Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23410 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 17/11/2016, (ud. 12/07/2016, dep. 17/11/2016), n.23410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9869-2012 proposto da:

V.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO

55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO MARIA

PIERGIOVANNI;

– ricorrente –

contro

CONGREGAZIONE ARMENA MECHITARISTA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO

ZORZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 399/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 01/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato DI PIERRO Nicola, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ZORZI Paolo, difensore del resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13.1.2001 Emilio V. conveniva in giudizio la Congregazione Armena Mechitarista, esponendo di aver stipulato con la stessa, in data (OMISSIS), un contratto di vendita avente ad oggetto un terreno agricolo di mq. 1.700 ed un terreno di mq. 1.410 con sovrastante casa di abitazione.

Sosteneva l’attore di aver pagato integralmente il prezzo (determinato in Lire 4.000 al mq. per il terreno agricolo ed in Lire 1.000.000 per il terreno con sovrastante casa rurale) e di aver invitato infruttuosamente la convenuta a comparire innanzi al notaio il (OMISSIS) per la stipula del rogito.

Chiedeva, quindi, che fosse accertata l’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce alla convenzione del (OMISSIS) e fosse dichiarato l’intervenuto acquisto del bene.

In subordine, sollecitava la pronuncia di una sentenza che tenesse luogo del contratto definitivo a norma dell’art. 2932 c.c..

In ulteriore subordine, invocava la declaratoria dell’intervenuto acquisto per usucapione dei beni immobili medesimi.

Chiedeva, infine, che la convenuta fosse condannata a risarcire i danni derivati dal ritardo nella stipula dell’atto notarile e consistenti nelle maggiori somme occorrenti per la stipula stessa rispetto al 1979 e nel non aver potuto accedere al credito bancario, non potendo offrire in garanzia il bene acquistato.

La convenuta si costituiva dichiarando di essere disponibile a procedere alla stipula dell’atto di trasferimento e, conseguentemente, chiedendo che la domanda attorea venisse rigettata per difetto di interesse; in subordine, chiedeva il rigetto della domanda risarcitoria svolta, in quanto il ritardo nella stipula del rogito era, a suo dire, dipeso dal fatto che il V. non si era attivato per regolarizzare l’immobile da punto di vista urbanistico e per frazionarlo.

Il tribunale rigettava le domande attoree e compensava le spese.

La Corte d’Appello di Venezia, adita con l’appello del V., ha rigettato il gravame, sulla base, per quanto nella presente sede ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

a) si era al cospetto di un contratto preliminare (e non già di un contratto definitivo) di compravendita, atteso che le parti avevano rinviato l’individuazione concreta dei beni oggetto del trasferimento all’esito del frazionamento dei terreni;

b) non erano stati prodotti, quanto al fabbricato (che era risultato oggetto di condono), i documenti idonei alla sua identificazione e all’attestazione della relativa regolarità urbanistica, a norma della L. n. 47 del 1985, art. 40 e, quanto ai terreni, il certificato di destinazione urbanistica aggiornato; con conseguente impossibilità di pronunciare una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c.;

c) la domanda risarcitoria del V. era infondata, in quanto, in base al contratto, egli stesso avrebbe dovuto attivarsi al fine di rendere possibile il trasferimento previa effettuazione dei frazionamenti.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V.E., sulla base di sei motivi.

La Congregazione Armena Mechitarista ha depositato controricorso.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 12.7.16, per la quale solo il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’errata e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss., nonchè il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per aver la corte locale erroneamente qualificato il contratto concluso il (OMISSIS) come un preliminare proprio, anzichè come un contratto di vendita immediatamente traslativo della proprietà, senza considerare il tenore letterale del contratto, il comportamento successivo tenuto dalle parti e gli interessi concreti perseguiti dai contraenti (trasferire al V. – mezzadro della congregazione – la proprietà degli immobili già da lui occupati e goduti, a titolo di liquidazione per la risoluzione del contratto di mezzadria).

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1346 e 1470 c.c., nonchè il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per aver la corte locale erroneamente ritenuto che si fosse in presenza di un contratto preliminare per il solo fatto che le parti avevano previsto in contratto un futuro frazionamento dei terreni, senza peraltro considerare che l’oggetto del contratto (un terreno agricolo ed un altro appezzamento di terreno con sovrastante abitazione) era comunque identificabile.

I due motivi, siccome intimamente connessi, meritano di essere trattati congiuntamente; la comune questione concerne, infatti, l’esatta qualificazione giuridica del contratto stipulato tra le parti il (OMISSIS), come contratto preliminare o come contratto di vendita immediatamente traslativo della proprietà, da riprodurre nelle forme dell’atto pubblico, ai fini della trascrizione.

I due motivi vanno entrambi giudicati infondati.

Al riguardo va innanzitutto ricordato che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (cfr. sent. 24150/07), lo stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo ovvero un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l’effetto traslativo ad una successiva manifestazione di consenso, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori giuridici, condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 e ss..

Tanto premesso, il Collegio osserva che la corte distrettuale:

nel ritenere che il terreno oggetto della scrittura (OMISSIS) non fosse sufficientemente identificato, ha operato un’interpretazione di tale scrittura in relazione alla quale il ricorrente non individua nè specifiche violazioni dei canoni di ermeneutica negoziale fissati dagli artt. 1362 c.c. e segg., nè specifici profili di illogicità o precise lacune dell’iter argomentativo;

nell’affermare che l’insufficiente identificazione dell’oggetto del contratto del (OMISSIS) costituisse elemento per qualificare quest’ultimo come preliminare, invece che come definitivo, si è attenuta all’insegnamento di questa Corte che riferisce ai contratti preliminari, e non a quelli definitivi, il principio che ai fini della relativa validità “non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando sufficiente l’accordo delle parti su quelli essenziali. (sentt. nn. 2473/13 e 8810/03) e che, per altro verso, limita al contratto preliminare la non necessità del previo frazionamento di terreni oggetto di trasferimento parziale (sent. n. 6160/06: “Le formalità previste dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, art. 5 in tema di revisione del sistema catastale, per il caso in cui il trasferimento di immobili comporti il frazionamento di singole particelle, si riferiscono ai soli atti di trasferimento definitivo e non anche ai contratti preliminari di compravendita di immobili da frazionare)”.

Con il terzo motivo, il ricorrente attinge la statuizione con cui la corte veneziana ha rigettato la domanda di trasferimento del fabbricato, ritenendo che la mancata produzione di documentazione attestante la regolarità urbanistica del fabbricato impedisse l’emissione di una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c.; il ricorrente assume che tale statuizione si porrebbe in contrasto col disposto della L. n. 47 del 1985, art. 40 e inoltre si poggerebbe su una motivazione insufficiente e contraddittoria, avendo la cote distrettuale trascurato la deposizione del teste geom. C., il quale aveva dichiarato di essere stato incaricato della presentazione del condono e di aver svolto quanto richiesto.

Con il quarto motivo il ricorrente attinge la statuizione con cui la torte veneziana ha rigettato la domanda di trasferimento del terreno dedotto in contratto ritenendo ostativa, rispetto ad una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c., la mancata produzione del relativo certificato di destinazione urbanistica aggiornato. Il ricorrente assume che tale statuizione si porrebbe in contrasto con la L. n. 47 del 1985, non avendo la corte di merito considerato che:

1) solo l’omesso deposito di tale documento avrebbe potuto comportare l’intrasferibilità del bene, laddove, come riferito dalla stessa sentenza, l’attore aveva prodotto un certificato datato 27.10.2000; al riguardo il ricorrente argomenta che la corte territoriale avrebbe errato nell’addossare alla parte un’Inesistente onere di aggiornare la produzione del certificato di destinazione urbanistica in pendenza di procedimento ed in relazione alla relativa durata;

2) nella specie la produzione certificata non sarebbe stata neanche necessaria, dovendosi applicare analogicamente alle sentenze ex art. 2932 c.c. la disciplina dettata dalla riforma dell’art. 567 c.p.c., che ha, appunto, soppresso il riferimento alla necessità di allegazione del certificato di destinazione urbanistica in relazione alle vendite di beni oggetto di esproprio.

Il terzo e il quarto motivo sono inammissibili per la medesima ragione, e, pertanto, vanno trattati congiuntamente.

In proposito il Collegio osserva che la corte territoriale ha considerato il fabbricato e i terreni (quello circostante il fabbricato e quello agricolo) come oggetto unitario di un unico contratto preliminare e non come distinti oggetti di distinti contratti preliminari stipulati con la sottoscrizione di un’unica scrittura ed ha ritenuto tale unico contratto preliminare non eseguibile per tre distinte ragioni, enunciate, rispettivamente, nel primo, nel secondo e nel terzo rigo di pag. 8 della sentenza, ossia perchè:

a) non era stata prodotta alcuna documentazione che consentisse di “pervenire all’identificazione del fabbricato”;

b) non era stata prodotta alcuna documentazione che attestasse “la regolarità urbanistica dello stesso a norma della L. n. 47 del 1985, art. 40”.

c) non era stata prodotto “il certificato di destinazione urbanistica aggiornato afferente i terreni”, risalendo quello prodotta in causa al 27.10.2000.

La ratio decidendi sub a) non è stata impugnata, avendo il ricorrente impugnato soltanto quella sub b), con il terzo motivo, e quella sub c), con il quarto motivo; il terzo e quarto motivo, ove anche venissero giudicati fondati, non potrebbero quindi comunque condurre alla cassazione della statuizione impugnata, che resterebbe pur sempre sorretta dalla ratio decidendi sub a); d’onde la loro inammissibilità per carenza di interesse (cfr. SSUU 7931/13: “Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione.”).

Con il quinto motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 277 c.p.c., nonchè l’omessa pronuncia su una specifica domanda (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per non essersi la corte d’appello pronunciata sulla domanda, proposta in via subordinata, di acquisto della proprietà dei cespiti per intervenuta usucapione.

Il motivo non può trovare accoglimento, perchè tanto nella sentenza gravata (a pag. 5, terzo cpv) quanto nel ricorso per cassazione (a pag. 3, primo cpv) si dà atto che la sentenza di primo grado aveva rigettato le domande del sig. V. e, d’altra parte, dalla esposizione dei motivi di appello svolta nelle pagine 5 e 6 della sentenza gravata e nella pagina 3 del ricorso per cassazione si rileva che tali motivi non toccavano la questione dell’asserito acquisto dei terreni, da parte del sig. V., per usucapione; tale questione, quindi, non risulta essere stata devoluta al giudice di secondo grado.

Con il sesto ed ultimo motivo si deduce la insufficienza e contraddittorietà della motivazione della statuizione di rigetto della domanda di risarcimento del danno proposta dall’odierno ricorrente; nel mezzo di gravame si argomenta che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che gravasse sul sig. V. l’obbligo contrattuale di attivarsi al fine di rendere possibile il trasferimento previa effettuazione dei frazionamenti”, laddove, secondo il ricorrente, il contratto poneva a suo carico solo le “spese di frazionamento, volture e registro e nient’altro” (pag. 12 del ricorso per cassazione), mentre egli si sarebbe adoperato, pur senza esservi tenuto, per l’ottenimento del condono edilizio, all’uopo incaricando i geometri B. e C..

Il motivo è inammissibile, in quanto, per un verso, la relativa formulazione difetta di specificità (giacchè il ricorrente omette di trascrivere sia il passaggio del contratto dal quale si desumerebbe la ripartizione dei compiti e delle spese tra i contraenti, sia i passaggi delle deposizioni B. e C. da cui emergerebbe che egli si sarebbe fatto carico della pratica di condono edilizio); per altro verso, la censura ivi proposta si risolve in una contestazione dell’interpretazione del contratto (OMISSIS) operata dalla corte d’appello senza, tuttavia, alcuna specifica denuncia di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale.

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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