Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23424 del 17/11/2016

Cassazione civile sez. I, 17/11/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 17/11/2016), n.23424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25637-2011 proposto da:

R.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MICHELANGELO TILLI 52, presso l’avvocato NICOLA BARTONE, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS) S.A.S., in persona del Curatore avv.

RAFFAELE TROTTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

CAMILLUCCIA 19, presso l’avvocato CLAUDIO MARCONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato STEFANO RIELLO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2081/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato N. BARTONE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO LUIGI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Napoli ha accolto l’appello proposto dalla Curatela del Fallimento (OMISSIS) sas avverso la sentenza del Tribunale di quella stessa città con la quale era respinta la domanda revocatoria proposta, ai sensi della L.Fall., art. 67, comma 1, dal curatore contro l’acquirente dell’immobile (un appartamento), il signor R.C., ed ha dichiarato l’inefficacia di quell’acquisto, compiuto nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, in data 20 luglio 1999, per la somma di L. 113 milioni, a fronte di un valore di L. 200 milioni, con la conseguente condanna dell’appellante all’immediato rilascio del bene ed alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.

2. Secondo la Corte territoriale, per quello che ancora rileva, l’acquirente non aveva vinto la presunzione relativa di conoscenza dello stato di decozione della società nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, a fronte di una sproporzione tra il prezzo corrisposto ed il valore rilevato al momento della conclusione del contratto, tenuto conto dei parametri del caso (la superficie, la posizione dell’immobile, le condizioni dello stesso, ecc.).

2.1. Nè avevano pregio le due questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla difesa dell’appellato:

quella della privazione del bene senza il riscontro del difetto della utilità pubblica e quella dell’applicabilità della nuova disciplina legislativa delle revocatorie fallimentari, espressamente già dichiarata manifestamente infondata dalla Corte di legittimità con la sentenza n. 5962 del 2008.

3. Avverso tale decisione il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, articolato in una pluralità di profili, illustrati anche con memoria.

4. La Curatela fallimentare resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo profilo dell’unico mezzo di ricorso il ricorrente lamenta che i giudici di merito (di secondo grado) non abbiano considerato che il ricorrente aveva sostanzialmente già acquistato il bene assai prima della formalizzazione della vendita e, comunque non abbiano applicato la nuova disciplina dettata dalla in materia di revocatoria fallimentare di immobili e, a tale proposito, in via subordinata, ripropone la questione di legittimità costituzionale già sollevata nella fase di merito (della L.Fall., art. 67, come sostituito dalla L. n. 80 del 2005, art. 35, n. 2, in rapporto all’art. 3, art. 42 Cost., commi 2 e 3, artt. 10 e 117 Cost., nonchè dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla CEDU).

1.1. Ma nell’ipotesi in cui la Corte non ritenesse applicabile la nuova disciplina legislativa, sia l’inscientia decoctionis che la dimostrazione della sproporzione del prezzo andrebbero compiute con i vigenti canoni e non con quelli anteriori: la dimostrazione della sproporzione doveva essere posta a carico della curatela; e la prova della scientia decoctionis andrebbe compiuta tenendo presente che la conoscibilità non è sinonimo di conoscenza effettiva. Sotto quest’ultimo profilo, specie con riferimento all’insolvenza asintomatica, non potendosi dare la prova del fatto negativo e neppure della pretesa che una persona qualunque consultasse il registro dei protesti o delle esecuzioni occorreva pretendere tale dimostrazione dalla curatela fallimentare, tenendo conto del momento in cui erano state rilasciate le procure a vendere.

1.2. Infine, il ricorrente solleva la questione di legittimità costituzionale della L.Fall., art. 67, nella parte in cui non applica il nuovo testo della disposizione con riferimento al dimezzamento del periodo sospetto, o con riferimento ad immobili destinati ad abitazione principale, in rapporto all’art. 3 Cost., art. 42 Cost., commi 2 e 3, art. 10 e 117 Cost., nonchè dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla CEDU, altrimenti integrandosi una ipotesi espropriativa senza il presupposto dell’utilità pubblica.

2. Il ricorso, che è infondato, deve essere respinto.

3. Le doglianze svolte, a volte in modo caotico e disordinato, sono in gran parte inammissibili perchè neppure articolate con riferimento ai profili denunciabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c. ed in gran parte consistenti in richieste di rivalutazione dei fatti posti a base della decisione (l’entità del prezzo e del valore del cespite, la situazione di fatto dell’immobile, l’anteriorità della consegna del bene abitativo, la effettiva conoscenza dello stato d’insolvenza della società venditrice, ecc.).

3.1. Tuttavia, le pur tumultuose argomentazioni, nella parte residua involgente considerazioni in diritto, sono state già tutte ampiamente trattate dalla giurisprudenza di questa Corte e, con enunciati di diritto pienamente condivisibili, escluse in ogni aspetto:

a) con riguardo alla individuazione del momento in cui va compiuto l’accertamento dei presupposti per l’utile esercizio dell’azione revocatoria, esso – contrariamente a quanto asserito dal ricorrente -va identificato con quello della stipula dell’atto traslativo finale e non certo con quello degli atti preparatori, come già affermato da questa Corte per l’ipotesi del preliminare (In tema di revocatoria fallimentare di compravendita stipulata in adempimento di contratto preliminare, l’accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto la L.Fall., art. 67, ricollega la consapevolezza dell’insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l’obbligazione, di cui l’atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento; inoltre, qualora nel momento fissato per la stipulazione del contratto definitivo, sussista pericolo di revoca dell’acquisto per la sopravvenuta insolvenza del promittente venditore, il promissario acquirente ha la facoltà di non addivenire alla stipulazione, invocando la tutela dell’art. 1461 c.c.: Sez. 1, Sentenza n. 6040 del 2016);

b) con riguardo al contenuto della prova della inscientia decoctionis, che si ritiene addirittura diabolica, avendo questa Corte (per tutte, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10432 del 2005 ma anche Corte cost., sent. n. 110 del 1995) già affermato il principio di diritto secondo cui “Al fine di vincere la presunzione semplice di conoscenza dello stato d’insolvenza posta dalla L.Fall., art. 67, comma 1, a favore del curatore, l’onere della prova contraria gravante sul convenuto in revocatoria non ha contenuto meramente negativo, equivalente alla mancanza della prova positiva della conoscenza, e non può quindi essere assolto con la mera dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato d’insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione normale di esercizio dell’impresa, e tale prova deve essere ancora più rigorosa quando le circostanze rivelino una accentuata “anormalità” dell’atto di disposizione patrimoniale oggetto della revocatoria”;

c) con riguardo alla inapplicabilità della nuova disciplina della revocatoria e all’esclusione del dubbio di legittimità costituzionale, essendosi già affermato che “E’ manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 2, in materia di nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, laddove, prevedendo che le disposizioni del comma 1, lett. a) e b), si applicano soltanto alle azioni proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del decreto stesso, cioè aperte dopo il 17 marzo 2005, introduce una disciplina diversa per situazioni identiche;

– tale identità va invero considerata non solo in relazione alla contemporaneità degli atti revocandi ma anche in relazione alle rispettive procedure di insolvenza che invero si aprono in base a regole diverse vigenti all’atto di ciascuna dichiarazione, ciò giustificando la disciplina della procedura concorsuale successiva sulla base di una mutata normativa, in coerenza con la successione delle leggi e la conseguente irretroattività della nuova norma; ne deriva l’inesistenza di dubbi con riguardo sia agli artt. 3, 24 e 41 Cost., sia all’art. 77 Cost., il cui presupposto di necessità ed urgenza ha trovato, nell’apprezzamento discrezionale del legislatore, fondamento nel proposito di assicurare migliori condizioni di competitività alle imprese, attraverso una tutela rafforzata delle posizioni giuridiche dei finanziatori, specie bancari, relativamente alle aspettative di recupero restituzione delle risorse erogate alle imprese insolventi…” (Cass. Sez. 1, Sentenze nn. 5962 del 2008 e 19729 del 2015); del resto “lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche” (Corte cost. n. 49 del 2012 a proposito dell’inapplicabilità del beneficio della esdebitazione ai soggetti dichiarati falliti con provvedimento anteriore all’entrata in vigore della riforma organica di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006);

d) con riguardo al contrasto con il parametro dell’utilità sociale, avendo il Giudice delle leggi dissolto ogni sospetto al riguardo, affermando il principio di diritto secondo cui “l’interpretazione della L.Fall., art. 67, che, ai fini del computo del “periodo sospetto” per l’esercizio dell’azione revocatoria, fa risalire alla data di apertura dell’amministrazione controllata gli effetti della successiva dichiarazione di fallimento, non è in contrasto con l’art. 41 Cost., giacchè la lamentata incidenza negativa sul mercato derivante dalla regola suddetta rientra nel non irragionevole bilanciamento – discrezionalmente operato dal legislatore con l’utilità sociale correlata all’esigenza di un sano e corretto funzionamento del mercato stesso e con la parità di trattamento di tutti i creditori in presenza della crisi dell’impresa debitrice.” (Corte cost. sent. n. 110 del 1995).

4. In conclusione, il ricorso del tutto infondato, deve essere respinto con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della la sezione civile della Corte di cassazione, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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