Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2343 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. III, 02/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 02/02/2010), n.2343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2337/2009 proposto da:

L’ALTRO CIELO DI LICCARDI R. & C. SAS, in persona del

socio

accomandatario e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso la Sig.ra ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentata e difesa dagli avvocati MONTALDO Fabrizio, GUIDO

MIGLIOR CHESSA, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., P.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA ANTONIO MANCINI 4, presso lo studio dell’avvocato

CECINELLI GUIDO, rappresentati e difesi dagli avvocati SPINAS

Emanuele, FANARI CARLO, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3275/2008 del TRIBUNALE di CAGLIARI,

depositata il 05/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con contratto (OMISSIS) M.G. e P. A., coniugi, hanno venduto alla società Immobiliare Giardinia di Bruno Ballarini & C. s.a.s. un lotto edificabile facente parte della lottizzazione Frutti d’Oro La Vigna in comune di (OMISSIS) con l’obbligo, per l’acquirente, di destinare il costruendo edificio a uso di civile abitazione.

Con atto 16 gennaio 1997 M.G. e P.A. hanno convenuto in giudizio la Immobiliare Giardinia di Bruno Ballarini &

C. s.a.s. lamentando che questa, in violazione degli accordi, aveva adibito la struttura edificata a pizzeria, chiedendo pertanto che le fosse inibito proseguire tale attività.

In pendenza di tale giudizio la Immobiliare Giardinia di Bruno Ballarini & C. s.a.s. ha venduto – unitamente a altri – anche il manufatto sopra descritto alla società Mannu Maria Veronica & C. s.n.c. (attualmente L’altro Cielo di Liccardi Riccardo C. s.a.s.).

Poichè con sentenza 21 luglio – 22 settembre 2006 la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza del primo giudice ha condannato la Immobiliare Giardinia di Bruno Ballarini &

C. s.a.s. alla immediata interruzione di qualsiasi attività all’interno dei locali costruiti su l’area oggetto della compravendita in contrasto con l’uso della civile abitazione sulla base di tale pronunzia, con precetto (OMISSIS), M. G. e P.A. hanno intimato alla L’altro Cielo di Liccardi Riccardo C. s.a.s. di interrompere, entro dieci giorni, l’esercizio di ogni attività commerciale nell’immobile costruito nel mappale in questione.

Avverso tale precetto ha proposto opposizione L’altro Cielo di Liccardi Riccardo C. s.a.s. assumendo di non essere stata parte del giudizio definito dalla Corte di appello, di avere ignorato la esistenza del vincolo e che, comunque, il locale nel quale è svolta l’attività commerciale è costruito solo in parte sul mappale in discussione sì che è impossibile individuare quale settore della attività avrebbe dovuto essere interrotto.

Svoltasi la istruttoria del caso, la controversia è stata decisa con le forme di cui all’art. 281 sexies c.p.c., dal tribunale di Cagliari con sentenza 5 novembre 2008 che ha dichiarato la sopravvenuta inefficacia del precetto opposto e, per l’effetto ha dichiarato la cessazione della materia del contendere nonchè che la sentenza 21 luglio – 22 settembre 2006 della Corte di appello di Cagliari fa stato anche nei confronti della L’altro Cielo di Liccardi Riccardo C. s.a.s. che, quindi, è tenuta a uniformarsi a quanto ivi stabilito.

Per la cassazione di tale pronunzia, notificata il 19 novembre 2008 ha proposto ricorso, affidato a 5 motivi, e illustrato da memoria, con atto 19 gennaio 2009 la L’altro Cielo di Liccardi R. & C. s.a.s.

Resistono, con controricorso M.G. e P.A..

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.) perchè il ricorso sia deciso in Camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. Dato atto che con ordinanza 24 giugno 2008 il giudice dell’esecuzione adito da M.G. e P.A. ai sensi dell’art. 612 c.p.c., ha rigettato il ricorso, sul presupposto che la condanna espressa nella sentenza azionata ha a oggetto una mera astensione, insuscettibile di esecuzione forzata, la sentenza impugnata ha affermato che tale statuizione ha determinato una cessazione solo parziale della materia del contendere, atteso che ancorchè dalla richiamata ordinanza è derivato che la sentenza azionata (della Corte di appello di Cagliari) non è eseguibile nelle forme di cui all’art. 612 c.p.c. e il precetto opposto non può essere utilizzato come base per la esecuzione forzata, tale ordinanza ha lasciato impregiudicata la questione della opponibilità della sentenza della corte di appello di Cagliari all’odierna attrice, atteso che tale sentenza, seppure in ipotesi non eseguibile coattivamente contiene pur sempre un imperativo vincolante per il suo destinatario, deve essere dallo stesso adempiuta e la sua violazione configura un fatto illecito, produttivo di danni risarcibile.

Permanendo attuale e ineludibile la esigenza di delibare la domanda di accertamento della vincolatività oppure non, per la società l’Altro Cielo della obbligazione imposta con la sentenza azionata, il giudice a quo, ha ritenuto, in applicazione dell’art. 111 c.p.c., tale vincolatività, atteso che la sentenza pronunciata contro la parte la quale abbia in corso di causa trasferito a terzi l’obbligo controverso spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare, mentre tutte le questioni relative alla materia individuazione dell’immobile interessato alla detta decisione dovranno essere affrontate e risolte in sede di determinazione delle modalità di esecuzione della sentenza azionata, senza che la necessità di tali adempimenti incida sulla validità e efficacia del precetto.

3. La società ricorrente ha proposto ricorso avverso la riassunta pronunzia affidato a ben 10 motivi. Denunzia in particolare la ricorrente: – “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 112, 276, 474 e 615 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, censurandola, in particolare, per non avere rilevato il giudice a quo che non sussisteva il diritto delle controparte a procedere a esecuzione forzata in conseguenza di un genetico difetto di natura esecutiva della sentenza non eseguibile in via coattiva in alcuna delle forme del processo di esecuzione e sottoponendo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: “dica l’ecc.ma Corte di Cassazione che il difetto genetico di titolo esecutivo, rilevabile d’ufficio dal giudice della opposizione ex art. 615 c.p.c., in ogni stato e grado costituisce questione pregiudiziale che deve essere delibata precedentemente, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., rispetto a quella di sopravvenuta inefficacia del medesimo titolo” (primo motivo);

“nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 112 e 615 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere il giudice dichiarato cessata la materia del contendere solo parzialmente e non chiuso l’intero processo. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. parte ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che l’art. 615 c.p.c., deve essere interpretato nel senso che oggetto dell’opposizione è il solo diritto del creditore a procedere a esecuzione forzata” (secondo motivo);

“nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 112 e 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere ritenuto il giudice che nonostante la verificatasi cessazione della materia del contendere il processo dovesse proseguire quanto alla questione della opponibilità della sentenza azionata alla parte attrice. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto:

“dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che l’art. 100 c.p.c., deve essere interpretato nel senso che l’interesse da esso contemplato ha ad oggetto soltanto le domande e non le questioni sottese e che conseguentemente in caso di cessazione della materia del contendere riguarda l’unica domanda proposta – nel caso di specie di opposizione all’esecuzione – il giudice debba chiudere interamente il processo senza che residui alcun spazio per la disamina e comunque per la pronuncia, per giunta con forza di giudicato, di questioni – nel caso di specie la contestata efficacia della sentenza nei confronti del terzo acquirente – con la stessa connesse, che non siano confluite in apposite domande” (terzo motivo);

– “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 112 e 34 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere il giudice a quo dichiarato di dovere pronunciare sulla vincolatività nei confronti della società L’Altro Cielo della sentenza azionata, in assenza di una espressa domanda di parte. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che l’art. 34 c.p.c., deve essere interpretato nel senso che il giudice può pronunciare con forza di giudicato sulle questioni pregiudiziali solo in presenza di un’espressa volontà di legge o di esplicita domanda di parte, a nulla valendo il generale ipotetico interesse di una delle stesse che non sia confluito in una specifica domanda” (quarto motivo);

– “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, non avendo il giudice a quo inteso che la domanda deve essere formulata attraverso l’univoca richiesta di un provvedimento positivo su un determinato diritto e che non può costituire un suo equipollente la situazione in cui le parti abbiano interloquito su una questione pregiudiziale e sussista l’interesse di una delle stesse a una pronuncia sulla predetta questione. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che l’art. 99 c.p.c., impone che la domanda sia formulata attraverso la specifica richiesta di un provvedimento favorevole su un determinato diritto e che non può costituite situazione equipollente quella della questione pregiudiziale su un diritto con riguardo alla quale una delle parti abbia interesse alla sua delibazione” (quinto motivo);

– “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la sentenza impugnata statuito che la sentenza della locale Corte d’Appello 21 luglio – 22 settembre 2006 n. 304, fa stato anche nei confronti della società L’Altro Cielo di Liccardi Riccardo & C. s.a.s. con sede in (OMISSIS) la quale, dunque, è tenuta a uniformarsi a quanto ivi stabilito. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che costituisce violazione dell’art. 112 c.p.c., e ciò specificamente nel caso di cessazione della materia del contendere sull’unica domanda, la pronuncia da parte del giudice su diritti che, seppur oggetto di questioni pregiudiziali, non sono stati fatti valere con esplicita domanda da una delle parti” (sesto motivo);

– “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, sempre con riguardo al passaggio motivazionale censurano con i motivi precedenti e quanto alla motivazione addotta a sostegno di una tale conclusione” (settimo motivo);

– “violazione e falsa applicazione degli artt. 1173 e 1321 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere ritenuto la sentenza impugnata che il contratto (OMISSIS) con cui l’immobiliare Giardina ha trasferito alla società ora ricorrente l’obbligo assunto nei confronti dei contro ricorrenti (quanto all’utilizzazione del bene ceduto). Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che per il trasferimento dell’obbligo contrattuale, avente ad oggetto una determinata destinazione d’uso di una unità immobiliare, occorre la stipula di un’apposita convenzione in tale senso, non essendo invece a ciò sufficiente il trasferimento del diritto di proprietà sulla predetta unità immobiliare” (ottavo motivo);

– “violazione e falsa applicazione dell’art. 1027 c.c., e segg., in relazione all’art. 36 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo qualificato l’obbligo di destinazione dell’area in discussione a utilizzazione abitativa quale obbligazione reale o propter rem. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., parte ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte di cassazione che l’obbligo di non destinare un immobile se non ad uso abitativo non è ascrivibile alle obbligazioni reali o propter rem stante il principio del numerus clausus dei diritti reali” (nono motivo);

– “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 111 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, atteso che il disposto dell’art. 111 c.p.c., trova applicazione nelle sole ipotesi di trasferimenti di rapporti obbligatori controversi. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. si sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte di cassazione che la sentenza pronunciata tra altre parti è efficacia nei confronti dei terzi, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., nei soli casi di trasferimento a titolo particolare del diritto controverso” (decimo motivo).

4. Il proposto ricorso pare inammissibile, attesa la inammissibilità di tutti i numerosi motivi nei quali lo stesso si articola.

Sotto diversi, concorrenti, profili.

4.1. In primis – e in via assorbente – si osserva che i molteplici motivi del ricorso non sono stati formulati nel rispetto del precetto di cui all’art. 366 bis c.p.c., che – per l’effetto – deve ritenersi inosservato.

Con conseguente declaratoria di inammissibilità dell’intero ricorso.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

4.1.1. Giusta quanto assolutamente pacifico – presso una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice – che a norma dell’art. 366 bis c.p.c., è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420, tra le tantissime).

In particolare, a seguito del D.Lgs. n. 40 del 2006, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o che sia comunque assolutamente generico, dovendosi assimilare un quesito inconferente alla mancanza di quesito (Cass. 3 ottobre 2008, n. 24578).

Come ripetutamente affermato da questa Corte regolatrice (tra le tantissime, cfr. Cass. 23 luglio 2008 n. 2360), inoltre:

– i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c., rispondono alla esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie;

– il quesito di diritto costituisce pertanto il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata, e quindi non ammissibile, l’investitura stessa del giudice di legittimità;

– deriva da quanto precede, pertanto, che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso deve consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera di questa Corte di Cassazione possa condurre ad una decisione di segno diverso;

– il quesito deve poi costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata;

– non possono quindi proporsi motivi che si concludano con un quesito che non permetta di riferirlo in modo chiaro ed univoco alla fattispecie.

Applicando i riferiti principi al caso di specie appare evidente che parte ricorrente, in termini assolutamente apodittici e totalmente prescindendo dai precetti introdotti, quanto al giudizio di cassazione, dal D.Lgs. n. 40 del 2006, si limita a formulare quesiti assolutamente generici, denunciando – in buona sostanza – che l’esito della lite è stato diverso da quello da essa auspicata, per avere i giudici di merito violato gli articoli indicati nei vari motivi (cfr.

Cass., sez. un., 2 dicembre 2008, n. 28547, nonchè Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).

4.1.2. Quanto, ancora, al settimo motivo – formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – si osserva che questa Corte – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c., – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del que-sito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897), non controverso che nella specie il secondo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5, è totalmente privo di tale indicazione, è palese che deve dichiararsene la inammissibilità (in argomento, tra le tantissime, Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).

4.2. Come anticipato, comunque, il ricorso pare inammissibile anche sotto altri, concorrenti profili.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

4.2.1. Come pacifico in causa è stato, puntualmente, allegato al ricorso copia dell’atto di citazione – ex art. 615 c.p.c., proposta da L’Altro Cielo di Liccardi R. & s.a.s.” con l’atto introduttivo del presente giudizio, in primo grado, la odierna ricorrente ha rassegnato le proprie conclusioni p. 7 dell’atto chiedendo, tra l’altro, “dichiarare nullo e privo di efficacia il precetto notificato in data 5 novembre 2007 all’istante”.

Nella parte espositiva di tale atto p. 2 si precisa tra l’altro a fondamento della conclusione sopra trascritta “la parte convenuta soccombente in appello, Società Immobiliare Giardinia di Luigi Giardini è soggetto diverso da L’Altro Cielo di Liccardi …” ha cioè dedotto, la non vincolatività di quel giudicato a essa concludente.

Non controverso quanto sopra è palese che allorchè la sentenza impugnata ha affermato “quella ordinanza del giudice dell’esecuzione con cui è stato rigettato il ricorso proposto ai sensi dell’art. 612 c.p.c., ha lasciato totalmente impregiudicata la questione della opponibilità della sentenza alla odierna attrice, dalla stessa introdotta nel presente giudizio …” la stessa – ben lungi dall’incorrere dai vizi denunciati nei primi sei motivi del ricorso – si è limitata a interpretare peraltro in conformità alla sua formulazione e tenendo presente quello che era lo scopo della società opponente, cfr., Cass., sez. un., 13 febbraio 2007, n. 3041;

Cass. 6 aprile 2006, n. 8107) l’atto introduttivo.

Certo quanto sopra è palese – come anticipato – un ulteriore profilo di inammissibilità oltre quello evidenziato sopra, per inosservanza del precetto di cui all’art. 366 bis c.p.c., dei motivi sviluppati da 1 a 6 sotto il profilo della nullità della sentenza per inosservanza di norme procedurali – per avere la stessa pronunziato su una domanda in realtà mai introdotta in causa da essa concludente – e, quindi, per violazione di legge di norme relative al procedimento.

Si osserva, infatti, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte: del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa – come prospettato nella specie da parte della ricorrente secondo la quale il giudice a quo ha ritenuto devoluta al suo esame una domanda non proposta è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (recentemente, in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Non controverso quanto segue si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le molteplici disposizioni di legge processuale – indicate nella intestazione dei vari motivi, in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito alla propria domanda, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

4.2.2. Quanto all’ottavo e al nono motivo gli stessi sono inammissibili posto che non solo non risulta – in alcun modo – che nella sentenza impugnata siano contenute quelle affermazioni, in diritto, che le attribuisce parte ricorrente, quanto alla natura dei vincoli posti sull’immobile venduto dagli odierni ricorrenti alla Immobiliare Giardinia, ma la statuizione censurata è sorretta da una motivazione totalmente diversa da quella immaginata dalla ricorrente.

4.2.3. Quanto al decimo motivo è sufficiente osservare che giusta la testuale formulazione dell’art. 111 c.p.c., comma 4 – in applicazione del quale il giudice a quo ha ritenuto che la sentenza della corte di appello di Cagliari “fa stato anche nei confronti della società L’Altro Cielo” – la sentenza pronunciata contro l’alienante spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare, senza che possa distinguersi se sia stato “alienato” un diritto di obbligazione o, piuttosto – come si invoca – un diritto rea-le (cfr. Cass. 11 novembre 2002, n. 15798; Cass. 2 agosto 2001, n. 10563; Cass. 13 gennaio 1997, n. 245).

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente le repliche alla stessa, contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c., del ricorrente, non giustificano un superamento delle considerazioni svolte nella relazione – sopra trascritte – e della pacifica giurisprudenza ivi ricordata.

Al riguardo, inoltre, per completezza di esposizione, quanto al punto centrale della memoria sopra ricordata e alla necessità di interpretare il precetto di cui all’art. 366 bis c.p.c., alla luce della evoluzione normativa e tenendo, pertanto, presente che la norma è stata – nelle more del giudizio – abrogata, la deduzione è manifestamente infondata.

E’ sufficiente, al riguardo, considerare, da un lato, che per regola generale, la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo (così l’art. 11 preleggi, comma 1), dall’altro, la non equivoca disposizione contenuta nella L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, che prevede che le nuove norme sul giudizio di cassazione introdotte da tale testo normativo e, quindi, anche l’art. 47 di questo, che ha abrogato l’art. 366 bis c.p.c., si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato … successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, cioè successivamente al 4 luglio 2009.

Essendo stata pubblicata, la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione, il 5 novembre 2008 e, quindi, anteriormente al 4 luglio 2009 è palese che al fine di valutare la ammissibilità- inammissibilità del ricorso deve farsi applicazione del precetto di cui all’art. 366 bis c.p.c., ancorchè di tale norma non possa più farsi applicazione con riguardo a ricorsi proposti avverso sentenza pubblicate successivamente al 4 luglio 2009.

4. Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 1.500,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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