Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23427 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 26/10/2020), n.23427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12157/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Termoidrualica Villese di O.A. s.n.c.,

O.A., O.M. e O.F., rappresentati e difesi, giusta

procura a margine del controricorso, dall’Avv. Conti Danilo e

dall’Avv. Ribaudo Sebastiano, elettivamente domiciliati presso lo

studio del secondo Avvocato, in Roma, Piazzale Clodio, n. 1;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione distaccata di Brescia. n. 96/65/2012, depositata

il 20 settembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 marzo

2020 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1.La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla Termoidraulica Villese di O.A. & Figli s.n.c., nonchè dai soci O.A., O.M. ed O.F., avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bergamo che aveva respinto i ricorsi riuniti presentati dalla società e dai soci avverso gli avvisi di accertamento emessi, con il metodo analitico-induttivo, anche con l’utilizzo degli studi di settore, nei loro confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2005, con determinazione di un maggior reddito da Euro 63.317,00 ad Euro 170.450,00, in quanto il reddito dichiarato era inferiore alla media dei soggetti che operavano nello stesso settore economico e nel medesimo territorio; con applicazione di un indice di redditività da parte della società, appunto, pari a 5,50%, a fronte di quello medio del 27,10% nell’ambito del territorio di competenza e del 29,42 a livello provinciale, pur avendo l’Ufficio applicato per precauzione l’indice del 13,55 %, pari alla metà di 27,10 %. Il giudice di appello rilevava che gli appellanti avevano censurato la sentenza di prime cure per due ordini di motivi:in primo luogo perchè lo scostamento applicato in modo automatico era l’unico elemento su cui si basava la motivazione degli avvisi di accertamento; in secondo luogo perchè non si era tenuto conto che i soci ed amministratori della società avevano deliberato l’attribuzione di compenso agli amministratori, che nel conto economico della società risultavano come costi, abbattendo, quindi, la redditività aziendale; tali compensi dovevano, in realtà, essere computati quale redditi ai soci, attribuiti in altra forma diversa dal regime di trasparenza fiscale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5. Per il giudice di appello, però, i valori percentuali medi del settore non rappresentavano un “fatto noto” sul quale basare una presunzione di reddito ex art. 2727 c.c., ma solo il risultato di una estrapolazione statistica, non potendo giustificare presunzioni gravi e precise, ove non confortati da altre circostanze. Inoltre, nel conto economico della società risultavano come costi, con abbattimento della redditività aziendale, i compensi ai soci amministratori, che dovevano essere computati come redditi ai soci, attribuiti in altra forma dal regime di “trasparenza” di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5; erano, dunque, fondati entrambi i motivi di appello.

2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate. 3.Resistono con controricorso la società ed i soci, che depositano anche memoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), anche in combinato disposto con l’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto secondo il giudice di appello i valori medi di redditività del settore non sarebbero stati tali da giustificare presunzioni qualificabili come gravi e precise, e non sarebbero stati supportati da alcuna altra risultanza. In realtà, però, l’Ufficio ha tenuto conto anche dei risultati di non coerenza e non congruità degli studi di settore e non solo, quindi, dei valori medi di settore. Inoltre, è sufficiente per fornire la prova di maggiori ricavi o redditi anche una presunzione, ove grave e precisa. Peraltro, l’Agenzia delle entrate può procedere ad accertare maggiori ricavi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), anche con l’utilizzo delle medie di settore, pure in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, se la difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, raggiunge livelli di abnormità ed irragionevolezza. Nella specie, è stato rilevato un elevato scostamento tra l’indice di redditività della società pari al 5,50% e l’indice medio risultante dalla “attività economica cod. 45330:install. imp. Idraulico-sanitari” del 27,10 % nel territorio di competenza dell’ufficio accertatore, e del 29,42 % a livello provinciale”.

1.1. Tale motivo è fondato.

1.2. Anzitutto, si rileva che il ricorso è ammissibile, in quanto la motivazione della sentenza della Commissione regionale non è fondata su due autonome rationes decidendi, sicchè, avendo l’Agenzia delle entrate incentrato il proprio motivo di impugnazione solo su una di esse, si sarebbe formato il giudicato sulla autonoma e diversa ratio decidendi.

Invero, la motivazione del giudice di appello è unitaria e, nell’accoglimento dei due motivi di impugnazione proposti dai ricorrenti, ha indicato che l’utilizzo dei valori percentuali medi di settore, non costituisce il fatto noto da cui poter dedurre la sussistenza di maggiori ricavi ai sensi dell’art. 2727 c.c.. Trattasi, quindi, di una mera estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, che fissa solo una regola di esperienza, sicchè tali valori da soli non integrano presunzioni gravi e precise. In motivazione, poi, è evidenziato un’ulteriore argomentazione giuridica, che però non costituisce una autonoma ratio decidendi, in grado da sola di sorreggere la decisione, ma si limita a rafforzare la base argomentativa della “unitaria” motivazione, fondata sulla considerazione che il reddito della società era inferiore a quello risultante dalla media di esercizi che svolgevano la stessa attività, solo perchè agli amministratori (soci illimitatamente responsabili) erano stati versati corrispettivi per circa Euro 69.100,00. Tali compensi erano stati indicati nel conto economico tra i costi sostenuti dall’impresa nell’anno 2005, sicchè avevano inciso sul reddito, riducendone l’importo. Tali compensi ai soci amministratori dovevano essere considerati come “reddito ai soci” attribuito in forma alternativa alla imputazione per “trasparenza” di cui al D.P.R. n. 917 del 1976, art. 5. Questa argomentazione, da sola, non è idonea a sorreggere la motivazione della sentenza della Commissione regionale, in quanto, pure a seguito di tale considerazione (reddito ai soci in forma diversa dalla “trasparenza”), l’utile resta sempre nella misura del 5,50 %. La stessa Commissione regionale, del resto, nel suo incipit in ordine a tale porzione della motivazione afferma che “Inoltre, l’operato dell’ufficio risulta ulteriormente minato dalla circostanza …. dedotta dall’appellante, che nel conto economico della società risultano come costi e quindi abbattono la redditività aziendale”. Pure tenendo conto di tali costi, si ribadisce che la redditività, indice spia dei maggiori redditi accertati, resta sempre del 5,50%.

Peraltro, la volontà impugnatoria della Agenzia delle entrate ha colto entrambe le argomentazioni del giudice di appello, in quanto si è incentrata sulla irragionevolezza e sulla abnormità della scarsa percentuale di redditività della società, in tal modo impattando contro entrambe le porzioni dell’unitaria motivazione. E’ indubbio, infatti, che sia irragionevole ed abnorme anche il compenso attribuito ai soci-amministratori, persino di importo superiore al reddito dichiarato dalla società.

1.3.Inoltre, si rileva che per questa Corte, in tema di accertamento delle imposte dirette, ed in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidata alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, solo quando raggiunga livelli di “abnormità” ed “irragionevolezza” tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità, concretando diversamente tale difformità un mero indizio (Cass., sez. 5, 13 settembre 2018, n. 22347; Cass., sez. 5, 7 luglio 2017, n. 16773; cass., sez. 5, 11 aprile 2018, n. 8923; Cass. Sez. 5, 24 settembre 2010, n. 20201).

1.4. Si è anche evidenziato che l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un “unico elemento presuntivo”, purchè preciso e grave, quale l’abnormità della percentuale di ricarico (Cass., sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27552).

1.5. Nella specie, quindi, nel ricorso per cassazione è stata sottolineata proprio l’irragionevolezza della redditività dichiarata dalla società, pari al 5,50 %, posta a confronto con la redditività media di azienda che svolgevano la loro attività (“attività economica cod. 45330:install. imp. Idraulico-sanitari”), nell’ambito del territorio di competenza dell’ufficio accertatore, pari al 27,10% e nella provincia di appartenenza, pari al 29,42 %.

E’ evidente, quindi, che il giudice di appello non ha tenuto conto che tale circostanza è grave e precisa, in quanto la redditività dichiarata dalla società è al di sotto di quella media di oltre il 20 %, pure se l’Agenzia ha poi prudenzialmente applicato la ridotta percentuale del 13,55 A), pari alla metà del 27,10 %, con redditi portati da Euro 63.317,00 ad Euro 170.450,00.

1.6. Nè il ricorso per cassazione impinge nel merito, in quanto la censura non ha messo in discussione il ragionamento inferenziale del giudice di appello, ma si è incentrato unicamente sulla sussistenza della gravità e della precisione dell’indizio costituito dall’irragionevole ed abnorme scostamento della redditivà della società rispetto alla media di società appartenenti al medesimo settore.

1.7. La denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. può essere, poi, prospettata sotto più profili (Cass.Civ., sez.un., 24 gennaio 2018, n. 1785). Il giudice di merito può affermare che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precisi e concordanti, incorrendo in un errore di diretta violazione della norma. Il Giudice di merito può, poi, fondare la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto alla conseguenza ignota, sì che la censura ricade ancora nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il terzo caso è quello in cui la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito si concreta in una attività diretta solo ad evidenziare che le circostanze di fatto avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, allegando una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice, ma in tal caso la censura impinge in un apprezzamento di merito, che riguarda la quaestio facti e si pone nel solco del vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass.Civ., sez.un., 8053 e 8054 del 2014).

Nella fattispecie in esame, la censura delle ricorrenti resta nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto la Commissione regionale ha ritenuto erroneamente non grave e preciso l’elemento presuntivo, costituito dall’irragionevole ed abnorme scostamento dalla media di settore della redditività dell’impresa, quindi, non investendo la quaestio facti in alcun modo. 1.8.Inoltre, si rileva che proprio l’articolazione del ricorso per cassazione, con la deduzione della irragionevolezza della redditività, e quindi anche della antieconomicità della stessa, va a confutare anche l’ulteriore affermazione del giudice di appello, che ha ritenuto giustificata tale bassa redditività, solo perchè erano stati erogati ai soci amministratori dei compensi per Euro 69.100,00 nel 2005, indicati tra i costi del conto economico, con conseguente riduzione dei redditi per tale anno.

La censura della Agenzia delle entrate, proprio perchè elaborata in relazione alla abnormità di tale ridotta percentuale di redditività va necessariamente anche ad impingere sull’ammontare dei compensi spettanti agli amministratori per una somma (Euro 69.100,00), superiore ai redditi dichiarati dell’impresa per 63.317,00. Pertanto, i compensi degli amministratori sarebbero persino superiori ai redditi dell’impresa. Nè è stata in alcun modo allegata la ragione di tale importo dei compensi agli amministratori in una società di persone, che non può certo sostituire l’imputazione per trasparenza degli utili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5.

1.9.Senza contare che l’avviso di accertamento era fondato anche sulle risultanze degli studi di settore.

8. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

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