddetta autovettura dell’anno 2015 era di Euro 4294,06, sicchè i conteggi effettuati risultavano errati, essendo eventualmente dovuta la somma mensile di Euro 357,83. Del tutto indimostrata appariva, inoltre, la pretesa avanzata circa l’indennità per mancata attivazione della procedura di “outplacement”, determinata dalla istante in via arbitraria. La domanda di pagamento della retribuzione nel periodo compreso tra il 1 ed il 15 agosto 2011 era infondata. Infine, le spese mediche di cui era stato chiesto il rimborso riguardavano in gran parte prestazioni sanitarie effettuate a favore del coniuge della figlia dell’opponente, rimborsabili soltanto in presenza di limiti di reddito non documentati nè allegati, ai sensi della normativa contrattuale applicabile;

il Tribunale di Genova con decreto n. 10 in data 19 febbraio 2015 – 27 gennaio 2016, comunicato l’8 febbraio 2016, in parziale accoglimento dell’opposizione, ammetteva la Dottoressa G.S. al passivo della FARO Compagnia Assicurazioni e Riassicurazioni in l.c.a., per il ridotto importo di Euro 1562,44 con il privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 1, oltre interessi di legge da determinarsi in sede di riparto, disponendo la corrispondente variazione dello stato passivo, oltre al credito già emessa. Condannava l’opponente al pagamento delle spese di costituzione di giudizio a favore della posta FARO in l.c.a., all’uopo liquidate in complessivi Euro 9000,00 per compensi, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge;

avverso il succitato decreto ha proposto ricorso per cassazione la sig.ra G., come da atto notificato il 3 marzo 2016, affidato ad un solo motivo, cui ha resistito la FARO Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, mediante controricorso in data 8/11 aprile 2016;

in seguito le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico mezzo di impugnazione la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 2119 c.c., u.c. (non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore ovvero la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda) e 30 c.c.n.l. ANIA 7-6-2013 per i dirigenti di imprese assicurative, nonchè dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per totale omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. In proposito la ricorrente ha richiamato la sentenza di Cass. sez. un. civ. n. 141 del 10 gennaio 2006 (posto che il provvedimento ordinante la liquidazione di una persona giuridica non costituisce giusta causa – ai sensi dell’art. 2119 c.c., comma 2 – e neppure, di per sè, giustificato motivo di risoluzione del rapporto di lavoro, nel caso di sottoposizione dell’impresa a liquidazione coatta amministrativa, il lavoratore dipendente deve proporre o proseguire davanti al giudice del lavoro le azioni non aventi ad oggetto la condanna al pagamento di una somma di denaro, come quelle tendenti alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento o alla reintegrazione nel posto di lavoro, mentre divengono improponibili o improseguibili temporaneamente, ossia per la durata della procedura amministrativa di liquidazione, le azioni tese all’ottenimento di una condanna pecuniaria. Conformi Cass. lav. n. 398 – 11/01/2007 e n. 1097 del 18/01/2007). Richiamava, altresì, la ricorrente il principio relativo alla immutabilità dei fatti posti a base del licenziamento, tanto nel caso di recessi disciplinari, quanto nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo, ovvero trattandosi di dirigente, per motivo integrante giustificatezza. Nel caso di specie il licenziamento in data 4 agosto 2011 era stato intimato per le seguenti ragioni: “a seguito del provvedimento ministeriale di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa della società FARO… Sono venute a mancare le ragioni della permanenza del posto di lavoro sino ad ora da lei occupato. Nell’impossibilità di ricollocarla in altre posizioni alternativi di residua utilità, le comunico il suo licenziamento”. Dunque, era evidente che l’unica motivazione a sostegno del recesso concerneva la messa in liquidazione coatta amministrativa della società. La ricorrente in sede di opposizione aveva sostenuto che la lettera di licenziamento non integrava minimamente i requisiti motivazionali previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva di settore. Infatti, l’art. 30 del c.c.n.l. stabiliva che in caso di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la parte recedente dovesse darne comunicazione per iscritto all’altra parte (“Nel caso di recesso per iniziativa dell’impresa, la relativa comunicazione deve espressamente e contestualmente contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato…”). La difesa della liquidatela nel costituirsi in giudizio aveva completamente omesso di affrontare la problematica relativa all’assenza di motivazione nella lettera di licenziamento, salvo a sostenere che la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa aveva comportato il blocco dell’attività della FARO per l’impossibilità del conseguimento del suo oggetto sociale, di modo che il commissario liquidatore aveva dovuto procedere alla riorganizzazione aziendale tenendo conto della mutata situazione ormai volta soltanto alla liquidazione della compagnia, assumendo altresì di aver risolto molti altri rapporti di lavoro. A fronte del rilievo di parte ricorrente, secondo cui il recesso appariva immotivato, la L.C.A. aveva osservato che in realtà la circostanza era smentita documentalmente, visto che con decreto del 28 luglio 2011 il Ministero dello Sviluppo Economico aveva disposto la revoca dell’autorizzazione all’esercizio sociale della FARO Assicurazioni, donde il blocco dell’attività assicurativa in tutti i rami e la conseguente liquidazione coatta amministrativa. Risultava, quindi, impossibile il conseguimento dell’oggetto sociale, atteso il blocco dell’attività svolta dall’azienda, una volta avviata la liquidazione definitiva. In ogni caso, il motivo di licenziamento risiedeva nella necessità per la procedura concorsuale di contenere i costi di gestione, tra cui in particolare quello del personale dirigente, nei limiti dello stretto necessario. Dunque, soltanto nella memoria di costituzione la FARO in l.c.a. aveva palesato quali fossero le motivazioni del recesso. Tale distonia era stata evidenziata ampiamente nelle difese della Dott.ssa G., laddove tuttavia la motivazione del decreto impugnato aveva ignorato completamente il tema della totale assenza di una motivazione del licenziamento, indicata in modo compiuto nel corpo dello stesso, per soffermarsi invece sulla sussistenza di quegli aspetti motivazionali che la FARO aveva ritenuto di palesare soltanto in sede di costituzione in giudizio. Tuttavia, altro era l’indicazione dei motivi di recesso nel corpo della lettera di licenziamento, altro era la prova della effettività delle ragioni del recesso in corso di causa. Dunque, l’impugnato decreto andava cassato, perchè aveva ritenuto che la semplice messa in liquidazione coatta amministrativa integrasse di per sè giustificatezza di recesso, in violazione del succitato art. 2019, u.c., nonchè dell’art. 30 del contratto collettivo, per il quale occorreva espressa contestuale specificazione dei motivi a fondamento dell’intimato recesso. Il Tribunale aveva quindi errato, poichè aveva valutato non gli inesistenti e anodini elementi presenti nella lettera di licenziamento, ma invece quelli dedotti in sede di giudizio dalla controparte. Per di più, il decreto risultava viziato da omessa motivazione nei termini precisati da Cass. sez. un. civ. 22 dicembre 2014 n. 19881, per aver totalmente omesso ogni motivazione a fronte delle puntuali difese da parte ricorrente in merito all’assenza nella lettera di licenziamento dei dovuti elementi motivazionali. Nel merito, poi, “ove ritenuto”, la ricorrente ha osservato che l’originaria domanda di ammissione al passivo in via privilegiata riguardava il minimo dell’indennità supplementare ex c.c.n.l. dirigenti aziende assicuratrici, minimo incontestatamente qualificato in 18 mensilità pari ad un importo lordo di Euro 164.550,06. Tanto, attesa la non contestazione avversaria sul numero delle mensilità e sugli importi delle stesse, la controparte “(cfr. pag. 16 e 17 della memoria di costituzione)” si era difesa soltanto in punto di legittimità del recesso, donde la possibilità di oggetto, ove ritenuto dal collegio, di immediata pronuncia sul merito;

tanto premesso, il ricorso di cui è processo in questa sede va dichiarato inammissibile, poichè il provvedimento qui impugnato, avente carattere indubbiamente decisorio e forza di sentenza, ancorchè recante nella sua intestazione l’indicazione di “decreto”, risultava appellabile e non già direttamente ricorribile (cfr. tra le altre Cass. II civ. n. 27127 del 19/12/2014, secondo cui per stabilire se un provvedimento abbia carattere di sentenza o di ordinanza è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicchè hanno natura di sentenze – soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria, anche quando non definiscono il giudizio. In senso conforme Cass. n. 27143 del 2006 nonchè n. 3945 del 19.2.2018). Va quindi data pure continuità al principio di diritto fissato in materia da questa Corte come da ordinanza n. 18119 del 21/07/2017, secondo cui in tema di accertamento del passivo nella liquidazione coatta amministrativa di società di assicurazione, ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 255, contro la sentenza del tribunale che decide sulle cause di opposizione al passivo può essere proposto appello e non direttamente ricorso per cassazione L. Fall., ex art. 99, modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, trattandosi di norma di natura speciale e settoriale, non abrogata neanche implicitamente dalla detta novella, come è confermato per le liquidazioni coatte amministrative degli istituti di credito, dove l’analoga norma contenuta nel D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 88, comma 1, risulta invece espressamente abrogata dal D.Lgs. n. 181 del 2015 (ed a nulla rileva la parziale modifica del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 254, comma 2, in vigore dal 30 giugno 2015, laddove tra le norme di rinvio ivi menzionate non figura più la L. Fall., art. 100, in tema di impugnazione dei crediti ammessi, essendo rimasti però i riferimenti all’art. 98 – opposizione dei creditori esclusi o ammessi con riserva – e art. 99, relativo all’istruzione dell’opposizione e sentenza relativa, il cui ultimo comma peraltro individua i termini sia per l’appello che per il ricorso in cassazione, precisando altresì che per il giudizio di appello si osservano in quanto applicabili le disposizioni dei precedenti commi. Ad ogni buon conto è rimasto invariato, fin dal gennaio 2006, il testo del Decreto n. 209 del 2005, art. 255 (codice delle assicurazioni private), rubricato “appello”, che testualmente così recita: “1. Contro la sentenza del tribunale che decide sulle cause di opposizione può essere proposto appello, anche dai commissari, entro il termine di quindici giorni dalla data di notificazione della stessa, osservandosi per il giudizio di appello le disposizioni previste dalla L. Fall. e dal c.p.c.”);

l’anzidetta declaratoria d’inammissibilità relativa a questione processuale, per ciò di ordine pubblico e quindi indubbiamente rilevabile d’ufficio, non è subordinata, evidentemente, ad alcuna eccezione o impugnazione (principale o incidentale) della parte interessata, come invece erroneamente ipotizzato sul punto dalla ricorrente; tenuto conto delle oscillazioni interpretative avutesi in ordine al tipo d’impugnazione esperibile in materia, anche presso questa Corte, favorite peraltro dalla proliferazione normativa, spesso disordinata e disorganica, la Corte ravvisa valide ragioni per compensare le spese relative a questo giudizio;

tuttavia, avuto riguardo comunque all’esito negativo del ricorso de quo sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo unificato da parte ricorrente.

PQM

La Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso. Dichiara, altresì, per intero compensate tra le parti le spese di questo giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

 

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