Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23408 del 06/10/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. lav., 06/10/2017, (ud. 15/02/2017, dep.06/10/2017),  n. 23408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9023-2015 proposto da:

C.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA SOGLIANO 70, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE AMETRANO,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

IMATION S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI

N. 14, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA GIGLIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA PRATI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 93/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/02/2015 r.g.n. 687/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

udito l’Avvocato GIUSEPPE AMETRANO;

udito l’Avvocato DOMENICO SICILIANO per delega verbale Avvocato

ANTONELLA GIGLIO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Milano con sentenza n. 93, pubblicata il 13 febbraio 2015, rigettava il gravame interposto da C.D. avverso la pronuncia n. 5285, emessa e depositata il 18-12-2012, mediante la quale il locale giudice del lavoro aveva respinto la domanda del medesimo C., volta ad invalidare il licenziamento a costui intimato con missiva del 3006-2010, previa contestazione disciplinare da parte della convenuta IMATION S.r.l. in data 15/06/2010 (avente ad oggetto attività di concorrenza sleale posta in essere dal dipendente insieme alla moglie, sig.ra T.S., impiegando allo scopo anche la denominazione T.S.), nonchè previa audizione personale richiesta dall’incolpato.

Secondo la Corte distrettuale, il primo motivo di gravame circa la contestazione disciplinare non poteva essere condiviso. Infatti, detta contestazione conteneva una descrizione delle condotte addebitate idonea alla comprensione dei fatti da parte del destinatario e all’esercizio del diritto di difesa. Il testo della missiva, all’uopo riportata, descriveva in modo specifico e sufficientemente dettagliato le violazioni ascritte al lavoratore: le condotte contestate risultavano infatti menzionate con indicazione del contenuto, dei prodotti che ne costituivano l’oggetto, nonchè delle generalità dei soggetti coinvolti; elementi tutti che consentivano certamente al C. l’adeguata individuazione dei fatti in contestazione. Nè poteva attribuirsi alcuna rilevanza alla mancata ostensione, da parte della società, della documentazione, ed in particolare dei messaggi di posta elettronica, sulla base della quale i comportamenti in questione erano stati dalla stessa accertati. L’onere di specifica contestazione di addebiti se da un lato imponeva al datore di lavoro disporre in modo dettagliato e comprensibile i fatti oggetto di procedimento disciplinare, d’altro canto non obbligava alle esibizione, nel corso dello stesso, degli elementi di prova in base ai quali essi erano pervenuti a sua conoscenza.

Parimenti, risultava tempestiva la contestazione disciplinare, laddove parte datoriale aveva documentalmente provato di aver appreso i fatti in questione il 10 giugno 2010 mediante e-mail ricevuta dal proprio agente A., nè il C. aveva dedotto o dimostrato che la società fosse stata a conoscenza dei fatti in epoca anteriore.

Quanto alle doglianze concernenti il merito della contestazione disciplinare, ad avviso della Corte distrettuale, dal quadro probatorio acquisito era emersa idonea dimostrazione delle condotte concorrenziali tenute dall’appellante ai danni della società. Anzitutto, era pacifica la parziale coincidenza tra l’oggetto sociale di IMATION e quello della ditta T.S., di cui era titolare il coniuge dell’incolpato, nella quale costui aveva attivamente operato durante il rapporto di lavoro, in base a quanto risultante dai numerosi messaggi di posta elettronica dallo stesso inviati dal relativo account e prodotti da parte resistente agli atti di causa. La pretestuosità delle giustificazioni addotte dal ricorrente al riguardo era del tutto evidente, alla stregua delle argomentazioni specificamente svolte sul punto dalla corte territoriale.

Ancor più rilevante appariva il contenuto dei messaggi inviati e ricevuti dal C. sull’account di T.S., messaggi che non riguardavano le mansioni lavorative dello stesso svolte quale dipendente di IMATION, bensì una distinta attività commerciale posta in essere avvalendosi dello stesso nominativo oltre che degli strumenti della ditta individuale, in concorrenza con la società datrice di lavoro.

Per giunta, il contenuto di tali e-mail trovava riscontro in entrambe le deposizioni testimoniali acquisite nel corso del primo grado del giudizio. Dalle anzidette risultanze istruttorie emergeva in modo chiaro e univoco come il C. esercitasse un’attività avente ad oggetto la commercializzazione parallela di prodotti IMATION a prezzi inferiori, mediante la stessa rete di agenti che egli coordinava quale dipendente della società.

Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione C.D. con atto del 27 marzo 2015, affidato a due motivi, cui ha resistito IMATION S.r.l. mediante controricorso in data otto /12 maggio 2015.

Non risultano in atti memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il C. ha denunciato violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazione di lavoro, per il fatto che parte datoriale aveva prodotto soltanto in sede di costituzione in giudizio tutte le e-mail sulle quali si fondava la contestata concorrenza sleale, asseritamente provenienti dall’incolpato, omettendo di mettere a disposizione in sede di audizione prima del licenziamento in data

28 ottobre 2010. Di conseguenza, andava affermato in diritto, L. n. 300 del 1970, ex art. 7 che la contestazione disciplinare in sede di audizione deve consentire al lavoratore di venire a conoscenza degli addebiti, di visionare tutti documenti comprovanti le sue responsabilità e di poter dunque argomentare compiutamente a sua difesa, non potendo essere riservata solo al giudizio la produzione documentale a sostegno delle ragioni di parte datoriale; in ogni caso, incombendo al datore di lavoro anche la prova della legittima apprensione dei documenti posti a base della decisione circa la risoluzione del rapporto, specialmente ed implicitamente allorchè si tratti di comunicazioni personali. Parimenti, andava fornita la prova dell’effettiva messa a disposizione del lavoratore degli atti e documenti contestatigli. Infine, doveva essere fornita la prova che gli atti e i documenti siano stati legittimamente acquisiti, e non già captati fraudolentemente.

Con il secondo motivo il ricorrente si è doluto per l’omesso esame e la conseguente omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio, che aveva formato oggetto di discussione tra le parti.

In particolare, il giudice aveva completamente omesso di considerare di rispondere su un evidente discrasia più volte sottolineata anche nei verbali di primo grado e ribadita quale prima doglianza dí appello. Infatti, la Corte milanese non aveva risposto sulla questione posta, laddove era stato lamentato il fatto di non aver conosciuto messaggi di posta elettronica se non dopo il deposito della costituzione in giudizio di parte resistente; non aveva poí mai “minimamente esaminato”, nè “risposto alla questione della in utilizzabilità dei documenti depositati solo all’atto della contestazione e senza che vi fosse stata la contestazione degli stessi in sede di costituzione”. Tra l’altro, come da verbale di udienza del giudizio di primo grado in data 13 settembre 2012, era stato ribadita la non accettazione del contraddittorio, nonchè sottolineando tale motivo di doglianza in appello, senza però sul punto di giudice avesse preso posizione, spiegando le ragioni per cui disattendeva l’eccezione.

In diritto, quindi, l’omissione di pronuncia su un punto preliminare e decisivo della controversia determinava la nullità assoluta della sentenza, parimenti cassabile dovendo affermarsi che in sede di audizione il lavoratore deve essere edotto di tutti documenti a suo carico, non potendo il datore di lavoro riservarsi di presentare atti e documenti nell’eventuale prosieguo.

Inoltre, la sentenza era affetta da nullità, avendo il giudice fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni di un teste ( A.), che si trovava in palese conflitto di interessi e di animosità nei confronti del ricorrente, sulla cui attendibilità il giudicante, sebbene sollecitato, aveva omesso di pronunciarsi, salvo poi a ritenerlo attendibile a riscontro dei documenti tardivamente prodotti dalla società.

Infine, come terzo motivo di nullità (però raggruppato anch’esso nell’ambito dell’anzidetto omesso esame sub B, di cui al secondo motivo – v. pgg. 17 e 18 del ricorso), il C. ha lamentato che il giudicante aveva male interpretato le dichiarazione del teste Santoro, il quale aveva asserito che egli vendeva a clienti non IMATION per conto della T.S.. Le anzidette doglianze devono essere senz’altro disattese in forza delle seguenti considerazioni, per cui il ricorso va respinto.

Va premesso che il ricorso appare anche carente in ordine allo svolgimento dei fatti di causa, nonchè per difetto di specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali lo stesso si fonda (art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6), segnatamente in ordine alla causa petendi dedotta con il ricorso introduttivo del giudizio, riguardo ai motivi di gravame (con il quale si consuma, come è noto, il potere d’impugnazione, non valendo al riguardo difese successivamente dispiegate) fatti valere con l’appello (nei limiti sanciti dagli artt. 434 e 437 codice di rito), nonchè con riferimento al contenuto della lettera di giustificazioni del 22-06-2010, fornite a seguito della contestazione disciplinare in data 15-06-2010, unitamente alle dichiarazioni rese in sede di audizione personale il 28 giugno 2010 e di cui al relativo verbale in pari data, ed ancora all’udienza del 28 settembre 2011, in primo grado, nonchè per di più con riferimento alle dichiarazioni rese dalla teste G., sentita il sette marzo 2012; il tutto come, per contro, dettagliatamente precisato ed allegato, pure con l’analitico indice della relativa produzione, nel controricorso della IMATION.

Orbene, il primo motivo risulta comunque infondato, condividendo il collegio il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le altre Cass. lav. n. 23304 del 18/11/2010), secondo cui la L. n. 300 del 1970, art. 7 non prevede, nell’ambito del procedimento disciplinare, l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti di natura disciplinare, la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, restando salva la possibilità per il lavoratore medesimo di ottenere, nel corso del giudizio ordinario di impugnazione del licenziamento irrogato all’esito del procedimento suddetto, l’ordine di esibizione della documentazione stessa (in senso analogo v. pure Cass. lav. n. 18288 del 30/08/2007, conforme id. n. 7153 del 17/03/2008. Cfr. altresì Cass. lav. n. 6337 del 13/03/2013, secondo cui nel procedimento disciplinare, sebbene la L. 25 maggio 1970, n. 300, art. 7 non preveda un obbligo per il datore di lavoro di mettere spontaneamente a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione, la documentazione su cui essa si basa, egli è però tenuto, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, ad offrire in consultazione i documenti aziendali all’incolpato che ne faccia richiesta, laddove l’esame degli stessi sia necessario per predisporre un’adeguata difesa).

Per contro, nel caso di specie qui in esame, dalle scarne allegazioni di cui si detto, in relazione al richiamato art. 366, circa il ricorso del ricorrente non risulta che costui abbia specificamente e tempestivamente fatto espressa richiesta della documentazione in parola nel corso del procedimento disciplinare, laddove il contrario pare di dover invece desumere dalle surriferite precise enunciazioni sul punto contenute nel controricorso, dalle quali emergono, tenuto soprattutto conto della suddetta audizione personale, richiesta dal diretto interessato, che in quella occasione egli fu ampiamente reso edotto pure delle fonti di accusa a suo carico, quindi fornendo le proprie giustificazioni in merito. Ad ogni modo, non è stata debitamente allegata alcuna pronta, precisa ed univoca richiesta in proposito avanzata dall’incolpato (che non risulta, invero, essere stata ritualmente dedotta dal C. mediante apposito motivo con l’interposto gravame, sicchè a nulla vale la pur generica dichiarazione del teste S. riportata a pagg. 15 e 16 del ricorso -…Ho chiesto di visionare le e-mail, ma ci fu risposto che si trattava di documentazione provata che sarebbe stata resa pubblica in altra occasione…- per giunta contrastata dalla testimonianza G.).

D’altro canto, il ricorrente non ha denunciato, ex art. 360 c.p.c., la violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 per genericità della contestazione disciplinare, nè per intervenuta modificazione della stessa, nel qual caso avrebbe potuto eventualmente assumere rilevanza la produzione di ulteriore documentazione concerne addebiti in precedenza non contestati, sicchè non è stata neanche dedotta la violazione del principio della immutabilità (a tal riguardo v. anche Cass. lav. n. 12644 del 13/06/2005, secondo cui i principi di specifica contestazione preventiva degli addebiti e di necessaria corrispondenza fra quelli contestati e quelli addotti a sostegno del licenziamento disciplinare o di ogni altra sanzione, posti dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori in funzione di garanzia del lavoratore, non escludono in linea di principio modificazioni dei fatti contestati concernenti circostanze non significative rispetto alla fattispecie, il che ricorre quando le modificazioni non configurano elementi integrativi di una diversa fattispecie di illecito disciplinare, non risultando in tal modo preclusa la difesa del lavoratore).

Le precedenti considerazioni, specialmente riguardo alla rilevata carenza di rituali allegazioni, con conseguente inammissibilità ex art. 366 c.p.c., bene valgono in ordine pure in ordine al non meglio precisato onere probatorio circa la legittimità dell’apprensione dei documenti posti a sostegno del recesso, laddove non risulta indicato se, come e quando tale censura sia stata a suo tempo dedotta nel corso del giudizio di merito, tanto più che della stessa non vi è traccia nell’impugnata sentenza di appello. Inoltre, nell’ambito del primo motivo, formulato evidentemente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente ha inammissibilmente omesso pure di indicare quale precisa disposizione di legge ovvero di contrattazione collettiva sia stata violata specificamente, pure in relazione al testo del menzionato art. 7 dello Statuto, da parte datoriale per fondare l’intimato licenziamento, in relazione all’utilizzo in giudizio dei messaggi di posta elettronica, che le erano stati messi a disposizione da terzi, destinatari degli stessi (cfr. tra le altre Cass. 1 civ. n. 24298 del 29/11/2016, secondo cui il vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme asseritamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata. In senso conforme, ex plurimis, Cass. n. 5353 del 2007).

Per il resto, ben possono valere i motivati accertamenti e le conseguenti valutazioni dei giudici di merito, riportati in narrativa, e perciò incensurabili in sede di legittimità.

Quanto, poi, al secondo motivo sub B (pagine 17 e 18 del ricorso), lo stesso si appalesa inammissibile sotto vari profili.

Ed invero, stando alla sua testuale enunciazione da parte ricorrente (omesso esame e pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio), lo stesso va evidentemente qualificato sub art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, però nella specie non consentito per effetto della c.d. doppia conforme decisione impugnata, avendo la Corte distrettuale in data 27 gennaio 13 febbraio 2015 appunto confermato l’appellata sentenza del 18 dicembre 2012, sicchè opera l’ultimo comma dell’art. 348-ter dello stesso codice di rito, ratione temporis applicabile in virtù del regime transitorio stabilito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (secondo il quale l’art. 348-ter, introdotto dall’art. 54, comma 1, lett. a) stesso D.L. “si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, avvenuta il 12 agosto 2012.

Cfr. sul punto, inoltre, Cass. 1 civ. n. 26774 del 22/12/2016: nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, – applicabile ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 – il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, – nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Conforme tra le altre Cass. 2 civ. n. 5528 del 10/03/2014.

V. quindi anche Cass. 6 civ. – 3, n. 26097 in data 11/12/2014, secondo cui in ipotesi di cosiddetta “doppia conforme” in fatto a cognizione sommaria, ex art. 348 ter, comma 4 – alla cui disciplina rimanda il quinto e stesso art. 348-ter, u.c. riguardo al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado – c.p.c., è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicchè il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili).

Ove poi la doglianza di cui al punto B1, in ordine alla questione della inutilizzabilità dei documenti prodotti dalla convenuta al momento della sua costituzione in giudizio, si voglia diversamente qualificare in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, valgono le precedenti argomentazioni svolte per disattendere il primo motivo di ricorso, mentre diversamente opinandosi, con riferimento all’ipotesi di cui al 360, n. 4, parte ricorrente avrebbe dovuto ritualmente e precisamente censurare un corrispondente error in procedendo, deducendo chiaramente la nullità della pronuncia impugnata (v. Cass. sez. un. civ. n. 17931 del 24/07/2013: il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. In senso analogo Cass. n. 24553 del 31/10/2013).

Infine, parimenti inammissibili appaiono le anzidette doglianze di cui ai punti B2 e B3 (raggruppate dal ricorrente nell’ambito del secondo motivo), atteso che le stesse, lungi dal denunciare ritualmente nei sensi sopra indicati errores in procedendo sussumibili nella previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, consistono invece di fatto nell’inammissibile critica di valutazioni sul contenuto delle testimonianze rese in giudizio, diversamente da quanto apprezzato dai competenti giudici di merito, sicchè le divergenti opinioni al riguardo manifestate dal ricorrente non sono consentite in questo giudizio di legittimità, laddove è ammessa la c.d. sola critica vincolata nei limiti fissati rigorosamente dall’art. 360 (cfr. tra le altre Cass. 5 civ. n. 25332 del 28/11/2014: il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.

Cass. 3 civ. n. 11892 del 10/06/2016: anche il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

V. in senso analogo pure Cass. sez. un. civ. n. 8053 del 07/04/2014, secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Inoltre, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie).

Pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente condanna alle relative spese del soccombente, tenuto altresì come per legge al versamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

 

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in 200,00 (duecento/00) Euro per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, a favore della società controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA