Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23418 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 17/11/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 17/11/2016), n.23418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16009-2013 proposto da:

S.L., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso l’avvocato MARCO IERADI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO DUSI, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.I., in proprio e per conto e nome di S.R.,

S.L. vedova B., e per essa gli eredi B.O., + ALTRI

OMESSI

– controricorrenti –

contro

G.F., P.M.;

– intimati –

nonchè da:

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 318,

presso l’avvocato DIEGO CORAPI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VITTORIO CAPPUCCILLI, giusta procura a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

G.I., in proprio e per conto dei Sottoscrittori di quote

della S.R.L. HOTEL VILLAGGIO SANTA TERESA (elencati nel

controricorso), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE QUATTRO

FONTANE 161, presso l’avvocato PAOLO QUATTROCCHI, che li rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GUIDO BARTALINI, giusta procura in

calce al controricorso;

C.M., P.M.V.T., nella qualità di

eredi di P.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso l’avvocato ANDREA MANZI, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati DOSI BARNABY, GIUSEPPE CELONA,

giusta procura in calce al controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

contro

S.L., G.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4201/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per il ricorrente S., l’Avvocato ANTONIO IERADI, con

delega, che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso;

uditi, per la controricorrente e ricorrente incidentale P., gli

Avvocati DIEGO CORAPI e VITTORIO CAPPUCCILLI che hanno chiesto

l’accoglimento del proprio ricorso;

udito, per i controricorrenti C. +1, l’Avvocato CARLO ALBINI,

con delega avv. MANZI, che ha chiesto l’inammissibilità o il

rigetto dei ricorsi;

udito, per i controricorrenti G. + altri, l’Avvocato GUIDO GINO

BARTALINI che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto dei

ricorsi;

si dà atto, inoltre, che l’avv. BARTALINI dichiara che i propri

assistiti hanno raggiunto un accordo con l’avv. G.F.;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del terzo motivo sia del ricorso principale S., sia

dell’incidentale P.; assorbimento del quarto motivo o in

subordine rigetto, dandosi atto del mancato deposito del ricorso

incidentale G. e della transazione relativa.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, e decidendo su rinvio disposto da questa Corte Suprema con sentenza del 25 febbraio 2009, n. 4587, ha condannato in solido P.M. (quale erede di B.), G.F. e S.L., rispettivamente commissario ed esperti della Consob, al risarcimento del danno in favore di G.I., anche quale procuratore speciale di S.R. ed altri 897 sottoscrittori (ed eredi) delle quote H.V.S.T.-Hotel Villaggio Santa Teresa s.r.l., nella misura complessiva di Euro 6.301.291,63, suddivisa sulla base dei certificati partecipativi in atti, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dalle singole sottoscrizioni delle quote alla data della decisione e con gli interessi legali.

La corte territoriale ha ritenuto che: a) la sentenza di rinvio le ha demandato di accertare e distinguere le responsabilità individuali a titolo di colpa o dolo, anche traendo elementi dalla sentenza istruttoria penale, pur priva di effetti di giudicato; è divenuto, invece, già definitivo l’accertamento circa la falsità in prospetto, la sua agevole rilevabilità ed il nesso causale tra l’omessa vigilanza e il danno agli investitori; b) sussiste la responsabilità del commissario e degli esperti Consob, potendosi individuare per ciascuno di essi le condotte colpose, dalla corte territoriale ravvisate sulla base dell’istruttoria svoltasi; c) non sussiste il concorso di colpa degli investitori nella causazione del danno, perchè le notizie di stampa non ebbero diffusione generale e comunque non indicavano la falsità del prospetto, ma solo l’esistenza di rischi; d) resta ininfluente il risarcimento eventualmente percepito a seguito di accordo raggiunto con il Ministero dell’economia e la Consob, nonchè della transazione con C.M. e P.M.V.T., eredi beneficiati di P.A., rilevanti solo sotto il profilo esecutivo.

Avverso questa sentenza propone ricorso S.L., affidato a quattro motivi, cui resistono con controricorso i sottoscrittori H.V.S.T. e gli eredi P..

Propone controricorso con ricorso incidentale P.M., alla stregua di quattro motivi, cui resistono con controricorso i sottoscrittori H.V.S.T., nonchè C.M. ed P.M., nella loro qualità.

Le parti hanno depositato le memorie di cui all’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente S.L. propone avverso la sentenza impugnata motivi di ricorso, che possono essere come di seguito riassunti:

1) violazione degli artt. 116 e 384 c.p.c., art. 41 c.p. e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23 e D.L. n. 95 del 1974, art. 18, come modificato dalla legge n. 77 del 1983, per avere la corte del merito reso omogenee le posizioni dei convenuti, disattendendo i principi fissati dalla S.C. con la sentenza di rinvio n. 4587 del 2009, laddove, invece, per il ricorrente, avvocato esperto esterno senza poteri decisori, non è individuabile nessuna colpa, desunta dalla sentenza impugnata in forza della mera partecipazione alla riunione del 19 luglio 1983 ed all’istruttoria che condusse all’autorizzazione alla pubblicazione dell’offerta: ma il controllo al riguardo devoluto alla Consob era stato introdotto solo con la menzionata legge del 1983, e l’interpretazione prevalente lo reputava meramente formale, onde di ciò la corte del merito avrebbe dovuto tenere conto per esonerare il ricorrente da colpa; mentre, sul piano causale, non la propria istruttoria, ma la lettera di chiarimenti inviata dall’amministratore unico della Sofinvest s.p.a., C.V., letta in quella riunione, aveva convinto commissari a non richiedere rettifiche al prospetto;

2) violazione degli artt. 116 e 384 c.p.c., artt. 1227 e 2056 c.c., perchè la corte del merito ha escluso il concorso di colpa argomentando circa l’esistenza di un unico articolo di stampa al riguardo, mentre nell’anteriore sentenza di cassazione si discorreva di una “campagna di stampa”, con effetto vincolante per la decisione ora impugnata, e la difesa di P. ha prodotto una trentina di articoli evidenzianti la situazione di Consob nel 1983;

3) omessa pronuncia su fatto decisivo e violazione dell’art. 1304 c.c., perchè la corte del merito non ha motivato circa gli effetti della transazione raggiunta con il Ministero dell’economia, che corrispose la somma di oltre Euro 12.000.000,00, limitandosi la sentenza impugnata ad affermare come la questione attiene all’esecuzione della sentenza, mentre si tratta di questione sostanziale;

4) nullità della sentenza ex art. 156 c.p.c., comma 2, per essere incomprensibile la decisione, posto che il ricorrente è stato condannato a pagare a centinaia di persone, che non sono creditori solidali, un unico importo, suddiviso tra gli stessi “secondo quanto risultante dai certificati prodotti”, senza che da ciò sia possibile comprendere quali siano le somme dovute a ciascuno degli 897 attori, spettando invero la verificazione dei documenti prodotti al giudice della cognizione e non dell’esecuzione.

A sua volta, il ricorso incidentale di P.M., quale erede di P.B., censura l’impugnata decisione per:

1) violazione dell’art. 2909 c.c., art. 384 c.p.c. e D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23, in quanto la sentenza impugnata, invece che procedere all’autonoma valutazione della colpa o del dolo del ricorrente, ha ripetuto quanto già contenuto nella propria precedente decisione del 21 ottobre 2003, uniformandosi alle valutazioni ivi svolte. Inoltre, la mera lettura alla riunione del luglio 1983 della lettera, in cui la Sofinvest s.p.a. indicava come l’operazione di acquisto delle azioni della Sarda Grandi Alberghi s.p.a. fosse in corso di perfezionamento, non può integrare una responsabilità per colpa grave del ricorrente, posto che non si escludeva il completamento dell’operazione al momento della sollecitazione del pubblico risparmio, come in effetti poi si verificò, avendo in seguito la Hotel Villaggio Santa Teresa s.r.l. acquistato il 100% delle azioni di tale società; il commissario P. non partecipò all’istruttoria, che spettava agli uffici operativi sotto il coordinamento del presidente della Commissione, mentre gli esperti consulenti, presenti alla riunione, nulla osservarono, avendo il ricorrente fatto affidamento, quindi, sulle verifiche e sulla valutazione positiva espressa dai medesimi; si trattava, poi, di una disciplina di recente emanazione, interpretata in prevalenza come implicante un mero controllo formale sul prospetto e non sulla rispondenza al vero delle informazioni ivi rese (con opinione smentita solo da Cass. n. 3132 del 2001), onde anche ciò escludeva la colpa grave. Infine, la sentenza impugnata ha errato nel ritenersi vincolata dalla precedente decisione della S.C. circa la falsità del prospetto, rifiutando così di valutarne l’effettivo contenuto: l’errore deriva dal fatto di avere esteso il giudicato, relativo ai motivi primo e secondo scrutinati da Cass. n. 4587 del 2009, concernenti la posizione della Consob, anche ai commissari ed esperti, che sono, invece, soggetti diversi e per i quali non basta la colpa ex art. 2043 c.c., occorrendo che essa sia grave ai sensi del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2056 c.c. e art. 384 c.p.c., per avere disatteso il dictum di Cass. n. 3132 del 2001, ripreso anche da Cass. n. 4587 del 2009, secondo cui l’accertamento del concorso di colpa degli investitori avrebbe dovuto essere concreto ed individuale, e non astratto, avendo la corte del merito in modo apodittico affermato che l’articolo di stampa su La Repubblica non ebbe una diffusione nazionale, sebbene, invece, la prima sentenza di legittimità avesse sancito il principio secondo cui, allorchè una notizia di stampa ponga all’attenzione del pubblico la possibilità che una fonte di informazione ufficiale non sia attendibile, l’investitore prudente deve valutare anche quella notizia;

3) violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, omesso esame di fatto decisivo e violazione e falsa applicazione dei principi di diritto in tema di risarcimento del danno da fatto illecito e dell’art. 1304 c.c., posto che la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’ammissione, da parte degli stessi investitori, di aver ricevuto la somma di Euro 12.991.165,15 (Euro 6.307.439,43 per capitale ed Euro 6.683.725,72 per interessi dall’8 maggio 1987) da parte del Ministero dell’economia e delle finanze in data 2 marzo 2005, come invece aveva eccepito la ricorrente nella comparsa conclusionale del 23 settembre 2011, quale prima risposta all’atto degli attori, disapplicando inoltre l’art. 1304 c.c. e le regole risarcitorie, avendo ormai i sottoscrittori ricevuto l’intero loro dovuto e senza considerare come, al più, la transazione su debito solidale produce automaticamente lo scioglimento della solidarietà rendendo gli altri condebitori obbligati solo pro quota;

4) nullità della sentenza per impossibilità di individuare il comando giudiziale, posto che la condanna solidale pronunciata dalla sentenza impugnata è a favore dei creditori “secondo quanto risultante dai certificati prodotti”, impedendo di comprendere di quali somme sia ciascuno creditore, anche in considerazione del fatto che i certificati di investimento depositati non rappresentano più il credito di ogni attore.

2. – Il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale possono essere congiuntamente trattati.

Entrambi pongono, invero, questioni afferenti il requisito della colpa grave nella condotta tenuta dai soggetti responsabili, nonchè dell’efficienza causale con il danno lamentato dagli investitori.

Essi sono infondati.

2.1. – Va premesso, con considerazione da estendere anche al prosieguo nell’esame degli altri motivi di ricorso, che il giudizio di rinvio costituisce la cd. fase rescissoria del giudizio di cassazione, non una rinnovazione del giudizio di appello, secondo il principio della graduale “consumazione processuale” della controversia, il quale mira al progressivo ridursi delle questioni poste e risponde a finalità di natura pubblica: la sentenza di cassazione con rinvio si pone come “norma del caso controverso” (Cass. 19 marzo 2014, n. 6298).

Stanti la natura e la funzione del giudizio di rinvio delineato dal codice di procedura civile (spec. art. 384, comma 2, artt. 393 e 394), il giudice di merito trae la misura dei propri poteri dalla sentenza della Cassazione: la Corte statuisce sulle questioni ad essa sottoposte e delega il compimento delle attività consequenziali.

Esso è retto dalle regole dettate dall’art. 394 c.p.c., onde le norme proprie del giudizio d’appello si applicano in quanto compatibili con le caratteristiche del rinvio; in particolare, per l’art. 384 c.p.c., comma 2, il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto “e comunque a quanto statuito dalla Corte”: espressione che attiene alle affermazioni necessariamente presupposte o implicate dalla decisione di legittimità.

Quando la Corte accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di legge, il collegamento tra la fase di cassazione e quella del rinvio è dato dal principio di diritto, costituente un vincolo per il giudice del rinvio anche nel senso che gli impedisce di rivedere l’accertamento dei fatti che rappresentano gli antecedenti logici necessari del principio medesimo.

Quando la Corte accoglie il ricorso per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente, la corte del merito è tenuta a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema enunciato, esplicitamente o implicitamente, dalla sentenza di annullamento allorchè abbia esaminato la coerenza logica del discorso giustificativo, evitando, cioè, di fondare la sua decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato ritenuti illogici e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni o sopperire ai difetti argomentativi riscontrati.

Occorre peraltro precisare che, in ordine alla valutazione di quei fatti, il giudice del rinvio non può considerarsi vincolato da eventuali indicazioni in ordine al significato da attribuire ad alcuni elementi di prova, le quali assumono di necessità valore meramente orientativo: perchè, altrimenti, si finirebbe con l’ammettere un apprezzamento dei fatti, precluso al giudice di legittimità (Cass. 5 marzo 2009, n. 5316; nella stessa linea, Cass. 11 maggio 2010, n. 11404).

Ove, poi, la sentenza di rinvio venga nuovamente impugnata, il sindacato della S.C. può essere invocato solo in ipotesi di infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, risolvendosi esso nel controllo dei poteri propri del giudice del rinvio per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti.

2.2. – La corte territoriale si è attenuta ai dicta della pronuncia di rinvio n. 4587 del 2009 (la quale, a sua volta, è stata preceduta dalla pronuncia n. 3132 del 2001), ricercando se fosse specificamente imputabile ai funzionari ed esperti, convenuti in giudizio, il danno a titolo di colpa grave.

Invero, la sentenza di questa Corte n. 4587 del 2009 aveva fissato il principio secondo cui, “perchè possa configurarsi, a norma dell’art. 28 Cost., la responsabilità per danni verso i terzi dei commissari della Consob nonchè dei loro dipendenti od esperti in conseguenza di atti o comportamenti adottati nell’esercizio delle loro funzioni, è necessario che essi abbiano agito con dolo o colpa grave, così come previsto dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 23 (T.U. disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), applicabile, in quanto espressione di un principio generale, a chiunque sia legato da un rapporto di servizio con la Commissione”.

Esattamente questo il principio di diritto applicato dalla sentenza impugnata, la quale ha ricercato in capo a ciascun responsabile, adeguatamente motivando, i profili dell’elemento soggettivo della fattispecie.

2.3. – In primo luogo, invero, non coglie nel segno la censura di avere la corte del merito errato nel ritenersi vincolata dalla precedente decisione della S.C. circa la falsità del prospetto, onde non ne ha nuovamente valutato l’effettivo contenuto, e ciò – secondo l’assunto dei ricorrenti – quale conseguenza dell’errata estensione del giudicato di Cass. n. 4587 del 2009, pronunciata con riguardo alla Consob, anche alle persone dei commissari e degli esperti, per i quali occorre, invece, la colpa grave, ai sensi del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23.

Se, sotto quest’ultimo profilo, si rimanda a quanto appena osservato al p. 2.2 circa l’integrazione proprio di tale fattispecie, ritenuta dalla sentenza impugnata, occorre ancora precisare come la corte del merito abbia del pari correttamente ritenuto ormai accertati in via definitiva, quali premesse logico-giuridiche della sentenza rescindente, le evidenti falsità, facilmente rilevabili per la Consob dai documenti depositati o dai dati contenuti nel prospetto. Va, anzi, notato che detto accertamento era già passato in giudicato interno sin dalla prima sentenza di legittimità n. 3132 del 2001 (si legga quanto affermato già dalla sentenza di rinvio del 2009).

Questa Corte ha già affermato che il carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria da fatto illecito, se esclude la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile tra tutti i soggetti che abbiano asseritamente concorso nella produzione del danno, può condurre, tuttavia, ad un rapporto di dipendenza tra l’affermazione (o l’esclusione) della responsabilità di alcuni di essi e l’accertamento del contributo fornito dagli altri, laddove la responsabilità dei primi debba essere necessariamente ricollegata a quella di questi ultimi, per effetto dell’obiettiva interrelazione esistente, sul piano del diritto sostanziale, tra le rispettive posizioni (cfr. Cass. 20 dicembre 2012, n. 23650; 14 giugno 2007, n. 13955; 27 marzo 2007, n. 7501; 12 maggio 2006, n. 11039): come, appunto, accade per la responsabilità dell’ente per il fatto dei suoi dipendenti (e, più in generale, nel caso di concorso omissivo nell’illecito altrui).

Ciò posto, poichè la responsabilità della Consob deriva, ai sensi dell’art. 28 Cost., da quella dei suoi funzionari, la cui condotta si pone quale elemento della fattispecie di una responsabilità per fatto altrui imputata all’autorità di vigilanza, l’accertamento del fatto materiale relativo alla falsità in prospetto ed alla sua rilevabilità ictu oculi – espressamente affermate per l’autorità e divenute giudicato interno dopo la pronuncia di questa Corte del 3 marzo 2001, n. 3132 – è non più modificabile anche ai fini della valutazione della condotta dei funzionari: ferma restando la necessità di un autonomo apprezzamento dell’elemento soggettivo dell’illecito, per essi caratterizzato – secondo il principio ribadito da Cass. 25 febbraio 2009, n. 4587 – almeno dall’integrazione della colpa grave.

Accertamento che, nella specie, ha compiuto la sentenza impugnata, all’esito dell’esame ad essa demandato.

2.4. – Nè coglie nel segno la censura di avere la corte territoriale accorpato indebitamente le posizioni dei diversi convenuti (errore che, secondo Cass. n. 4587 del 2009, aveva invece compiuto la prima sentenza d’appello del 21 ottobre 2003): anzi, la corte territoriale ha ben curato di tenere distinte le situazioni di ciascuno, dedicando ad ogni soggetto ritenuto responsabile autonome argomentazioni ed un passaggio a sè della motivazione.

2.5. – Quanto all’affermazione, presente in entrambi i motivi, secondo cui la colpa grave avrebbe dovuto essere esclusa dalla corte del merito in capo ai ricorrenti, in quanto l’orientamento prevalente dell’epoca reputava devoluto alla Consob un controllo puramente formale sul prospetto, non attinente anche alla rispondenza al vero delle informazioni in esso contenute, si tratta di un tipico apprezzamento devoluto alla discrezionalità del giudice del merito, insindacabile in questa sede (cfr., e multis, in svariati settori: Cass. 25 gennaio 2012, n. 1028; 23 giugno 2011, n. 13827; 22 febbraio 2011, n. 4279; 21 aprile 2006, n. 9367; 23 febbraio 2006, n. 4009; 7 maggio 2004, n. 8723; 9 febbraio 2004, n. 2424; 18 febbraio 2000, n. 1863).

2.6. – Le ulteriori, stavolta speculari, doglianze secondo cui l’esperto legale che curò l’istruttoria non è responsabile, essendo ogni responsabilità assorbita dal momento decisorio, imputabile al commissario, ovvero, al contrario, sarebbe quest’ultimo a dover andare esente da responsabilità, per avere confidato nella correttezza dell’istruttoria da altri svolta – sono inammissibili, riproponendo esse un giudizio sul fatto.

3. – Il secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale pongono la questione del concorso di colpa degli investitori, dalla corte del merito in concreto escluso per l’insufficienza di un solo articolo di stampa e per i suoi contenuti, da essa valutati come integranti senz’altro un segnale di rischiosità dell’investimento, ma non di falsità in prospetto.

Si tratta, com’è palese, di un accertamento di merito non più sindacabile.

Nè ha pregio l’allegata violazione del giudicato interno: invero, la sentenza di questa Corte del 3 marzo 2001, n. 3132 aveva meramente menzionato, nel censurare la decisione d’appello ivi impugnata, la ritenuta “sostanziale inefficienza causale di un intervento informativo assunto nel pieno di una campagna giornalistica di informazione”, ravvisando al riguardo il vizio di motivazione irragionevole, per avere la corte del merito ritenuto esonerata la Consob da responsabilità in virtù delle notizie di stampa successivamente diffuse sul carattere avventuroso dell’investimento: dunque, nulla più che “notizie di stampa” – in tal modo, necessariamente, considerate – sono quelle di cui tale sentenza afferma l’esistenza, per il resto demandando alla corte del merito di riscontrarne concreti contenuti e rilevabilità.

E, parimenti, la sentenza Cass. 25 febbraio 2009, n. 4587 discorre di “una notizia di stampa” la quale “pone all’attenzione del pubblico la possibilità che una fonte di informazione ufficiale possa non essere più attendibile”, ravvisando anch’essa il denunciato vizio di motivazione, perchè la corte d’appello, anzichè “compiere un’analisi delle notizie di stampa, del loro contenuto e della loro consistenza (se, cioè, recanti soltanto mere opinioni del giornalista o riportanti valutazioni suffragate da fatti obiettivi ed elementi concreti), del loro grado di diffusione e della loro ripercussioni sul mercato dei titoli in questione”, ha “finito con l’escludere, in tesi e in assoluto, che le notizie giornalistiche tout court debbano o possano costituire una fonte di informazione per l’attento risparmiatore”, ad essa demandando, appunto, di svolgere ulteriormente tali accertamenti: le cui conclusioni, non sindacabili in sede di legittimità, sono state quelle sopra esposte.

4. – Il terzo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale pongono la questione relativa alla necessità per il giudice della cognizione, allorchè egli sia richiesto di una pronuncia avverso un obbligato solidale, di considerare le transazioni concluse con altro coobbligato.

I motivi sono fondati.

4.1. – Operando essenziali chiarimenti al riguardo, le Sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 30 dicembre 2011, n. 30174) hanno precisato come, in presenza di una transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido, sia anzitutto da accertare se la transazione abbia riguardato l’intero debito o, invece, abbia avuto ad oggetto unicamente la quota del debitore con cui essa è stata stipulata, riferendosi la previsione dell’art. 1304 c.c. alla prima fattispecie.

Dunque mentre, nel primo caso – transazione per l’intero – gli altri debitori possono dichiarare di volerne profittare, come previsto dalla menzionata disposizione, con l’effetto che anche per essi opera l’estinzione del debito, nel secondo caso – transazione pro quota – si determina lo scioglimento della solidarietà passiva unicamente rispetto al debitore che vi aderisce, corrispondentemente riducendosi il debito per gli altri.

La ratio di tale norma, applicabile quando il negozio transattivo riguarda l’intero debito, risiede nella comunanza dell’oggetto della transazione, onde di questa può avvalersi il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e, quindi, in deroga al principio dell’art. 1372 c.c. secondo cui il contratto produce effetto solo tra le parti. Viceversa, tale fondamento non sussiste in presenza di una transazione interna per la singola quota, la quale non può coinvolgere gli altri condebitori, che non avrebbero alcun titolo per profittarne: ma, in ogni caso, ne consegue la riduzione del loro debito per effetto di quanto pagato dal debitore transigente.

Pertanto, in tema di obbligazioni solidali, la transazione conclusa o il pagamento eseguito da parte di uno dei condebitori non sono mai irrilevanti per gli altri, già in sede di cognizione: quanto alla prima, perchè, ai sensi dell’art. 1304 c.c., la transazione stipulata per l’intero debito solidale (nella sua ontologia, non nel quantum, concordato, appunto, in via meramente transattiva) produce effetto e giova anche agli altri debitori che dichiarino di volerne profittare, i quali parimenti vedono estinguere il proprio debito; quanto al secondo, perchè il pagamento, da parte di uno dei condebitori, di una somma per risarcire il danno fondato sul medesimo titolo e avente il medesimo oggetto determina l’estinzione ipso iure dell’obbligazione, entro i limiti del pagamento effettuato, nei confronti di tutti gli altri coobbligati, ai sensi dell’art. 1292 c.c., non incidendo, com’è noto, la responsabilità plurisoggettiva per il medesimo danno sull’entità complessiva del risarcimento conseguibile.

Ne deriva allora che, laddove si applichi l’art. 1304 c.c., la riduzione concordata dell’ammontare del debito come, ad esempio, la rinuncia ad una parte del capitale, o agli interessi, o alla rivalutazione eventualmente pattuita in via transattiva (cfr. art. 1963 c.c.: aliquid datum, aliquid retentum) con uno solo dei debitori opera anche per gli altri che dichiarino di volersene avvalere, non diversamente da quel che sarebbe accaduto se anch’essi avessero sottoscritto la medesima transazione.

Nè, come parimenti chiarito dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 30 dicembre 2011, n. 30174), tale conseguenza potrebbe essere evitata introducendo nella transazione per l’intero debito una riserva o una clausola di contrario tenore, per l’ovvia considerazione che essa sarebbe destinata ad incidere su un diritto potestativo che la legge attribuisce ad un soggetto terzo, rispetto ai contraenti, e del quale perciò questi ultimi non sarebbero legittimati a disporre.

4.2. – Lo stabilire se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido abbia avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta un’indagine di merito sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare.

Peraltro, in taluni casi – come, appunto, in presenza della responsabilità dello Stato per il fatto dei suoi funzionari – sull’ente pubblico grava di regola l’intero debito, perchè lo stesso è convenuto in giudizio solo in ragione del rapporto con il funzionario, e dunque per fatto altrui e con riguardo all’intera entità delle conseguenze dannose scaturite (salvo casi particolari, come allorchè i fatti di mala gestio imputati siano solo in parte riconducibili alla responsabilità dell’ente, perchè solo alcuni siano ricollegati mediante nesso di occasionalità necessaria con le funzioni esercitate): onde la transazione non può, per definizione, che riguardare l’intero e non una mera quota interna, la quale in tal caso non sussiste, attesa la posizione del soggetto obbligato per fatto d’altri e per l’intero debito; e ciò è vero anche qualora i funzionari responsabili – che fra di loro sono obbligati a loro volta solidalmente, ma ciascuno per fatto proprio siano più d’uno.

Parimenti, la valutazione dell’esistenza ed efficacia delle dichiarazioni di volerne profittare costituisce un accertamento di merito.

4.3. – Nella specie, la corte d’appello non ha, per espressa affermazione della stessa, affatto tenuto conto delle somme già ricevute dagli investitori.

Invece, dalla stessa decisione impugnata risulta l’esistenza di una transazione con il Ministero dell’economia e delle finanze, conclusa all’interno del procedimento esecutivo intrapreso, che condusse al pagamento del capitale e degli interessi legali per l’importo complessivo di Euro 12.991.165,15, corrisposto il 2 marzo 2005 (Euro 6.307.439,43 per capitale ed Euro 6.683.725,72 per interessi dall’8 maggio 1987); risulta altresì ivi una transazione con gli eredi P., di cui la sentenza impugnata menziona la data del 27 gennaio 2011 (p. 21), ma non i contenuti; infine, nel corso della pubblica udienza di discussione è stata dichiarata un’ulteriore transazione con G.F., senza ulteriori precisazioni.

La corte del merito, tuttavia, ha erroneamente affermato l’irrilevanza, in sede di cognizione, degli operati pagamenti: in tal modo, essa non ha fatto corretta applicazione dei predetti principi.

Così operando, invero, essa ha compiuto un’indebita duplicazione dei risarcimenti, nonchè degli obblighi risarcitori, posto che sui funzionari ed esperti Consob grava altresì la responsabilità per danno erariale (azione che risulta, in effetti, esperita: cfr. Corte dei conti, sez. giur. reg. Lazio, 12 dicembre 2006, n. 2537).

Quanto agli effetti, per gli altri debitori, della transazione conclusa con il Ministero dell’economia e delle finanze, la corte del merito avrebbe invece dovuto verificare l’applicabilità dell’art. 1304 c.c. e l’esistenza delle dichiarazioni dei coobbligati di volerne profittare.

5. – Il quarto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale censurano il dispositivo della sentenza impugnata, che ha fissato un comando per relationem ad altri documenti, divenendo incomprensibile ed ineseguibile.

Il motivo è fondato.

La motivazione sul punto della sentenza impugnata si limita a richiamare il principio della pronuncia di rinvio Cass. n. 4588 del 2009, affermando che “il danno coincide con l’intero prezzo pagato da ciascun sottoscrittore” ed a condannare i convenuti a pagare la predetta somma ai “sottoscrittori HVST indicati in epigrafe e loro eredi… suddivisa tra gli stessi secondo quanto risultante dai singoli certificati prodotti”.

Ma il principio affermato dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 2 luglio 2012, n. 11066), secondo cui il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, non si esaurisce nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’interpretazione extratestuale del provvedimento, non giunge sino ad ammettere l’enunciazione di comandi che risultino addirittura incomprensibili, come nella specie, ove non viene individuato in modo certo neppure il documento di riferimento, nè sussistendo una solidarietà attiva nel credito.

Si è già osservato (Cass. 17 gennaio 2013, n. 1027) come l’eterointegrazione del titolo esecutivo non si ammette, laddove la questione non risulti nel processo univocamente definita, essendo pur sempre necessario, da un lato, che l’integrazione abbia ad oggetto il risultato di un’attività di giudizio su questioni comunque esaminate e risolte e di cui sia solo mancata un’adeguata estrinsecazione al momento della formazione del documento complesso che costituisce il titolo, e, dall’altro lato, che quest’ultimo non sia intrinsecamente contraddittorio e non occorrano attività cognitive suppletive od integrative, da espletarsi ex novo.

Pertanto, deve ritenersi non ammesso il rinvio ad un documento, che si affermi meramente “prodotto”, senza specificare il luogo e il tempo di tale produzione, e senza neppure individuare gli elementi rilevanti all’interno del medesimo, in modo da rendere comprensibile ed inequivoco il comando espresso in dispositivo.

6. – In conclusione, vanno accolti il terzo e il quarto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, onde, cassata sul punto la sentenza impugnata, la causa va rinviata innanzi alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, perchè provveda:

a) con riguardo alla transazione conclusa con il Ministero dell’economia e delle finanze, a verificare: 1) l’applicabilità dell’art. 1304 c.c., che sarà affermata ove il pagamento sia avvenuto per l’intera responsabilità gravante sull’autorità di vigilanza, nonchè 2) l’esistenza delle dichiarazioni dei coobbligati, odierni ricorrenti, di volerne profittare, con conseguente estinzione, in caso di verifiche entrambe positive, dell’obbligazione in capo ai medesimi;

b) in caso di insussistenza degli effetti estintivi della transazione sub a) e di presenza agli atti del giudizio di ulteriori transazioni, ad accertare se esse siano state concluse per l’intero o pro quota, nel primo caso applicando l’art. 1304 c.c. come sopra, e nel secondo decurtando dal debito residuo quanto pagato dai condebitori (ed allora, perchè minuendo e sottraendo possano essere razionalmente comparati e se ne operi correttamente la differenza, essi saranno calcolati con i relativi accessori alla medesima data di raffronto);

c) ove permanga un debito risarcitorio in capo agli odierni ricorrenti, da liquidare in sentenza, ad indicare i singoli importi creditori, se del caso mediante autorizzazione agli investitori a depositare un elenco sintetico contenente nomi, importi e date dei rispettivi versamenti, da riprodurre quindi nella sentenza stessa.

7. – Gli eredi P. sono stati destinatari delle notificazioni dei ricorsi senza che, tuttavia, avverso i medesimi sia stata formulata qualsiasi domanda, non essendo stati essi neppure indicati tra gli intimati nell’epigrafe dei ricorsi.

Occorre, dunque, concludere che le notifiche siano state compiute a mero titolo di litis denuntiatio, priva di conseguenze ai fini della qualità di parti processuali, atteso che il giudizio nei loro riguardi si è definitivamente concluso con la sentenza ora impugnata, che ha dichiarato la cessazione della materia del contendere quanto alla loro posizione, onde i predetti non avevano necessità di svolgere in questa sede attività difensiva.

8. – Alla corte territoriale si demanda pure la

liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo e quarto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale proposto dal P.M., respinti il primo ed il secondo motivo di entrambi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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