Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23416 del 17/11/2016

Cassazione civile sez. II, 17/11/2016, (ud. 08/09/2016, dep. 17/11/2016), n.23416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25590-2012 proposto da:

COMUNE RODI GARGANICO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE 104 C/0 DE ANGELIS

ANTONIA, presso lo studio dell’avvocato VITO AURELIO PAPPALEPORE,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.N., ACQUEDOTTO PUGLIESE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 422/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato PAPPALEPORE Vito Aurelio, difensore del ricorrente

che si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 688 c.p.c. la signora P.N. esercitava davanti al tribunale di Lucera un’azione di danno temuto nei confronti del Comune di Rodi Garganico, denunciando il dissesto idrogeologico verificatosi in prossimità della propria abitazione, in una zona del centro abitato comunale denominata “rione (OMISSIS)”, e ascrivendo la causa del dissesto allo sbancamento effettuato per la realizzazione delle fondazioni di un edificio da parte della società Roccamare. Il Comune di Rodi Garganico, costituendosi, chiedeva la chiamata in causa della società Roccamare ma il giudice disattendeva tale istanza e, per contro, disponeva jussu judicis la chiamata in causa della società Acquedotto Pugliese spa (già Ente Autonomo Acquedotto Pugliese).

All’esito della fase interdittale – nel corso della quale era stata disposta una c.t.u. che aveva individuato le cause del denunciato dissesto nella formazione di una caverna sottostante l’immobile della signora P., causata da perdite delle tubazioni della rete idrica e fognaria (oltre che, in minor misura, da perdite dello scarico delle acque pluvie dell’immobile della stessa sig.ra P.) – il tribunale ordinava al Comune di Rodi Garganico ed alla società Acquedotto Pugliese di provvedere all’esecuzione delle opere suggerite dal c.t.u. e rinviava ad altra udienza per la trattazione del merito.

La sentenza di merito confermava l’ordinanza interdittale e ordinava al Comune ed alla società Acquedotto Pugliese l’esecuzione di ulteriori interventi, ponendo il relativo onere economico a carico della ricorrente per il 10% e delle resistenti in solido per il residuo.

La corte di appello di Bari, adita con l’appello principale del Comune di Rodi Garganico e con l’appello incidentale della società Acquedotto Pugliese rigettava entrambi gli appelli e confermava integralmente la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza di secondo grado il Comune di Rodi Garganico ha proposto ricorso per cassazione con due motivi.

In questa sede non si sono costituiti nè la signora P. nè la società Acquedotto Pugliese spa.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza dell’8.9.16, per la quale il ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denuncia il vizio di contraddittorietà della motivazione, nonchè il vizio di violazione e falsa applicazione di legge – con riferimento al disposto del R.D.L. n. 1464 del 1938, D.M. 8 gennaio 1997, n. 99, art. 2, comma 4, e dell’art. 2051 c.c. – in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che le tubazioni da cui derivavano le perdite che avevano cagionato il dissesto accertato nella c.t.u. fossero di proprietà del Comune e, comunque, ritenendo che – ancorchè l’onere della custodia di tali tubazioni gravasse sulla società Acquedotto Pugliese – il Comune dovesse rispondere in solido con quest’ultima dei danni cagionati delle tubazioni medesime.

Con il secondo motivo si denuncia il vizio di contraddittorietà della motivazione, nonchè il vizio di violazione e falsa applicazione di legge – con riferimento al disposto dell’art. 1172 c.c. e artt. 112 e 183 c.p.c. – in cui la corte territoriale sarebbe incorsa disattendendo il motivo di appello con cui il Comune di Rodi Garganico aveva denunciato il vizio di ultra petizione che affliggeva la sentenza del tribunale. Argomenta al riguardo il ricorrente che nel ricorso introduttivo della signora P. la causa del lamentato dissesto geologico era stata individuata in uno sbancamento effettuato dalla società Roccamare; nel passaggio dalla fase cautelare alla fase di merito (avvenuto irritualmente, in quanto il tribunale, nell’ordinanza interdittale, non aveva assegnato un termine per l’introduzione del giudizio di merito, ma aveva senz’altro fissato l’udienza di trattazione) la signora P. non aveva mai precisato o modificato la propria domanda, nemmeno chiedendo al giudice di poter all’uopo avvalersi dei termini di cui all’art. 183 c.p.c.; cosicchè il giudice di primo grado avrebbe in definitiva basato la propria decisione su fatti costitutivi (perdite della rete idrica e fognaria) diversi da quelli dedotti in giudizio del ricorso introduttivo (sbancamento per la realizzazione delle fondazioni di un fabbricato).

E’ necessario esaminare in primo luogo il secondo motivo di ricorso, che denunciando il vizio di ultra petizione in cui tanto il tribunale quanto la corte d’appello sarebbero incorsi accogliendo la domanda di parte attrice sulla base di una causa petendi diversa da quella da costei dedotta in giudizio – pongono una questione relativa all’identificazione della regiudicanda che è evidentemente preliminare rispetto al merito della decisione, a cui si riferiscono le censure svolte nel primo motivo di ricorso.

Il motivo va disatteso.

Tanto la sentenza di primo grado in quanto quella di appello, condannando il Comune e la società Acquedotto Pugliese ad eseguire le opere suggerite nella c.t.u., si sono pronunciate esattamente sulla domanda introdotta con il ricorso introduttivo, la cui causa petendi era il diritto di proprietà della signora P. ed il cui petitum era l’adozione di “tutti quei provvedimenti idonei a scongiurare il pericolo di ulteriore aggravamento del dissesto”.

Che poi l’istruttoria abbia accertato che la causa del dissesto era diversa da quella ipotizzata dalla ricorrente nel ricorso introduttivo non implica alcuna modifica nè del petitum nè della causa petendi; infatti, come più volte chiarito da questa Corte (cfr., tra le varie, sentt. nn. 16809/08, 2209/16) il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonchè in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante. Nè, sotto altro aspetto, nella fattispecie può parlarsi di mancata realizzazione del contraddittorio sulle circostanze di fatto poste dal giudice a fondamento della propria pronuncia, giacchè il Comune ha partecipato al giudizio fin dal suo esordio in fase interdittale e già in tale fase I’ istruttoria tecnica aveva consentito di mettere a fuoco le reali cause del dissesto, tanto che, proprio per garantire il contraddittorio, già in tale fase il tribunale aveva opportunamente disposto la chiamata in causa della società Acquedotto Pugliese ai sensi dell’art. 107 c.p.c.. La fase di merito conseguita a quella interdittale, pertanto, aveva ad oggetto proprio la verifica e l’approfondimento, con le garanzie del rito ordinario di cognizione, dell’accertamento (già compiuto in via di urgenza ai soli fini della tutela cautelare) relativo alla consistenza del dissesto lamentato dalla signora P., alla dipendenza di tale dissesto dalle perdite delle tubazioni idriche e fognarie riscontrate dal c.t.u. ed alla definizione degli interventi necessari per rimettere la situazione in sicurezza. Correttamente, quindi, la corte d’appello ha escluso che la sentenza di primo grado fosse viziata di ultra petizione.

Il primo motivo di ricorso, attinente al merito della decisione della corte barese, è invece fondato.

La sentenza gravata, infatti, non chiarisce in base a quali ragioni la corte territoriale ritenga che il Comune sia proprietario delle tubazioni da cui derivavano le perdite (limitandosi a qualificare il Comune stesso, del tutto apoditticamente, “ente pubblico proprietario”), nè chiarisce in base a quali ragioni la stessa corte, pur dando atto che la società Acquedotto Pugliese è tenuta per legge ad eseguire il lavori di riparazione delle reti idriche e fognarie in questione (al riguardo, peraltro, questa stessa Corte ha chiarito che “l’Ente autonomo per l’acquedotto pugliese (trasformato dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 141 in Acquedotto pugliese s.p.a.) è tenuto, in forza del R.D.L. 2 agosto 1938, n. 1464 ad eseguire, nei comuni serviti dall’acquedotto stesso, i lavori di riparazione straordinaria della rete idrica e fognaria, onde assicurarne il perfetto funzionamento, non essendo stato abrogato il citato R.D.L. n. 1464 del 1938 dalla L. 10 maggio 1976, n. 319 ed avendo il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 141 confermato in capo alla nuova società le competenze già attribuite all’ente soppresso”) ravvisi, tuttavia, una responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 c.c.. Del tutto apodittica – e non supportata da alcuna concreta analisi delle allegazioni delle parti, prima ancora che delle risultanze istruttorie – risulta infatti l’affermazione secondo cui il Comune dovrebbe rispondere in solido con la società Acquedotto Pugliese “quale ente pubblico proprietario, tenuto a vigilare e ad impartire disposizioni precauzionali”. A prescindere dalla già evidenziata mancanza di motivazione dell’affermazione secondo cui il Comune sarebbe l’ente proprietario delle tubature in questione, va infatti qui evidenziato come la corte distrettuale non si faccia in alcun modo carico di precisare, per un verso, quali sarebbero i titoli dell’obbligo del Comune rispetto alla gestione del servizio di fognatura e, quindi, dell’addebito dell’inerzia (che presuppone un obbligo legale o convenzionale di provvedere); per altro verso, quali sarebbero le condotte omissive o commissive tenendo le quali il Comune sarebbe venuto meno al proprio ipotetico dovere di “vigilare” e di “impartire disposizioni precauzionali”.

Il primo motivo di ricorso merita, quindi, accoglimento.

In definitiva il ricorso va accolto con riferimento al primo motivo, rigettato il secondo, e la sentenza gravata va cassata, con rinvio alla corte territoriale, sul capo relativo alla responsabilità del comune di Rodi Garganico.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della corte di appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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