Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23426 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 26/10/2020), n.23426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21663/2014 R.G. proposto da:

T.R. rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv.

Massimo Gelmini (PEC massimo.gelmini.bergamo.pecavvocati.it) e

dall’avv. Ruggero Longo (PEC ruggerolongo.ordineavvocatiroma.org)

con domicilio eletto in Roma, presso il secondo ridetto difensore in

Lungotevere Flaminio n. 60;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA NORD s.p.a. in persona del legale rappresentante pro

tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Maria

Rosa Verna (PEC mariarosa.verna.milanopecavvocati.it) e dall’avv.

Paolo Boer (PEC pboer.pec.studioboer.it) con domicilio eletto in

Roma presso quest’ultimo in p.zza Cola di Rienzo n. 69;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 667/29/14 depositata il 06/02/2014 non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

07/07/2020 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha riformato la sentenza della CTP e dichiarato inammissibile il ricorso in primo grado in quanto tardivo, in accoglimento dell’appello del Concessionario per la riscossione; con ciò sancendo la illegittimità dell’atto impugnato, cartella di pagamento per IRPEF, IRAP ed IVA 2002;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione T.R. con atto affidato a quattro motivi; resiste con controricorso il Riscossore; la contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2712 e 2719 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR lombarda erroneamente ritenuto provata la notifica della cartella a seguito di produzione di copia della cartolina di ritorno, oggetto di contestazione all’atto della sua produzione in giudizio in quanto ritenuta non conforme all’originale;

– il motivo è infondato;

– questa Corte ritiene, con orientamento al quale in questa sede si intende dare adesione, che (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23902 del 11/10/2017) in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella), e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice, che escluda, in concreto, l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso;

– in questo caso, la CTR ha valutato, come si evince dalla lettura della sentenza, una serie dei ridetti elementi (“…sullo stesso foglio vengono identificati tutti gli estremi sia della cartella, della raccomandata, della data di spedizione e quella di notifica, ecc. e quindi “scannerizzata” sempre su detto foglio, la foto – riproduzione della ricevuta di ritorno, con il segno di croce a fianco della qualifica del ricevente l’atto (portiere) e la firma autografa dello stesso custode”) per concludere in ordine all’avvenuto regolare perfezionamento della notifica;

– nel presente caso, invero, poichè il contribuente assumeva non esser stata mai notificata detta cartella, non era possibile richiedere a questi un atto di disconoscimento nei termini tradizionalmente indicati da questa Corte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27633 del 30/10/2018) che contenga quindi l’indicazione delle parti il cui la copia sia materialmente contraffatta rispetto all’originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; nè potrà essergli imposto di offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale; il tutto in quanto questi assume che non esista – e quindi non possa esser posto a contestazione della copia prodotta dal notificante – la copia consegnata al notificatario;

– soprattutto, in ultimo, va ricordato che ancora recentemente questa Corte (Cass. sent. n. 16557 del 20/06/2019) ha precisato come la questione relativa alle modalità con cui si contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., va risolta valutando se e come siano state contestate le specifiche difformità ed esige la trascrizione delle eccezioni di disconoscimento dedotte dal contribuente, al fine di consentire al giudice di legittimità di verificare la sussistenza della violazione di legge dedotta e, dunque, la correttezza delle argomentazioni del decidente. Ebbene, anche in memoria ex art. 378 c.p.c., il contribuente ripete di aver “contestato la conformità all’originale”, di aver chiesto la produzione dell’originale in luogo della fotocopia della cartolina di ricevimento della raccomandata”. E’ quindi chiaro che nella fattispecie, il contribuente non ha operato alcun disconoscimento della conformità delle copie agli originali, lamentandosi invece di non poter esercitare i diritti di cui all’art. 2719 c.c., in assenza della produzione degli originali. L’art. 2719 c.c., esige, difatti, l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche: conseguentemente, la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosce, in modo specifico ed inequivoco (Cass. n. 882/2018; n. 4053/2018). Peraltro, pur a voler ammettere implicitamente formulato dal contribuente il disconoscimento della conformità delle copie degli atti agli originali, non va trascurato che è privo di efficacia il generico disconoscimento della conformità tra l’originale e la copia fotostatica prodotta in giudizio. Perchè possa aversi, infatti, disconoscimento idoneo è necessario che la parte, nei modi e termini di legge, renda una dichiarazione che – pur nel silenzio della norma predetta, che non richiede forme particolari – evidenzi in modo chiaro ed inequivoco gli elementi differenziali del documento prodotto rispetto all’originale di cui si assume sia copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (cfr. in tal senso Cass. n. 28096 del 30/12/2009 in tema di applicazione dell’art. 2719 c.c.). Il disconoscimento deve quindi ad es. contenere l’indicazione delle parti il cui la copia sia materialmente contraffatta rispetto all’originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale;

– nondimeno, poichè la questione deve ben trovare soluzione, dovevano nel presente caso esser valutati gli elementi sopra citati, i soli presenti in atti, che hanno evidentemente efficacia di principio di prova idoneo a divenire (in difetto di loro intrinseca inattendibilità) prova piena dell’esecuzione della notifica; così ha proceduto – correttamente – la CTR, e lo si evince in modo adeguato dalla sentenza gravata, giungendo alla conclusione secondo la quale “deve darsi piena validità alla documentazione rilasciata in copia conforme”;

– il secondo motivo di ricorso denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e dell’art. 111 Cost., comma 6; nullità della sentenza e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR, senza motivare sul punto, rigettato tutte le eccezioni del contribuente in ordine al potere del Riscossore di notificare le cartelle direttamente a mezzo posta; il motivo in esame risulta strettamente connesso con il terzo motivo, incentrato proprio sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, e della L. n. 890 del 1982, art. 14, comma 1, e della L. n. 890 del 1982, art. 3, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto consentito ad Equitalia procedere alla notifica “diretta” della cartella, mentre avrebbe dovuto ricorrere alla intermediazione di messi comunali o speciali per tal incombenze; i due mezzi possono esaminarsi quindi congiuntamente;

– all’esito, gli stessi risultano infondati;

– invero, la CTR ha in motivazione mostrato invece di condividere la erronea prospettazione del contribuente in ordine alla necessità di spedizione della c.d. raccomandata informativa, come avviene per le notifiche a mezzo del servizio postale, anche ove il concessionario per la riscossione notifichi direttamente la cartella; ne deriva che essa CTR ha preso in carico la questione, risolvendola in senso sfavorevole al contribuente;

– nondimeno, però, tale statuizione è errata in diritto e sul punto quindi è necessario qui correggere la motivazione resa del giudice del gravame;

– invero, deve concludersi per la regolarità della notifica non in forza dell’omissione da parte del contribuente riguardo alla richiesta di produzione di documentazione attestante l’invio della ridetta raccomandata informativa, ma in forza della considerazione in diritto secondo la quale tal raccomandata non è prevista – e quindi il destinatario non ha diritto ad essa – nella notifica di cartelle operate direttamente dal riscossore;

– sul punto, l’orientamento di questa Corte è nel senso di ritenere (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10037 del 10/04/2019, pronuncia inoltre nota alla contribuente ricorrente, in quanto resa in altro giudizio tra le medesime parti qui interessate) che in tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, mediante invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento da parte del concessionario, non è necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario, peraltro con esclusione della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, in quanto privo di efficacia retroattiva, e non quelle della L. n. 890 del 1982; e in analoghi termini, riguardo alla possibilità di eseguire la notifica della cartella di pagamento anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, è del tutto consolidato l’orientamento di questo Giudice di Legittimità (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29710 del 19/11/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8086 del 03/04/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29022 del 05/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 23511 del 18/11/2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016);

– e in ordine al potere dell’agente per la riscossione di procedere alla notificazione diretta D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, delle cartelle di pagamento, come per anni ha fatto l’esattore, trova, ancor più che in passato, giustificazione nella natura sostanzialmente pubblicistica della posizione e dell’attività del primo, il quale, secondo l’espressa previsione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 24, è depositario del ruolo formato dall’amministrazione finanziaria e, per conto di quest’ultima, procede per legge alla riscossione coattiva. Si tratta, quindi, di un organo indiretto dell’amministrazione finanziaria, cui è delegato l’esercizio di poteri pubblicistici funzionali alla riscossione delle entrate pubbliche. Ciò è tanto più vero a seguito dell’istituzione del sistema nazionale della riscossione, secondo la previsione del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, con l’attribuzione delle relative funzioni all’Agenzia delle entrate che le ha esercitate, fino ad epoca recente, mediante una società a capitale interamente pubblico (Riscossione spa, poi divenuta Equitalia spa). Le società facenti parte del gruppo Equitalia sono, quindi, soggetti pubblici, ancorchè aventi la struttura privatistica della società per azioni, tant’è che, coerentemente, risultano inserite nell’elenco delle amministrazioni centrali del cosiddetto “conto economico consolidato”, predisposto in attuazione della L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1, comma 3 (Legge di contabilità e finanza pubblica);

– come è noto, dal 1 luglio 2017 le società del gruppo Equitalia sono state sciolte – in forza del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella L. 10 dicembre 2016, n. 225 – e l’esercizio delle funzioni relative alla riscossione è ora demandato all’Agenzia delle entrate – Riscossione per i contribuenti e gli enti creditori, nuovo ente pubblico economico strumentale dell’Agenzia delle Entrate; ente che ha connotazioni ancora più marcatamente pubblicistiche;

– la questione ha formato oggetto di disamina anche da parte della Corte Costituzionale, la quale con sentenza n. 175 del 2018 l’ha ritenuta infondata, in quanto, tra l’altro “i rilevati scostamenti della disposizione censurata rispetto al regime ordinario della notificazione a mezzo del servizio postale, che costituiscono il proprium della semplificazione insita nella notificazione “diretta” D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, segnano sì un arretramento del diritto di difesa del destinatario dell’atto, ma non superano il limite di compatibilità con i parametri evocati dalla CTR rimettente”; in sintesi, secondo la Consulta, la notificazione “diretta” delle cartelle di pagamento ad opera dell’agente della riscossione costituisce una forma semplificata di notificazione, di cui è predicato il normale buon esito con la consegna del plico al destinatario o al consegnatario, per le quale “può dirsi che le modalità pur semplificate del procedimento notificatorio soddisfano il requisito richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte – della “effettiva possibilità di conoscenza” dell’atto (sentenze n. 346 del 1998 e n. 360 del 2003)”;

– il quarto motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR ritenuto che il contribuente avrebbe dovuto chiedere che venisse fornita la prova circa la spedizione della già citata raccomandata “informativa”, profilo questo del tutto estraneo al thema decidendum come al thema probandum;

– alla luce della decisione dei motivi che precedono, detto motivo è assorbito;

– pertanto, il ricorso è complessivamente rigettato;

– la soccombenza regola le spese; sussistono i requisiti processuali (e se ne dà atto) per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato per atti giudiziari.

PQM

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 4.100,00 oltre CPA ed IVA di legge che pone a carico di parte soccombente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

 

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