Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23418 del 25/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 25/08/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 25/08/2021), n.23418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11810/2016 proposto da:

F.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIETRO ZAMBRANO,

CLAUDIO ZAMBRANO;

– ricorrente –

contro

CITIBANK N.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA MUSTI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CARLO FOSSATI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 799/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/11/2015 R.G.N. 3214/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/11/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Milano, con la pronuncia n. 2414 del 2012, in ordine alle domande proposte da F.U. nei confronti della Citibank N.A., presso la quale svolgeva con contratto di lavoro a tempo indeterminato dall’1.11.2005 l’attività di dirigente Private Banker, dichiarava la nullità del patto di non concorrenza, condannando il ricorrente alla restituzione della somma percepita a titolo di corrispettivo del suddetto patto; condannava, poi, la Banca al pagamento, in favore del F., della somma lorda di Euro 16.788,47 a titolo di TFR; rigettava, nel resto, le altre domande del dipendente dirette, in via principale e subordinata, ad accertare che tra le parti si erano avverate le condizioni risolutive previste dalla scrittura privata datata 30.5.2008 e, per l’effetto, accertare che il rapporto di lavoro, sebbene da considerarsi consensualmente risolto alla data del 31.3.2009, era proseguito sino alla data del 29.9.2009, con condanna della Citibank N.A. al pagamento della somma di Euro 609.000,00 a titolo di incentivo all’esodo e con declaratoria che il rapporto di lavoro svoltosi tra il 31.3.2009 ed il 29.9.2009 era un rapporto di lavoro di fatto per il quale il dipendente era stato già retribuito. Il Tribunale rigettava, altresì, la domanda riconvenzionale spiegata dalla Banca finalizzata ad ottenere, in via principale, il riconoscimento della penale per la violazione del patto di non concorrenza e la restituzione del 50% del “forgivable loan” ricevuto e, in via subordinata, in caso di accertata nullità del patto di non concorrenza, la restituzione degli importi ricevuti a tale titolo.

2. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 799 del 2015, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, che confermava nel resto, decidendo sugli appelli hic et inde proposti, dichiarava la validità del patto di non concorrenza apposto al contratto di assunzione; dichiarava che nulla andava restituito a tale titolo da F. alla società; condannava F.U. al pagamento della somma di Euro 100.000,00 quale penale per violazione del patto di non concorrenza e della somma di Euro 82.500,00 quale 50% del “forgivable loan”, oltre accessori.

3. I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, rilevavano che: a) dalla scrittura privata del 30.5.2008 emergeva che la Banca non aveva ancora deciso in maniera definitiva di cessare l’attività di Private Banking in quanto il suo scopo primario era quello di potere cedere entro il 30.3.2009 detto ramo di azienda; l’incentivo all’esodo era finalizzato a garantire al lavoratore una copertura a fronte della perdita del posto di lavoro ed era condizionato non solo alla mancata cessione del ramo di azienda al 31.3.2009 ma, altresì, alla effettiva comunicazione, entro la stessa data, della definitiva decisione di cessare la suddetta attività e alla sottoscrizione di un accordo di risoluzione contrattuale; b) alla data del 30.3.2009 non si era realizzata alcuna cessione del ramo ma non era stata neanche assunta la decisione di cessare l’attività del Private Banking, che anzi, in virtù di un processo di ristrutturazione comunicato alle OOSS, nella forma dell’off shore (che coinvolgeva alcuni clienti del F.) avrebbe dovuto permanere nell’ambito della Banca, come del resto avvenne ancora alla fine del 2009; c) non essendosi verificata alcuna delle condizioni previste dalla scrittura del 30.5.2008, il rapporto di lavoro non poteva considerarsi risolto alla data del 31.3.2009 per cui al F., che aveva continuato a lavorare senza soluzione di continuità, continuavano ad applicarsi le disposizioni del contratto individuale dell’1.11.2005; d) né poteva ritenersi che la condizione della cessazione del business entro il 31.3.2009 doveva ritenersi verificata ai sensi dell’art. 1359 c.c., perché il F. non aveva provato il mancato avveramento per colpa o dolo del debitore o per violazione dei principi di correttezza e buona fede; e) il comportamento della Banca, circa la mancanza di spiegazioni da fornire ai clienti in ordine al futuro della stessa, non costituiva un inadempimento così grave da giustificare le dimissioni del F. del 22.9.2009; f) gli altri motivi di appello del lavoratore dovevano, pertanto, ritenersi assorbiti; g) il patto di non concorrenza, contenuto nel contratto di assunzione, non poteva considerarsi nullo sia in ordine alla aleatorietà sia sotto il profilo della congruità; i) vi erano i presupposti perché il lavoratore restituisse il 50% del forgivable loan, atteso che il lavoratore non aveva comunicato la rinuncia, contrattualmente prevista, per la seconda tranche del finanziamento di Euro 165.000,00 ottenuto dalla Banca.

4. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione F.U. affidato a nove motivi cui resisteva con controricorso la Citibank N.A..

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1358 e 1359 c.c., in relazione all’interpretazione della scrittura privata sottoscritta in data 30.5.2008 e della conseguente decisione circa il mancato avveramento della condizione ivi prevista ritenuta dalla Corte di appello, non attribuibile alla Banca (art. 360 c.p.c., n. 3) e, pertanto, resa con statuizione in violazione dell’art. 112 c.p.c..

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., relativamente al contenuto della scrittura privata del 30.5.2008, in relazione all’art. 1359 c.c., che regola l’avveramento della condizione, per essere pervenuta la Corte territoriale alla conclusione di negare la sussistenza della violazione da parte della Banca del principio fissato da tale norma anche in relazione al fatto che F. non godeva della tutela reale di cui all’art. 18 St. Lav. e comunque in violazione del principio di correttezza e buona fede (art. 360 c.p.c., n. 3).

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’omessa pronuncia sulla parte della domanda inerente alla restituzione di somme diverse dal preavviso, pari ad Euro 16.788,47, ottenuta dalla differenza delle somme trattenute per un totale di Euro 49.657,50 da cui andava sottratto l’importo di Euro 32.869,03 per il mancato preavviso.

5. Con il quarto motivo il F. lamenta che la Corte di appello aveva errato ad escludere la nullità del patto di non concorrenza intercorso tra le parti violando e falsamente applicando la fattispecie dell’art. 2125 c.c., anche in relazione agli artt. 112 e 113 c.p.c., perché non vi era alcuna determinazione o determinabilità del compenso per il patto e perché era previsto un pagamento in costanza di rapporto.

6. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione dell’art. 112 c.p.c., per il totale mancato esame, da parte della Corte di merito, delle domande formulate da F.U. nell’iniziale ricorso e riproposto in sede di appello, con la richiesta di reiezione della domanda di Citibank in merito alle altre cause di “nullità” del patto di non concorrenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

7. Con il sesto motivo si obietta la nullità della gravata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alle domande formulate in via subordinata da esso F.U., circa la riduzione della penale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) nonché la nullità, sotto il profilo dell’anomala motivazione costituente violazione di legge costituzionale, perché inesistente ovvero perplessa ed obiettivamente incomprensibile (art. 360 c.p.c., n. 5).

8. Con il settimo motivo si deduce la nullità e comunque la erroneità della impugnata sentenza nel punto in cui ha rigettato la domanda di riduzione della penale con violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c., anche in relazione all’art. 112 c.p.c., non essendo state esaminati tutti gli elementi che individuavano come eccessivo l’ammontare della penale (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4).

9. Con l’ottavo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale riconosciuto che la prova sulla violazione del patto di non concorrenza costituiva onere a carico della Banca e che la Banca avesse adempiuto a tale onere, mediante il meccanismo del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c..

10. Con il nono motivo si argomenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello omesso di pronunciare sulla domanda afferente l’evidente modifica sostanziale ed anzi la soppressione (in concreto) del Gruppo Private Banking, quali fatti che erano venuti a costituire ragioni essenziali delle dimissioni e, quindi, il verificarsi della condizione prevista al n. 10 della lettera di assunzione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), con specifico riguardo al “forgivable loan”.

11. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente perché interferenti tra loro, sono infondati.

12. Invero, con riguardo alle censure riguardanti l’interpretazione della scrittura del 30.5.2008, deve rilevarsi che la parte, la quale con il ricorso per cassazione intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nella interpretazione della clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che, in concreto, assuma violati, e in particolare punto ed il modo in cui il giudice di merito si sia discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 27136 del 2017).

13. Orbene, nel caso in esame, il ricorrente, pur insistendo nel sostenere l’interpretazione disattesa, non ha affatto specificato i canoni ermeneutici che sarebbero stati violati e in che modo il giudice di merito se ne sarebbe discostato.

14. Anzi, le doglianze presuppongono che si erano verificate le condizioni risolutive previste nella citata scrittura privata e, quindi, la circostanza che la società aveva deciso in maniera definitiva o di vendere il ramo di azienda o di dismettere il settore del Private banking cessandone tutta l’attività, non avendo alcuna rilevanza il protrarsi dell’attività lavorativa fino al 31.3.2009.

15. Sotto questo profilo, però, i giudici di seconde cure, interpretando la scrittura con un accertamento in fatto adeguatamente motivato, hanno precisato che la Banca alla data del 30.8.2008 non aveva ancora deciso in maniera definitiva di cessare l’attività del Private Banking in quanto il suo scopo primario era quello di potere cedere entro il 30.3.2009 detto ramo di azienda, per cui l’incentivo all’esodo era finalizzato a garantire al lavoratore una copertura a fronte della perdita del posto di lavoro ed era condizionato non solo alla mancata cessione del ramo al 31.3.2009, ma altresì all’effettiva comunicazione, entro la stessa data, della definitiva decisione di cessare la suddetta attività e alla sottoscrizione di un accordo di risoluzione consensuale; inoltre, hanno specificato che lo stesso comportamento delle parti dimostrava che nessuna delle condizioni previste dalla scrittura privata del 30.5.2008 si fosse realizzata per cui il rapporto di lavoro del F. non poteva considerarsi risolto alla data del 31.3.2009 e l’attività era proseguita senza soluzione di continuità e senza che vi fosse stata una nuova fonte contrattuale a regolamentare il periodo successivo.

16. Le doglianze, quindi, sono infondate sia in relazione alla ricostruzione della volontà delle parti, adeguatamente motivata dai giudici di seconde cure, e il cui accertamento è riservato al giudice di merito, sia perché insistono a ritenere verificate le condizioni risolutive, quando, invece, la Corte di merito, con motivazione logica, congrua e corretta relativamente ai criteri ermeneutici legali, ha reputato che l’attività del business non era cessata alla data del 31.3.2009.

17. Il terzo motivo è inammissibile per difetto di specificità.

18. Il ricorrente lamenta, infatti, un’omessa pronuncia da parte della Corte territoriale in ordine alla restituzione, in suo favore, della somma di Euro 16.788,47 quando, invece, per tale somma vi era stata la condanna al pagamento, in primo grado, della Banca (pag. 1 della gravata sentenza) e sul punto non è stato specificato che vi fosse stata impugnazione e in che termini essa eventualmente fosse stata proposta.

19. Il quarto ed il quinto motivo possono essere scrutinati congiuntamente per connessione logico-giuridica.

20. Questa Corte, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza disciplinato dall’art. 2125 c.c., ha affermato che occorre osservare i seguenti criteri: a) il patto non deve necessariamente limitarsi alle mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ma può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività economiche volte da datore di lavoro, da identificarsi in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergano domande e offerte di beni o servizi identici o comunque parimenti idonei a soddisfare le esigenze della clientela del medesimo mercato; b) non deve essere di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale; c) quanto al corrispettivo dovuto, il patto non deve prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato (cfr. Cass. n. 9790 del 2020); d) il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere erogato anche in corso del rapporto di lavoro (per tutte Cass. n. 3507 del 2001).

21. La valutazione di compatibilità del vincolo concernente l’attività con la necessità di non compromettere la possibilità del lavoratore di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita come pure la valutazione della congruità del corrispettivo pattuito costituiscono oggetto di apprezzamento riservato al giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (Cass. n. 7835 del 2006).

22. I principi di diritto sopra esposti sono stati applicati dalla impugnata sentenza che ha – in relazione al devolutum oggetto del giudizio di gravame e riguardante la sola questione dell’incertezza del corrispettivo del patto di non concorrenza, per essersi sugli altri profili dedotti formato un giudicato interno – in primo luogo, proceduto alla ricognizione del patto di non concorrenza, evidenziando che lo stesso prevedeva un impegno del F., dopo la risoluzione del rapporto, a non svolgere direttamente o per interposta persona attività o mansioni di tipo analogo a quelle svolte in Citigroup per la durata di tre mesi in determinate ragioni del nord e centro Italia ricevendo durante il rapporto un corrispettivo per ogni anno di Euro 10.000,00.

23. Al fine, poi, di verificare se le modalità di determinazione del corrispettivo fossero aleatorie, ha precisato che l’importo era facilmente determinabile ed il fatto che il compenso fosse stato previsto in costanza di rapporto e destinato ad aumentare con la durata dello stesso, meglio contemperava gli interessi di entrambe le parti posto che una più lunga permanenza in un posto di lavoro specializzante poteva rendere più difficile una nuova collocazione sul mercato e” quindi, idoneo a compensare il maggior sacrificio rispetto ad un rapporto di breve durata.

24. In ogni caso, la Corte territoriale ha aggiunto che la durata del vincolo era molto contenuta e riguardava una estensione territoriale limitata solo ad alcune regioni.

25. L’esame dei giudici di seconde cure è stato, pertanto, completo, esaustivo, logico e corretto giuridicamente, in relazione alle doglianze rite et recte sottoposte in appello, e resiste alle critiche sollevate dall’odierno ricorrente.

26. Il sesto ed il settimo motivo, da trattarsi anche essi congiuntamente, non sono meritevoli di pregio.

27. E’ opportuno premettere che, in sede di legittimità, è stato affermato che la motivazione è solo apparente, con la conseguenza che la sentenza è nulla per error in procedendo, quando, benché pacificamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. Sez. Un. 22232 del 2016) oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza una approfondita loro disamina logico-giuridica e rendendo in tal modo, impossibile ogni controllo sulla esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017) oppure ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permetterla di individuarla, cioè da riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009).

28. Tali carenze non sono in alcun modo riscontrabili nella sentenza impugnata dalla quale è agevole ricostruire il percorso logico-giuridico che ha condotto al rigetto della domanda di riduzione della clausola penale.

29. Va precisato che l’apprezzamento in ordine alla eccessività dell’importo fissato con la clausola penale dalle parti contraenti per il caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, nonché alla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui giudizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente basato sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito (Cass. n. 7528 del 2002).

30. Nel caso in esame la Corte, dopo avere correttamente precisato che la penale attiene esclusivamente a una predeterminazione del danno operata dalle parti, per l’ipotesi di inadempimento, svincolando, quindi il suo esame e la sua fondatezza da ogni altra questione, ha in sostanza effettuato la valutazione di congruità, desumibile dall’accertamento eseguito tra la rilevanza dell’attività del F., quale dirigente Private Banker, svolta nell’ambito della Citibank N.A., ed il settore di mercato in cui operava la società, senza incorrere in alcun vizio di omessa pronuncia perché la questione è comunque stata vagliata.

31. L’ottavo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.

32. E’ infondato lì dove si deduce che il principio di non contestazione richieda una espressa istanza della parte che intenda avvalersene.

33. Deve, infatti, evidenziarsi che la giurisprudenza citata dal ricorrente a sostegno della propria tesi è antecedente alla riforma di cui alla L. n. 69 del 2009, con la quale è stato modificato l’art. 115 c.p.c., nel senso che il giudice può porre a fondamento della decisione anche i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.

34. A seguito della novella, infatti, la non contestazione non costituisce prova legale, ma un mero elemento di prova sicché il giudice di appello, ove nuovamente investito dell’accertamento dei medesimi con specifico motivo di impugnazione, è chiamato a compiere una valutazione discrezionale di tutto il materiale probatorio ritualmente acquisito, senza essere vincolato alla condotta processuale tenuta dal convenuto in primo grado (Cass. n. 8708 del 2017).

35. L’accertamento della sussistenza di una contestazione, ovvero di una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto di parte, è poi funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. n. 27490 del 2019).

36. Nel caso in esame, così venendo anche ai profili di inammissibilità delle censure perché riguardanti la valutazione del materiale probatorio, la Corte territoriale, con argomentazioni congrue e logicamente motivate, aderenti ai principi sopra esposti, una volta escluso che le condizioni previste dalla scrittura privata del 30.5.2008 si fossero realizzate, ha dato atto che non risultava contestato che il F., immediatamente dopo avere risolto il rapporto, in violazione del patto di non concorrenza contrattualmente stabilito, era stato assunto da un istituto concorrente per lo svolgimento di un incarico del tutto analogo a quello svolto in Citibank.

37. Alcuna inesatta applicazione dell’art. 115 c.p.c., è ravvisabile, trattandosi di circostanze processualmente e pacificamente acquisite, né dell’art. 2697 c.c., che si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 19064 del 2006; Cass. n. 2935 del 2006).

38. Il nono motivo e’, infine, esso infondato.

39. La Corte territoriale si è pronunciata sulla questione riguardante la denunciata modifica sostanziale ed anzi la soppressione del Gruppo Private Banking, sottolineando che ciò che era cessato era stato solo il Private Banking on shore mentre era rimasto pienamente attivo il Private Banking off shore che coinvolgeva anche i clienti seguiti dal F..

40. Analogamente, con il richiamo alle ragioni già espresse per la penale prevista per il patto di non concorrenza, ha escluso l’applicabilità dell’art. 10 della lettera di assunzione al “forgivable loan” di cui ha disposto la restituzione del residuo 50% del finanziamento ricevuto.

41. Alcun omesso esame ovvero omessa pronuncia, da parte dei giudici di seconde cure, e’, quindi, ravvisabile su tali punti.

42. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

43. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

44. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2021

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