Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23417 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 17/11/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 17/11/2016), n.23417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.L. e M.L., elettivamente domiciliati in Roma, al

corso Trieste n. 87, presso l’avv. ARTURO ANTONUCCI, dal quale,

unitamente agli avv. DANIELA SANNAZZARO del foro di Torino e ROBERTO

VASSALLE del foro di Mantova, sono rappresentati e difesi in virtù

di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA DI LEGNANO S.P.A., in persona del direttore generale p.t.

A.F., elettivamente domiciliata in Roma, alla via P. Mercuri n.

8, presso l’avv. EMANUELE SQUARCIA, dal quale, unitamente all’avv.

GHERARDO CARACCIO del foro di Alessandria, è rappresentata e difesa

in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino n. 93/12,

pubblicata il 20 gennaio 2012;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

maggio 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

uditi i difensori delle parti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. ZENO Immacolata, la quale ha concluso in via

preliminare per il rigetto delle eccezioni proposte dalla

controricorrente, e nel merito per il rigetto del primo, sesto.

settimo, ottavo e tredicesimo motivo e per l’accoglimento per quanto

di ragione dei motivi riguardanti l’informazione e l’inadeguatezza e

del dodicesimo motivo, con l’assorbimento dei restanti motivi e del

ricorso incidentale condizionato e la dichiarazione

d’inammissibilità dei motivi di appello rimasti assorbiti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. P.L. e M.L. convennero in giudizio la Cassa di Risparmio di Alessandria S.p.a., per sentir dichiarare la nullità o pronunciare l’annullamento o la risoluzione per inadempimento di due operazioni di acquisto di obbligazioni della Repubblica Argentina per Lire 396.105.661 ed Euro 99.708,98, poste in essere rispettivamente il (OMISSIS), con la condanna della convenuta alla restituzione della somma investita ed al risarcimento dei danni.

Premesso di essere intestatari dal (OMISSIS) di un conto di deposito titoli presso la filiale di (OMISSIS) della Cassa di Risparmio e di avere conferito alla stessa, il (OMISSIS), un mandato per la negoziazione di strumenti finanziari, nonchè di aver ricevuto un documento informativo sulla composizione e le attività del gruppo bancario di appartenenza della convenuta e di aver rifiutato ogni informazione in ordine alla loro situazione finanziaria ed ai loro obiettivi d’investimento, sostennero che le operazioni non erano sorrette da un contratto di negoziazione recante la determinazione dell’oggetto in forma scritta. Lamentarono inoltre la omessa acquisizione d’informazioni in ordine alla loro esperienza e propensione al rischio e per la prima operazione la mancata consegna del documento informativo sui rischi generali, la violazione da parte della Cassa dell’obbligo di astensione per inadeguatezza delle operazioni e per conflitto d’interessi e la violazione del dovere d’informazione sull’aumento di rischiosità dell’investimento nella seconda metà dell’anno 2001, deducendo infine la responsabilità della Cassa per fatto dei propri dipendenti.

Si costituì la Cassa di Risparmio, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. – Con sentenza del 27 aprile 2009, il Tribunale di Alessandria dichiarò inammissibile, in quanto tardiva, la domanda di accertamento della nullità delle operazioni d’investimento per mancata rinnovazione del contratto quadro, escluse la nullità del medesimo contratto per indeterminatezza dell’oggetto e per violazione delle norme di comportamento, nonchè l’annullabilità del contratto per errore; rigettò la domanda di risoluzione, in quanto non riferibile agli ordini d’investimento, ma solo al contratto quadro, e, ritenuta la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, condannò la Cassa di Risparmio al pagamento della somma di Euro 291.380,48, pari all’importo complessivamente investito, detratto il valore attuale delle obbligazioni.

2. L’impugnazione proposta dalla Cassa di Risparmio è stata accolta dalla Corte d’Appello di Torino, che con sentenza del 20 gennaio 2012 ha rigettato il gravame incidentale condizionato proposto dal P. e dalla M., rigettando le domande dagli stessi proposte.

Premesso che l’obbligo d’informazione del cliente in ordine alla natura ed ai rischi dell’operazione d’investimento, previsto dall’art. 28, comma 2, del Regolamento Consob 1 luglio 1998, n. 11522, ha carattere autonomo e preliminare rispetto a quello di segnalazione dell’inadeguatezza dell’operazione, previsto dall’art. 29 del medesimo Regolamento, essendo volto ad apprestare il necessario corredo informativo in ordine alla specifica operazione verso la quale il cliente è indirizzato, per consentirgli di operare consapevolmente le proprie scelte d’investimento, la Corte ha affermato che detto obbligo sussiste in tutti i rapporti con operatori non qualificati, ivi compresi quelli con chi abbia in precedenza investito occasionalmente in titoli a rischio. Ha ritenuto pertanto irrilevante, a tal fine, l’accertamento del grado di esperienza e propensione al rischio dell’investitore, osservando tuttavia che l’assunzione d’informazioni mediante la compilazione di un’apposita scheda informativa o l’estrazione dei necessari elementi dalla composizione del portafoglio di titoli assume rilievo anche ai fini della valutazione dell’adeguatezza dell’operazione.

Ciò posto, ha rilevato che la Cassa non aveva assolto l’obbligo d’informazione attiva, non avendo provato di aver informato gli attori sulla natura e sui rischi dell’operazione, nè attraverso la documentazione prodotta, nè attraverso le deposizioni rese dai testi, risultate generiche e sostanzialmente comprovanti l’assenza di un’idonea offerta informativa. Precisato che tale informazione era resa necessaria dalla natura speculativa dei titoli, desumibile dal rating loro attribuito dalle più note agenzie di valutazione, ha escluso tuttavia l’inadeguatezza degli ordini di acquisto e la conseguente configurabilità a carico della Cassa dell’obbligo informativo di cui all’art. 29 cit. Ha osservato infatti che gli ordini di acquisto risultavano adeguati all’entità del patrimonio degli attori investito in titoli ed alle connotazioni tipologiche del portafoglio, avente una composizione decisamente speculativa, per effetto della liquidazione degl’investimenti in titoli di Stato e della scelta d’investimenti più remunerativi; ha quindi escluso la configurabilità di un danno in re ipsa, affermando che incombeva agli investitori l’onere di provare il nesso di causalità tra il danno subito e l’inadempimento. Premesso che tale prova non era stata fornita, ha osservato che dalle risultanze istruttorie emergeva anzi la volontà degli attori di acquistare i titoli in questione, al fine di operare investimenti più aggressivi e conseguire rendimenti più elevati, in sostanziale autonomia rispetto alla Cassa ed alle sue indicazioni.

La Corte ha poi rigettato l’eccezione di nullità delle attività processuali compiute dalla Cassa di Risparmio, rilevando che il difetto di potere rappresentativo del funzionario che aveva rilasciato la procura al difensore risultava sanato con efficacia retroattiva dalla nuova costituzione della convenuta in persona del presidente del consiglio di amministrazione, avvenuta mediante il deposito della comparsa conclusionale.

Ha inoltre confermato la validità del contratto quadro, osservando che la natura normativa dello stesso ne limitava la portata alla disciplina generale del rapporto, con individuazione ben determinata del suo oggetto, restando rimessa agli ordini di acquisto l’ulteriore specificazione degli obblighi degli investitori e delle commissioni loro applicate. Ha ribadito la tardività della domanda di accertamento della nullità del contratto quadro per mancato adeguamento alle disposizioni del D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415 e del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in quanto proposta soltanto in comparsa conclusionale ed avente ad oggetto una questione non rilevabile d’ufficio, avuto riguardo alla specificità dei profili di nullità fatti valere con l’atto di citazione ed al necessario contemperamento della rilevabilità d’ufficio della nullità con il principio della domanda; ha ritenuto ininfluente, al riguardo, la configurabilità del vizio come nullità di protezione, in considerazione del regime dispositivo previsto per tali fattispecie, ed inconferente il richiamo ai principi enunciati dalla Corte di Giustizia UE in riferimento alla tutela dei consumatori, osservando comunque che la nullità non era espressamente prevista dalle norme invocate, nè riconducibile a norme imperative, ed aggiungendo che non era stata specificamente dedotta la menomazione del diritto degli attori derivante dal mancato adeguamento. Ha escluso la nullità dell’operazione del (OMISSIS), in quanto riguardante obbligazioni in fase di grey market, ritenendo inapplicabili il D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 94 e ss. in quanto la Cassa non aveva posto in essere un’offerta indiretta al pubblico, ma una negoziazione singolare nei confronti degli attori.

La Corte ha altresì escluso l’obbligo della Cassa d’informare gl’investitori dei ripetuti declassamenti del rating dei titoli, affermando che il monitoraggio dello andamento dell’investimento risultava estraneo al rapporto intercorso tra le parti, avente natura di mandato, e non già di gestione patrimoniale, e non era riconducibile neppure al principio di buona fede contrattuale, quale espressione del dovere di collaborazione. Premesso che la domanda di risoluzione proposta dagli attori era stata correttamente riferita agli ordini di acquisto, non essendo stato dedotto che la violazione degli obblighi informativi avesse inciso sulla complessiva esecuzione del contratto quadro, ne ha dichiarato l’inammissibilità, osservando che, avuto riguardo all’inerenza dei predetti obblighi alla corretta esecuzione di tale contratto, l’inadempimento degli stessi può comportare soltanto la risoluzione di quest’ultimo, e non anche quella degli ordini d’acquisto. Ha infine escluso la configurabilità di un conflitto d’interessi a carico della Cassa, osservando che l’acquisto dei titoli in contropartita diretta non risultava di per sè sufficiente ad integrare la predetta violazione, tenuto conto della specifica indicazione del prezzo contenuta negli ordini d’investimento.

3. Avverso la predetta sentenza il P. e la M. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in quattordici motivi, illustrati anche con memoria. Ha resistito con controricorso la Banca di Legnano S.p.a., succeduta alla Cassa di Risparmio di Alessandria a seguito di fusione per incorporazione con atto per notaio M.C. del (OMISSIS), proponendo ricorso incidentale condizionato, affidato ad un solo motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale, il cui esame risulta logicamente e giuridicamente prioritario rispetto al ricorso principale, la Banca di Legnano lamenta la violazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 e art. 362 c.p.c., affermando l’inammissibilità del ricorso per cassazione, per difetto d’interesse. Premesso che, nell’accogliere l’appello proposto dalla Cassa di Risparmio, la sentenza impugnata ha ritenuto non provato il nesso causale tra il danno lamentato dagli attori e la responsabilità della convenuta, afferma che tale accertamento non può costituire oggetto di censura in sede di legittimità, non essendo riconducibile a nessuna delle ipotesi previste dagli artt. 360 e 362 cit., e deve quindi considerarsi passato in giudicato, con la conseguenza che l’eventuale accoglimento dei motivi d’impugnazione non potrebbe in alcun caso condurre ad una decisione diversa.

1.1. In quanto concernente non già una questione trattata nelle precedenti fasi processuali e risolta in senso sfavorevole alla controricorrente, ma l’interesse alla proposizione dell’impugnazione principale, la predetta censura, sollevata peraltro in via condizionata, non avrebbe richiesto la forma del ricorso incidentale, inammissibile in quanto tale, risolvendosi piuttosto in un’eccezione di carattere pregiudiziale proponibile con il controricorso, e da esaminarsi con precedenza rispetto ai motivi del ricorso principale. L’eccezione è peraltro infondata, dal momento che il nesso eziologico tra l’inadempimento del debitore ed il danno lamentato dal creditore rappresenta un elemento costitutivo della responsabilità contrattuale, la cui verifica, al pari di quanto accade in tema di responsabilità aquiliana, si risolve in un apprezzamento di fatto, sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. Cass., Sez. 3, 23 luglio 2002, n. 10741; 19 maggio 1999, n. 4852; Cass., Sez. lav., 6 marzo 1997, n. 2009), e puntualmente censurato nella specie con il quinto motivo del ricorso principale.

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 342 c.p.c. e del principio del contraddittorio, ai sensi dello art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che, nell’escludere il difetto di specificità dell’appello, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della caotica esposizione dei motivi di gravame, tale da impedire l’individuazione delle statuizioni della sentenza di primo grado che l’appellante aveva inteso contestare e delle argomentazioni contrapposte a quelle svolte dal Tribunale. Nell’affrontare le questioni sollevate dall’appellante, la Corte di merito ha ritenuto di doverle organizzare secondo un proprio criterio logico-giuridico, in tal modo scegliendo, nello ambito di ciascun motivo, soltanto alcune delle questioni proposte, e trascurandone altre esaminate nella sentenza di primo grado.

2.1. Il motivo è infondato.

La natura processuale del vizio lamentato consente di procedere all’esame diretto degli atti, dal quale si evince che, nella redazione dell’atto di appello, la difesa della Cassa di Risparmio aveva adeguatamente illustrato i motivi di gravame, ordinandoli in base al duplice criterio del riferimento ai fatti accertati dalla sentenza di primo grado e dell’inerenza alle domande proposte dagli attori, oltre che alle eccezioni da essa sollevate, sì da consentire l’immediata individuazione dei capi contestati e delle conseguenze dell’accoglimento di ciascuna censura. Tali modalità di formulazione dell’appello devono considerarsi, nel loro complesso, idonee a soddisfare il requisito prescritto dall’art. 342 c.p.c., ai fini del quale non è necessaria una formalistica enunciazione delle ragioni invocate. risultando sufficiente che l’atto d’impugnazione permetta d’individuare con certezza le statuizioni impugnate e gli argomenti alle stesse contrapposti, in modo tale da consentire al giudice di cogliere esattamente il senso e la portata delle censure ed alla controparte di svolgere senza pregiudizio la propria attività difensiva (cfr. Cass., Sez. 3, 18 settembre 2015, n. 18307; 23 ottobre 2014, n. 22502; Cass., Sez. 2, 27 gennaio 2011, n. 1924). Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto insussistente l’eccepito difetto di specificità dei motivi di appello, non ponendosi tale affermazione in contrasto con la circostanza che, nel procedere al loro esame, la Corte di merito abbia reputato opportuna una modifica dell’ordine delle questioni trattate, al dichiarato fine di affrontare quelle riguardanti la sufficienza delle informazioni fornite agli investitori congiuntamente a quelle, logicamente e giuridicamente connesse, aventi ad oggetto il carattere speculativo dello investimento e la valutazione delle relative prove. L’inosservanza dell’ordine delle questioni proposte dalle parti non costituisce poi un autonomo motivo di ricorso per cassazione, a meno che non si sia tradotta nell’omesso esame di una domanda o di un motivo di appello, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. 3, 29 settembre 2009, n. 20816; Cass., Sez. 2, 19 settembre 1992, n. 10748), oppure abbia inciso sulla completezza e la coerenza logica della motivazione, rendendola insufficiente o contraddittoria, e quindi impugnabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., Sez. lav., 7 maggio 2004, n. 8720; Cass., Sez. 1, 28 marzo 1991, n. 3360).

3. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 100, 112, 324 e 346 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, rilevando che, nell’affermare l’adeguatezza delle operazioni di acquisto, la sentenza impugnata si è pronunciata su una questione che non aveva costituito oggetto di uno specifico motivo di gravame, non avendo considerato che la sentenza di primo grado non era stata impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che l’inadeguatezza fosse in re ipso, con la conseguente esclusione della necessità della prova del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’obbligo informativo ed il danno lamentato.

3.1. Il motivo è infondato.

Nell’affermare l’irrilevanza dell’inadempimento da parte della Cassa di Risparmio dell’obbligo d’informare gl’investitori in ordine alla natura speculativa dei titoli offerti ed al carattere conseguentemente rischioso delle operazioni d’investimento proposte, in considerazione dell’adeguatezza degli ordini di acquisto all’entità del patrimonio dei ricorrenti investito in titoli ed alla connotazione tipologica del loro portafoglio, la sentenza impugnata ha fornito infatti risposta al terzo motivo di gravame (denominato dall’appellante “primo motivo di impugnazione “nel merito””), con cui, nel contestare l’inadempimento degli obblighi informativi, la Cassa di Risparmio aveva posto specificamente in risalto le floride condizioni economiche degli attori, l’avvenuta effettuazione da parte degli stessi di precedenti operazioni finanziarie speculative, l’entità del patrimonio da loro investito e l’esperienza negli affari vantata dal P. in qualità di conosciuto imprenditore, quali elementi idonei a consentire la ricostruzione del profilo di rischio degl’investitori, che rappresenta il parametro di riferimento per la valutazione dell’adeguatezza dell’operazione proposta, ai fini dell’insorgenza degli obblighi previsti dall’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 a carico dell’intermediario.

4. – Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la contraddittorietà della motivazione, osservando che l’esclusione dell’inadeguatezza delle operazioni di acquisto e della conseguente configurabilità a carico della Cassa dell’obbligo informativo di cui all’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 si pone in contrasto con la constatazione della natura speculativa delle obbligazioni acquistate e con il rilievo che fino alla data della prima operazione il portafoglio titoli di essi ricorrenti era composto pressochè esclusivamente da titoli dello Stato italiano.

5. – Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la falsa applicazione dello art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, affermando che ai fini del riconoscimento dell’inadeguatezza dell’investimento doveva considerarsi sufficiente la prova che i titoli acquistati erano a rischio e che la Cassa non aveva fornito alcuna informazione agl’investitori. Sotto il profilo dimensionale, l’adeguatezza dell’investimento dev’essere infatti valutata in via principale in base alla somma investita, e solo in subordine in riferimento al patrimonio ed alle disponibilità dell’investitore; quanto poi alla tipologia, la Corte di merito non ha considerato che si trattava di titoli che, in quanto emessi all’estero, regolati dalla legge straniera e negoziati fuori mercato, presentavano minori garanzie per il risparmiatore italiano; la sentenza impugnata ha infine omesso di valutare distintamente l’adeguatezza delle operazioni per ciascun cointestatario del conto, essendosi limitata ad estendere alla M. le considerazioni riguardanti la propensione al rischio del P..

6. Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono l’insufficienza della motivazione, sostenendo che, nel negare la sussistenza del nesso causale, la sentenza impugnata si è limitata a porre in risalto la scelta compiuta dal P. in favore d’investimenti più remunerativi, senza considerare che, ove gli obblighi informativi dell’intermediario fossero stati correttamente adempiuti, egli si sarebbe orientato verso l’acquisto di altri titoli, contestualmente offertigli dalla Cassa e rivelatisi meno rischiosi. La Corte di merito ha poi esteso contraddittoriamente le predette conclusioni anche alla M., senza spiegare le ragioni per cui la richiesta fatta da uno solo dei cointestatari comporta il venir meno del nesso causale anche per l’altro.

7. – I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la comune problematica relativa alla valutazione dell’adeguatezza dell’operazione ed ai conseguenti riflessi sugli obblighi dell’intermediario, sono fondati.

La sentenza impugnata ha infatti accertato la violazione da parte della Cassa di Risparmio dell’obbligo d’informazione attiva posto a suo carico dall’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, ritenendo non provato, sulla base della documentazione prodotta e delle deposizioni rese dai testi, che agli attori fossero state fornite, prima dell’effettuazione degl’investimenti, adeguate informazioni in ordine alla natura, ai rischi ed alle implicazioni delle specifiche operazioni proposte: nondimeno, essa ha escluso la responsabilità della Cassa, ritenendo non provato il nesso eziologico tra l’inadempimento del predetto obbligo ed il pregiudizio riportato dagli attori. Pur dando atto della rischiosità delle operazioni, collegata alla natura speculativa dei titoli, la Corte di merito l’ha ritenuta infatti adeguata al profilo di rischio degli investitori, desumibile dall’entità del loro patrimonio e dalla composizione del loro portafoglio in titoli, affermando pertanto che la prova del nesso causale non poteva considerarsi in re ipsa, ma incombeva agli attori; ciò posto, ha rilevato che questi ultimi non avevano offerto alcuna prova al riguardo, aggiungendo che dalle risultanze istruttorie era anzi emersa in modo sicuro la loro volontà di acquistare i titoli proposti, avendo essi manifestato l’intenzione di effettuare investimenti più aggressivi per conseguire rendimenti più elevati, in sostanziale autonomia rispetto alle indicazioni fornite dalla Cassa.

7.1. In astratto, il riconoscimento della natura speculativa dei titoli non si pone affatto in contrasto con l’affermazione dell’adeguatezza delle operazioni, la cui valutazione, ai sensi dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, ha carattere essenzialmente relativo, implicando un confronto tra le caratteristiche intrinseche dell’investimento proposto (tipologia, oggetto, frequenza o dimensione), cui fa riferimento il comma 1 della predetta disposizione, ed il profilo di rischio dell’investitore, richiamato dal secondo comma attraverso il rinvio all’art. 28, e può quindi condurre a ritenere adeguato anche un investimento rischioso, ove dalle informazioni acquisite in ordine all’esperienza dell’investitore, alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi d’investimento ed alla sua propensione al rischio emerga che la forma d’impiego prescelta, oltre ad apparire compatibile con i mezzi economici di cui egli dispone, corrisponda effettivamente ai suoi intendimenti e comporti un margine di aleatorietà che egli, in base alle conoscenze acquisite attraverso precedenti operazioni, sia effettivamente in grado di comprendere ed accettare.

Nella specie, tuttavia, dalla sentenza impugnata non emergono con chiarezza i parametri ai quali la Corte di merito ha inteso fare riferimento ai fini della valutazione dell’adeguatezza delle operazioni proposte agli attori: nell’affermare che in tale occasione questi ultimi avevano manifestato l’intenzione di effettuare investimenti più aggressivi, al fine di procurarsi rendimenti più elevati, essa ha infatti rilevato che in precedenza il loro portafoglio, avente una consistenza complessiva superiore a Lire 1.660.000.000, era contraddistinto da una composizione orientata in senso prettamente conservativo, in quanto caratterizzata dalla detenzione pressocchè esclusiva di titoli dello Stato italiano; ciò nonostante, ha ritenuto adeguate le operazioni, osservando che alla scadenza di detti titoli la liquidità ricavata era stata reinvestita in impieghi più decisamente speculativi, e ravvisandone la prova nell’acquisto di obbligazioni (OMISSIS) 10% per un valore di Lire 180.000.000 e della Gran Bretagna, in dollari, a tasso variabile per un valore di USD 110.000, effettuato nella medesima data dell’investimento in obbligazioni della Repubblica Argentina. Orbene, proprio in quanto contestualmente compiute, le predette operazioni potevano ben essere ritenute sintomatiche della volontà degli attori di mutare le loro scelte d’investimento, abbandonando impieghi notoriamente prudenziali per orientarsi verso altri più rischiosi, ma nulla erano in grado di dimostrare in ordine alla loro abitudine ad operare nel settore prescelto, e quindi alla loro capacità di rendersi conto, oltre che dei maggiori rendimenti che avrebbero potuto conseguire, anche delle perdite cui sarebbero potuti andare incontro; la precedente composizione del loro portafoglio deponeva anzi in senso contrario a tale consuetudine, lasciando intendere che essi erano avvezzi ad investimenti notoriamente considerati assai meno rischiosi, anche se meno remunerativi.

7.2. – Sotto un diverso profilo, occorre poi rilevare che, come esattamente osservato dalla sentenza impugnata, la valutazione di adeguatezza dell’operazione incide soltanto sull’obbligo di segnalarne motivatamente l’inopportunità ai sensi dell’art. 29, comma 3, del Regolamento Consob, nonchè sull’operatività del divieto, ad esso correlato, di procedere all’esecuzione dell’operazione senza un ordine scritto o registrato, ma non fa venir meno gli obblighi previsti dall’art. 28 del medesimo Regolamento, ed in particolare quello di fornire all’investitore informazioni adeguate in ordine alla natura, ai rischi ed alle implicazioni della specifica operazione proposta, del quale la sentenza impugnata ha accertato l’inadempimento da parte della Cassa di Risparmio.

Nell’escludere la configurabilità di un nesso eziologico tra l’inosservanza del predetto obbligo ed il danno lamentato dagli attori, la sentenza impugnata non ha tenuto adeguatamente conto delle finalità cui è preordinata la previsione degli obblighi informativi posti a carico degl’intermediari finanziari, i quali, avendo ad oggetto da un lato l’acquisizione delle notizie necessarie per la ricostruzione del profilo di rischio dell’investitore (c.d. informazione passiva: art. 28, comma 1, lett. a, del Regolamento), dall’altro la fornitura di informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione (c.d. informazione attiva: art. 28, comma 2), mirano a consentire all’intermediario d’individuare e proporre le forme d’investimento più appropriate al profilo dell’investitore, senza tuttavia dispensare quest’ultimo dall’onere di valutare autonomamente le soluzioni proposte, ma assicurando anzi che egli sia posto nelle condizioni migliori per effettuare una scelta consapevole. Tale esigenza (alla quale non è estraneo neppure l’obbligo d’informazione passiva, dal momento che gli elementi di conoscenza forniti devono risultare adeguati all’esperienza ed agli obiettivi del cliente), è soddisfatta essenzialmente dall’obbligo d’informazione attiva, il quale, come si è detto, sussiste indipendentemente dall’inadeguatezza dell’operazione proposta, che ne comporta soltanto un aggravamento, imponendo all’intermediario ulteriori adempimenti. In quest’ottica, se è vero che l’inadeguatezza dell’operazione comporta un alleggerimento dell’onere probatorio gravante sull’investitore ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria (non nel senso, ritenuto dalla sentenza impugnata, che il danno derivante dall’inadempimento degli obblighi informativi possa considerarsi in re ipsa, ma in quello più limitato di consentire l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalità), è anche vero, però, che, anche in presenza di operazioni adeguate, la mancata fornitura di informazioni esaurienti ed appropriate in ordine alla tipologia ed alle caratteristiche dell’impiego suggerito costituisce un indice tutt’altro che trascurabile dell’avvenuta effettuazione di una scelta non consapevole da parte dell’investitore, i cui effetti pregiudizievoli non sono pertanto ascrivibili alla sua volontà.

In proposito, non possono d’altronde non sottolinearsi ulteriori profili di contraddittorietà della sentenza impugnata, la quale, pur dando atto dell’inottemperanza della Cassa di Risparmio all’obbligo d’informare gli attori in ordine al carattere speculativo delle obbligazioni della Repubblica Argentina, l’ha ritenuta causalmente ininfluente, in virtù dell’affermata determinazione dei clienti ad effettuare le operazioni in sostanziale autonomia rispetto alla banca ed alle sue indicazioni, in tal modo attribuendo alla Cassa di Risparmio un intervento attivo, in precedenza negato, volto a dissuadere gli attori dall’investimento. Al riguardo, la Corte di merito ha accennato anche all’assistenza prestata agl’investitori da un proprio consulente finanziario, che avrebbe indicato loro i titoli da acquistare in precedenti occasioni, omettendo tuttavia da un lato di precisare se tali acquisti avessero già comportato una modificazione del profilo di rischio degl’investitori, e dall’altro di considerare che l’adempimento degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario non può essere surrogato da informazioni autonomamente ed aliunde acquisite, implicando invece una condotta positiva, diretta specificamente a fornire gli elementi idonei a descrivere la natura, la quantità e la qualità dei prodotti finanziari ed a rappresentarne la rischiosità (cfr. Cass., Sez. 1, 27 aprile 2016, n. 8394; 21 aprile 2016, n. 8089).

8. – La sentenza impugnata va pertanto cassata. restando assorbiti gli altri motivi d’impugnazione, concernenti la nullità originaria o sopravvenuta del contratto di negoziazione e l’invalidità della seconda operazione compiuta, nonchè l’inadempimento degli ulteriori obblighi gravanti sulla Cassa di Risparmio, al cui esame i ricorrenti hanno precisato di avere interesse soltanto in caso di rigetto dei primi cinque motivi.

La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’Appello di Torino. che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato, rigetta i primi due motivi del ricorso principale, accoglie il terzo, il quarto ed il quinto motivo, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Torino, anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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