Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23409 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/10/2017, (ud. 15/02/2017, dep.06/10/2017),  n. 23409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9423-2015 proposto da:

M.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PAOLO EMILIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIAMPAOLO

FANTOZZI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO POLATO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.I.V.I.S. S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

DOMENICO PETRACCA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CLAUDIO MORO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 470/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/09/2014 r.g.n. 553/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIANFILIPPO ELTI DI RODEANO per delega verbale

Avvocato PAOLO POLATO;

udito l’Avvocato ANDREA SOLFANELLI per delega Avvocato NICOLA

PETRACCA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 470 in data 24 giugno – 30 settembre 2014 rigettava il gravame interposto come da ricorso del 14 giugno 2013 da M.F., avverso la pronuncia emessa il 18-12-2012 dal giudice del lavoro di Padova, che aveva respinto la domanda del predetto, volta ad invalidare il licenziamento per giusta causa intimatogli da C.I.V.I.S. istituto di vigilanza S.p.a. il sei agosto 2010, previa contestazione disciplinare scritta del 27 luglio 2010 in relazione al fatto che nella mattinata del 29 giugno 2010 il lavoratore, guardia particolare giurata ed addetta alla vigilanza fissa presso un istituto dell’Università di (OMISSIS), non era stato trovato presso la guardiola all’ingresso della struttura, laddove poi il M. vi ritornava, dopo circa 15 minuti, dall’esterno con un giornale in mano.

Secondo la Corte di Appello il fatto era provato, essendo stato ammesso dal diretto interessato, e nella sua immediatezza nulla era stato dichiarato a giustificazione del rilievo in base a quanto riferito in sede testimoniale dall’ispettore intervenuto sul posto di lavoro. L’asserito impedimento a rientrare nella guardiola non aveva trovato riscontro nella deposizione del teste sentito sul punto. Inoltre, i testi escussi avevano confermato che il ricorrente aveva la consegna di non uscire all’esterno della struttura, cui era stato assegnato, circostanza da lui conosciuta. Peraltro, l’eventuale mancanza dell’ordine scritto, nei sensi previsti dal regolamento della Questura di Padova, non poteva incidere sui rapporti privatistici.

Erano, altresì, infondate le altre censure dell’appellante, tra cui la pretesa erroneità della decisione impugnata in ordine alla sussistenza delle cinque contestate recidive e quindi in relazione alla ritenuta proporzionalità del recesso rispetto all’incolpazione.

Parimenti, infondata veniva giudicata dalla Corte veneziana la doglianza circa l’asserito ritardo della contestazione disciplinare, in quanto l’ispettore, intervenuto sul posto e che aveva rilevato l’assenza del dipendente, aveva soltanto il dovere di riferire a chi di competenza, non avendo potere di contestazione, poi intervenuta a meno di un mese dall’accaduto, tempo del tutto ragionevole con le dimensioni della società e tale da non menomare alcuna violazione del diritto di difesa o da far presumere una rinuncia alla potestà disciplinare.

Quanto, alla asserita mancata affissione del codice disciplinare, e per cui tuttavia non era stata ammessa la prova richiesta dalla società, in base alla citata giurisprudenza non occorreva una tale pubblicità, riguardo ad un adempimento essenziale dello specifico rapporto di lavoro, quale quello di custodia e vigilanza incombente su una guardia particolare giurata.

Infine, circa le risultanze istruttorie e con riferimento alla pretesa violazione degli oneri probatori, la Corte distrettuale osservava che la prova dell’abbandono del posto di lavoro era stata raggiunta per ammissione del fatto e per le concordi testimonianze acquisite, laddove la dimostrazione di giustificazioni rispetto al fatto contestato incombeva sul ricorrente appellante, mentre il primo giudicante si era limitato a ridurre le liste testimoniali delle parti.

Pertanto, l’appello veniva respinto con conseguente condanna alle spese a carico del soccombente, però non tenuto al pagamento dell’ulteriore contributo unificato “per avvenuta dichiarazione di esonero in base al reddito”.

Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione M.F. con atto in data 27/31-03-2015, affidato a tre motivi, di cui il primo attinente in effetti a due distinte censure, ricorso cui ha poi resistito la S.p.a. C.I.V.I.S. mediante controricorso in data sette/otto maggio 2015, in seguito illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

I difensori di entrambe le parti sono comparsi all’udienza pubblica di discussione svoltasi il 15 febbraio 2017.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

SINTESI dei MOTIVI di RICORSO.

1. violazione e falsa applicazione degli art. 2119 e 1455 c.c.

1. In ordine al giudizio di proporzionalità.

La Corte di Appello si era limitata a fondare il proprio giudizio in ordine alla proporzionalità unicamente sull’esistenza del fatto e sulle asserite pregresse sanzioni (recidiva), provvedimenti sanzionatori peraltro ridotti o annullati, mentre le ammissioni fatte dal ricorrente non erano sufficienti per poter integrare un grave inadempimento, da valutarsi per contro a norma del suddetto art. 1455, all’uopo richiamando quanto affermato in diritto dalla pronuncia di questa Corte n. 807 in data 24/10/2012 – 15/01/2013.

I precedenti disciplinari, tra l’altro, erano stati parzialmente ridotti o annullati a seguito delle disposizioni dei lodi arbitrali.

In base alle giustificazioni fornite vi era totale carenza di intensità dell’elemento intenzionale, ciò di cui non si era tenuto conto nel giudizio di proporzionalità. Analoghi precedenti episodi erano stati sanzionati con provvedimenti assai meno severi rispetto a quello impugnato, ciò che suscitava non poche perplessità in ordine al carattere ritorsivo del licenziamento disciplinare adottato. Inoltre, nel giudizio di adeguatezza occorreva tener conto anche della rilevanza del danno patrimoniale.

D’altro canto, l’art. 140 c.c.n.l., citato nella lettera di contestazione in data sei agosto 2010, con riferimento all’ivi previsto recesso per giusta causa in caso di abbandono del posto di lavoro, secondo il ricorrente, non esimeva il giudicante dal valutare la gravità dell’inadempimento contestato, giusta il principio in proposito affermato dalla citata pronuncia di questa Corte n. 16095/20-06-2013.

2. Violazione del principio d’immediatezza della contestazione, per il fatto che l’ispettore intervenuto sul posto non aveva nell’occorso contestato l’addebito, mentre la contestazione era stata formalizzata a distanza di un mese dal fatto, laddove l’art. 9 del regolamento della Questura di Padova prevedeva l’immediata contestazione di eventuali addebiti constatati durante le operazioni di controllo.

Il motivo – violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 in tema di onere probatorio a carico di parte datoriale riguardo alla giusta causa di recesso, che i giudici di merito avevano ritenuto erroneamente assolto.

Infatti, con le dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio il M. aveva pure giustificato il suo allontanamento dalla guardiola; CIVIS non aveva mai provato che le disposizioni nella specie impartire prevedessero la vigilanza fissa all’interno della guardiola, posta all’ingresso del complesso universitario. Le disposizioni di servizio di cui all’art. 7 del regolamento della Questura di Padova prevedevano per gli istituti di vigilanza un ordine di servizio giornaliero, da conservare per almeno cinque anni e da esporre in visione al personale dipendente, che doveva riportare per ogni guardia giurata il tipo di servizio ed il relativo orario. Per contro, non era stato invece prodotto l’ordine di servizio per il giorno 29-06-2010 nei riguardi del M., nè era stato provato che egli ne fosse a conoscenza e neanche che avesse intenzionalmente violato tali disposizioni.

I testi sentiti all’udienza del 18-12-2012 avevano confermato che la porta d’ingresso della guardiola era munita di fotocellula e che in caso di chiusura della stessa non era possibile riaprirla.

3 motivo – violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in ordine alla pubblicità del codice disciplinare, la cui affissione non era stata provata da parte datoriale, tanto in relazione alle specifiche previsioni di cui al suddetto art. 140 c.c.n.l.

Le anzidette censure, che possono esaminarsi congiuntamente, stante la loro evidente connessione, vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni.

Va premesso che nella specie i fatti di causa devono ritenersi incensurabilmente accertati come da motivate pronunce di merito, che vanno di conseguenza lette congiuntamente, integrandosi le stesse reciprocamente (n. 1344/18.12.2012 in primo grado, confermata in secondo grado a seguito di ricorso d’appello in data 14-06-2013 con la sentenza qui impugnata, n. 470/26 giugno – 30 settembre 2014 r.g. n. 553/2013), sicchè la c.d. doppia conforme preclude ogni diversa valutazione rispetto a quanto appurato e di conseguenza apprezzato nonchè deciso, prima dal giudice del lavoro di Padova e poi dalla Corte territoriale, operando nella specie l’art. 348-ter c.p.c., u.c. ratione temporis applicabile in virtù del regime transitorio stabilito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. sul punto, inoltre, Cass. 1 civ. n. 26774 del 22/12/2016: nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, – applicabile ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 – il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Conforme tra le altre Cass. 2 civ. n. 5528 del 10/03/2014.

V. quindi anche Cass. 6 civ. – 3, n. 26097 in data 11/12/2014, secondo cui in ipotesi di cosiddetta “doppia conforme” in fatto a cognizione sommaria, ex art. 348 ter, comma 4 alla cui disciplina rimanda lo stesso art. 348-ter c.p.c., comma 5 e u.c. riguardo al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado -, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicchè il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili).

Dunque, risulta accertato che il M. abbandonò per circa quindici minuti il posto di lavoro cui era stato assegnato come guardia particolare giurata (vigilanza fissa presso la guardiola d’ingresso di un istituto universitario), laddove vi ritornava provenendo dall’esterno, dove aveva comprato un giornale, che teneva sottobraccio. Le giustificazioni all’uopo fornite dall’interessato non risultano provate, mentre era dimostrato che le disposizioni di servizio vietavano alle guardie giurate di allontanarsi dall’edificio, e quindi anche la violazione delle consegne ricevute nell’occasione dal dipendente, che del resto non aveva negato di essersi allontanato dalla guardiola, così di fatto risultando ben edotto del compito assegnatogli nell’occasione. Peraltro, nell’occorso il ricorrente nulla di preciso riferì all’ispettore della Vigilanza, Gaspari, che accertò il fatto incontrando il M. in portineria, il quale si limitò a dire che “non c’era problema”. Risultano, altresì, confermate le cinque recidive contestate in sede disciplinare al M., di cui alcune specifiche, perchè attinenti ad episodi di negligente svolgimento del servizio (cfr. pure, a fronte delle genericità – v. invece l’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6 – delle allegazioni a pag. 8 del ricorso, le contrarie specifiche deduzioni a pagg. 5/8 del controricorso).

Il giudice di primo grado, pertanto, riteneva che anche alla luce delle anzidette recidive (i cui fatti non risultavano messi in discussione) il licenziamento risultava proporzionato, mentre d’altro canto il tempo trascorso tra il fatto e la formale contestazione disciplinare era ragionevole e non aveva impedito nè ostacolato la difesa del lavoratore.

Ad integrazione di quanto osservato dal giudice di primo grado, la Corte distrettuale ha poi, in particolare, rilevato che l’asserito impedimento a rientrare nella guardiola (ma il fatto di restarvi all’interno è comunque di per sè evidentemente irrilevante, assumendo invece importanza l’averla lasciata sguarnita per un apprezzabile lasso di tempo, mediante allontanamento all’esterno dell’edificio, con conseguente abbandono del presidio fisso, indiscutibilmente nell’occorso assegnato da parte datoriale) per chiusura automatica della porta non era stato allegato in primo grado, laddove peraltro uno dei testi escussivi aveva precisato che con l’impiego di una tavoletta poggiata sulla fotocellula si impediva la chiusura automatica della porta stessa.

Parimenti, infondate si appalesano le doglianze concernenti le pretese violazioni del regolamento della locale Questura per gli Istituti di vigilanza, sia per quanto attiene all’immediatezza della contestazione, sia riguardo all’ordine di servizio giornaliero, atteso che, evidentemente, lo stesso può dispiegare effetti a soli fini amministrativi in ordine alle licenze di pubblica sicurezza per quanto concerne i suddetti istituti. Per contro, tale regolamento è, ovviamente, del tutto irrilevante ai fini privatistici, che qui interessano in ordine al rapporto contrattuale di lavoro di cui è causa. La Corte di Appello ha poi rilevato che i testi escussi avevano confermato che il ricorrente aveva la consegna di non uscire all’esterno, circostanza da lui ben conosciuta e che, quanto all’immediatezza della contestazione, l’ispettore intervenuto sul posto di lavoro non aveva potere di contestazione (che peraltro va formalizzata per iscritto, v. la L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 5), dovendo riferire a chi di competenza (quanto accertato, sicchè deve anche precisarsi la differenza tra momento dell’accertamento e contestazione dell’addebito), tenuto alle necessarie verifiche, compiute con conseguente invio della contestazione a meno di un mese dall’accadimento, tempo quindi stimato pure dalla Corte di merito del tutto ragionevole con le dimensioni della società e tale da non comportare alcuna violazione del diritto di difesa o dal far presumere una rinuncia al potere disciplinare.

Correttamente, inoltre, la Corte di Appello si è attenuta alla giurisprudenza di legittimità in tema di affissione del codice disciplinare, risultano la prova superflua in relazione ad un adempimento essenziale dello specifico rapporto di lavoro, quale quello di custodia e vigilanza, incombente su una guardia giurata particolare (v. infatti, tra le altre, Cass. lav. n. 20270 del 18/09/2009, secondo cui in tema di sanzioni disciplinari la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro. Conforme Cass. lav. n. 19770 del 14/09/2009, pure con riferimento all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa del datore di lavoro. Parimenti, v. Cass. lav. n. 18377 del 23/08/2006, secondo cui in tema di sanzioni disciplinari nell’ambito del rapporto di lavoro, il principio di tassatività degli illeciti non può essere inteso nel senso rigoroso, imposto per gli illeciti penali dall’art. 25 Cost., comma 2, dovendosi, invece, distinguere tra gli illeciti relativi alla violazione di prescrizioni strettamente attinenti all’organizzazione aziendale, per lo più ignote alla collettività e quindi conoscibili solo se espressamente previste ed inserite, perciò, nel c.d. “codice disciplinare” da affiggere ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 7 e quelli costituiti da comportamenti manifestamente contrari agli interessi dell’impresa o dei lavoratori, per i quali non è necessaria la specifica inclusione nello stesso codice disciplinare, poichè, in questi ultimi casi, che possono legittimare il recesso del datore di lavoro per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il potere sanzionatorio deriva direttamente dalla legge.

In senso conforme, id. n. 5583 del 18/06/1996).

La sentenza di appello, quanto alla prova, ha giudicato anche sul punto infondato l’interposto gravame, ribadendo che l’abbandono del posto di lavoro risultava dimostrato per ammissione del fatto e per le concordi dichiarazioni testimoniali indicate, mentre la prova delle giustificazioni rispetto all’ascritto addebito, che incombeva al ricorrente (per cui il giudice si era limitato a ridurre le liste testimoniali di entrambe le parti) non risultava fornita, come si evince dalla lettura congiunta della complessiva motivazione emergente dalle due conformi pronunce di merito.

Allo stesso modo, poi, va letta l’impugnata decisione per quanto concerne la sussistenza della giusta causa dell’intimato recesso, laddove la condotta contestava appariva indubbiamente grave, trattandosi dell’ingiustificato abbandono del posto di lavoro da parte di un qualificato addetto alla vigilanza, tenuto invece a presidiarlo assiduamente, e con a suo carico già diversi precedenti disciplinari, donde l’inaffidabilità sotto il profilo fiduciario dell’incolpato, cui invece erano riservate delicate e significative mansioni in materia, evidentemente in ambito extraaziendale e perciò senza la costante sorveglianza da parte datoriale, donde l’impossibilità di proseguire, neppure in via provvisoria, nel rapporto di lavoro, con conseguente immediato recesso, ritenuto dunque chiaramente (dai giudici di merito) adeguato sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo. Ciò peraltro, anche indipendentemente dalle previsioni della contrattazione collettiva, menzionata dal ricorrente (senza neppure precisare come, quando e dove il riferimento al c.c.n.l. – di cui non parla affatto la sentenza impugnata – sia intervenuto, nel corso del giudizio di merito, perciò ancora in violazione delle contrarie prescrizioni di cui all’art. 366 co. I nn. 3 e 6 del codice di rito).

Ed in tale contesto si palesa, altresì, irrilevante la questione del danno patrimoniale (cfr. infatti Cass. lav. n. 16260 del 19/08/2004, secondo cui, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti. In senso analogo, v. tra le altre, Cass. n. 19684 del 18/09/2014, secondo cui la modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonchè all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro).

Pertanto, l’impugnata decisione di merito appare del tutto immune dai vizi denunciati con il ricorso de quo, che va per l’effetto respinto, con conseguente condanna del soccombente alle relative spese.

Tuttavia, il ricorrente in cassazione ammesso al patrocinio a spese dello Stato non è tenuto, in caso di rigetto dell’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. (così tra le altre Cass. lav. n. 18523 del 02/09/2014); ciò che risulta verificatosi anche nella fattispecie qui in esame, visto che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, a seguito d’istanza presentata il 16 marzo 2015 con riferimento alla sentenza m. 470/14 della locale Corte di Appello, risulta in atti aver deliberato, in via anticipata e provvisoria, l’ammissione del M. al suddetto beneficio, nei sensi ivi precisati.

PQM

 

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a., a favore di parte controricorrente.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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