Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2341 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 07/07/2016, dep.31/01/2017),  n. 2341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3590-2014 proposto da:

P.P. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati LUCIO CANONICO, PAOLO MINUCCI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

U.M.V., G.F., M.V.A.,

ALLIANZ SPA, GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS), V.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6773/2013 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 27/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27/5/2013 il Tribunale di Napoli ha respinto i gravami interposti dai sigg. U.M.V. e G.F., in via principale, nonchè con separati atti, in via incidentale, dal sig. M.V.A., dall’intervenuta sig. V.A., nonchè (tranne che in punto rimborso spese di CTU), dal sig. P.P., in relazione alla pronunzia G. di P. Napoli n. 10556/09, che ha ascritto alla pari responsabilità – nella misura del 50% – dei conducenti sig. G.F. e M.V.A. dei coinvolti veicoli (Peugeot 206 tg. (OMISSIS), di proprietà della sig. V.A., assicurata per la r.c.a. con la società Lloyd Adriatico s.p.a.; VW Polo tg. NA (OMISSIS) di proprietà della sig. U.M.V., assicurata per la r.c.a. con la società Assitalia s.p.a., a bordo della quale viaggiava in qualità di trasportato il sig. P.P.) la responsabilità del sinistro avvenuto il (OMISSIS), verso le ore 3,00, allorquando lungo la (OMISSIS) si scontravano frontalmente, all’esito di un sorpasso di altra auto effettuato dalla Peugeot. Con condanna per l’effetto della U., in solido con la società Assitalia s.p.a., e la V., in solido con la società Lloyd Adriatico s.p.a., al pagamento di somme a titolo di risarcimento dei danni alla persona conseguentemente subiti dal P..

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello il P. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1226, 2056, 2059 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè degli artt. 112, 115 e 164, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che il giudice dell’appello abbia omesso di liquidare il “danno derivante dalle sofferenze fisiche e morali subite dal danneggiato in ragione dell’evento lesivo”, erroneamente affermando difettare nella specie la relativa allegazione, laddove aveva “puntualmente indicato, nella parte argomentativa dell’atto introduttivo del giudizio… la natura e le caratteristiche del pregiudizio patito, specificando che, in ragione dell’evento dedotto in giudizio, egli era stato costretto ad un intervento chirurgico (circostanza di per sè idonea a cagionare un autonomo danno da sofferenza morale…)”; e che “l’onere di allegazione doveva ritenersi soddisfatto anche dalla contestuale produzione dei documenti ad esso allegati, ovvero un certificato di p.s. con diagnosi di sublussazione dell’acromion claveare sinistro, una prescrizione di intervento chirurgico “a cielo aperto” e la successiva relativa cartella clinica”.

Lamenta essergli stata “finora riconosciuta soltanto la “porzione biologica” del danno non patrimoniale subito”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente pone a fondamento della formulata censura atti e documenti del giudizio di merito (es., l'”atto introduttivo del giudizio (depositato ex art. 369 c.p.c. unitamente al presente ricorso)”, i “documenti ad esso allegati, ovvero un certificato di p.s. con diagnosi di sublussazione dell’acromion claveare sinistro, una prescrizione di intervento chirurgico “a cielo aperto” e la successiva relativa cartella clinica (anch’essi depositati in questa sede ex art. 369 c.p.c., n. 4)”, le “certificazioni mediche attestanti le peculiari patologie sofferte dal danneggiato”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte di stretto interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua, nel fondare su tali atti e documenti le proprie doglianze, e in particolare l’assunto di avere soddisfatto gli oneri di allegazione e prova del lamentato danno non patrimoniale non liquidatogli, il ricorrente inammissibilmente non rende le medesime chiare e intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nello stesso (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Atteso che alla stregua dello stesso tenore del motivo, in particolare nella parte in cui il ricorrente si duole che la corte di merito abbia omesso di liquidare il “danno derivante dalle sofferenze fisiche e morali subite dal danneggiato in ragione dell’evento lesivo” erroneamente affermando difettare nella specie la relativa allegazione, emerge evidente l’infondatezza di siffatta censura, non essendovi invero stata alcuna omessa pronunzia da parte di tale giudice, che ha sul punto espressamente e specificamente rigettato la domanda per ravvisato difetto di relativa prova.

Non può infine sottacersi che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità la violazione dell’art. 115 c.p.c. è in sede di ricorso per cassazione apprezzabile nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non anche in termini di error in procedendo come viceversa prospettato dall’odierno ricorrente, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza del motivo consegue il rigetto del ricorso.

Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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