Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23413 del 26/10/2020
Cassazione civile sez. III, 26/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 26/10/2020), n.23413
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31330/2019 proposto da:
O.K., B.M.;
– ricorrenti –
e contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE
INTERNAZIONALE VERONA SEZ. PADOVA, PROCURA GENERALE REPUBBLICA CORTE
CASSAZIONE;
– intimati –
e contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che
lo rappresenta e difende;
– resistenti –
avverso la sentenza n. 1464/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,
depositata il 04/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
30/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;
udito l’Avvocato.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, O.K., cittadino (OMISSIS), dichiara di essere fuggito dal suo paese, in quanto dapprima perseguitato da un gruppo di rapinatori, ai quali aveva chiesto lavoro senza conoscere la loro reale occupazione, e da cui si era allontanato fuggendo nella capitale, dove aveva preso a far politica e da autista ad esponenti del partito (OMISSIS), avverso a quello (OMISSIS), detto anche gruppo armato (OMISSIS).
A seguito degli scontri tra i due gruppi politici, egli venne falsamente accusato di essere l’assassino di un membro del suo partito (OMISSIS), perpetrato invece dalla fazione opposta.
Questa accusa lo avrebbe indotto a fuggire, anche per evitare la persecuzione degli (OMISSIS) ed a stabilirsi in Italia, dopo un breve soggiorno in Libia.
Ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione internazionale e quella umanitaria.
La Commissione ha negato ciascuna di tali richieste, ed avverso tale decisione il ricorrente ha proposto domanda al Tribunale di Venezia, che però ha ritenuto inverosimile la storia narrata da O., ed ha confermato la decisione della Commissione territoriale.
Avverso la pronuncia del Tribunale O.K. ha fatto appello, ma la corte di secondo grado lo ha rigettato.
Ricorre ora con tre motivi. Non v’è costituzione con controricorso del Ministero dell’Interno.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La ratio della decisione impugnata.
La corte di appello analizza e conferma il giudizio di non credibilità fatto a suo tempo dal Tribunale e lo ritiene preclusivo di ulteriori indagini, che comunque svolge ugualmente in relazione alla situazione generale del paese di origine, la Nigeria.
Esclude che possa aversi in quella nazione una situazione di conflitto armato diffuso e generalizzato tale da poter mettere in pericolo la vita o l’incolumità dei civili.
Quanto alla protezione umanitaria, invece ritiene la corte che il ricorrente non ha allegato alcunchè circa il suo livello di integrazione in Italia.
2.- Il ricorrente propone tre motivi di ricorso.
p..1.- Con il primo motivo denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 2.
Ritiene che la corte avrebbe dovuto approfondire il racconto del ricorrente, avendolo ritenuto generico e lacunoso e dunque consentire al ricorrente di chiarire meglio la sua vicenda, quando invece l’esame si è svolto in modo succinto.
Il ricorrente contesta poi l’accertamento in fatto relativo alla credibilità delle sue dichiarazioni.
p..1.2.- Con il secondo motivo invece il ricorrente denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 e lamenta la circostanza che la corte non ha tenuto in considerazione, nel vagliare la sua posizione, che la persecuzione non veniva dallo Stato, o da istituzioni statali, bensì da un partito politico, quello avversario dell'(OMISSIS), ed, a dimostrazione della situazione di violenza generata dagli scontri politici,adduce un Rapporto EASO, proprio sugli scontri tra partiti in Nigeria.
p..1.3- Con il terzo motivo si denuncia invece violazione della L. n. 286 del 1998, art. 5, sulla protezione umanitaria.
La corte ha escluso il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari osservando, tra l’altro, che non era stato allegato alcunchè quanto alla situazione soggettiva.
Il ricorrente contesta questa prospettazione, facendo presente di avere allegato certificazione medica, e dunque di avere prospettato una condizione di salute che giustificava la protezione, della quale la corte non si è minimamente occupata.
I primi due motivi sono infondati.
Va premesso che entrambe le corti hanno ritenuto poco credibile il racconto del ricorrente. Va ribadito che in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018; Cass. 28862/2018; Cass. 33858/2019).
Questa regola trae argomento dal fatto che la credibilità del racconto serve a poter effettuare una individualizzazione dell’accertamento, ossia ad accertare le condizioni del diritto alla protezione non in astratto, ricavandole semplicemente dalla situazione del paese di origine, bensì in concreto, ossia tenendo conto della condizione personale del ricorrente, vale a dire di quanto costui rischia come individuo, per la sua soggettiva situazione.
Il giudizio di credibilità è un giudizio di fatto, non censurabile in Cassazione, se non per difetto di motivazione (Cass. 3340/2019).
Vero è che la protezione internazionale può presupporre che vi sia un pericolo, in caso di rimpatrio non già legato alla situazione soggettiva del ricorrente, bensì a quella propria dello Stato di origine, qualora in quello Stato vi sia una generalizzata situazione di conflitto armato.
Come ricordato da questa corte ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 18306/2019).
Un tale accertamento è stato svolto dalla sentenza, che esamina le fonti sulla situazione generale in Nigeria, compresa quella relativa agli scontri tra fazioni politiche opposte.
Fondato risulta il terzo motivo.
Invero in tema di protezione internazionale, nei casi in cui “ratione temporis” sia applicabile il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai fini del riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la vulnerabilità del richiedente può anche essere conseguenza di una seria esposizione al rischio di una lesione del diritto alla salute adeguatamente allegata e dimostrata, nè tale primario diritto della persona può trovare tutela esclusivamente nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 36, in quanto la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona, come quello alla salute, e al contempo di essere posti nella condizione di integrarsi nel paese ospitante anche attraverso un’attività lavorativa, mentre il permesso di soggiorno per cure mediche di cui al citato art. 36 si può ottenere esclusivamente mediante specifico visto d’ingresso e pagamento delle spese mediche da parte dell’interessato (Cass. 2558/2020).
Il ricorrente dimostra di avere allegato e documentato la questione della sua condizione di salute, che però la corte non ha preso in considerazione, limitandosi a considerazioni astratte sul diritto al permesso umanitario senza alcun riferimento al caso concreto.
Il ricorso va pertanto accolto in questi termini.
P.Q.M.
La corte accoglie il terzo motivo, rigetta primo e secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020