Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23407 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. III, 26/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 26/10/2020), n.23407

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29562/2019 proposto da:

T.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA

TORTOLINI 30, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE ROMA, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 4514/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICETI.

udito l’Avvocato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, T.L., viene dalla (OMISSIS).

Racconta di esservi fuggito a seguito di un conflitto etnico che ha visto opposta la sua etnia, quella dei (OMISSIS), a quella dei (OMISSIS); di aver perso in questi scontri sia il fratello che la sorella e la cognata; di essersi salvato fuggendo via dal Paese.

Ha dunque chiesto in Italia il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale, o a quella sussidiaria, o, in subordine, a quella umanitaria.

Nessuna di tali richieste è stata accolta dalla commissione territoriale, contro la cui decisione il ricorrente ha adito il Tribunale di Roma, che ha respinto la domanda, sostenendo che i fatti indicativi di un pericolo erano di competenza dell’autorità giudiziaria, a significare che si trattava non di conflitto interno, ma di reati comuni; che comunque la situazione rispetto al (OMISSIS), anno di fuga, era migliorata nella Guinea Conakry.

La corte di appello, adita dal ricorrente, ha confermato la decisione di primo grado. Il ricorrente propone due motivi di ricorso. Non v’è costituzione del Ministero intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La corte di appello ribadisce le ragioni poste a base della decisione di primo grado: si sarebbe trattato di un fatto di sangue non dovuto ad una situazione politica nazionale o regionale, bensì da considerarsi alla stregua di reato comune; ad ogni modo non vi sarebbero prove di una situazione socio politica che possa comportare rischi per la incolumità.

Quanto al permesso umanitario, ritiene insufficiente sia la dimostrazione di una situazione lavorativa, dato che il contratto è scaduto; sia l’insussistenza di ragioni di salute.

2.- Il ricorrente propone due motivi.

2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. La tesi del ricorrente è di avere apoditticamente e senza una sufficiente istruttoria, come richiesta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, motivato circa la rilevanza dell’episodio, che la corte di appello ritiene risalente nel tempo, confinato in una determinata zona del paese, e non più ripetutosi (p. 2).

Con questo argomento è stato rigettata la richiesta di protezione internazionale, nonchè quella sussidiaria rispetto a cui, secondo la corte, le fonti consultate (Amnesty e Ministero Esteri) riportano, si, violazioni di diritti fondamentali, come quello di manifestazione del pensiero e di riunione ed associazione, ma non riportano indicazioni di un conflitto armato interno. Secondo il ricorrente la corte non ha riferito il contenuto delle fonti, essendosi limitata ad enunciarle.

La corte sarebbe venuta meno inoltre al suo obbligo di integrazione istruttoria, per non avere da un lato fondato il suo accertamento su ogni altra possibile fonte e, dall’altro lato, per non aver reso esplicito il contenuto delle fonti cui ha fatto riferimento.

2.2.- Il motivo è fondato.

La valutazione della domanda di protezione internazionale deve avvenire, a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), tramite l’apprezzamento di tutti fatti pertinenti che riguardano il paese di origine al momento dell’adozione della decisione.

Il successivo comma 5 della norma stabilisce che qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere ritenga che le dichiarazioni siano coerenti e plausibili e non siano in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone (lett. c). Ciò fa il paio con l’obbligo, previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di esaminare ciascuna domanda alla luce delle informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti asilo. Queste norme dunque, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente asilo consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pongono a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (Cass. 7333/2015).

Una simile verifica officiosa deve essere compiuta con riguardo alla situazione del paese sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018). Nei giudizi aventi a oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari la verifica delle condizioni socio-politiche del paese di origine non può quindi fondarsi su informazioni risalenti, ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità (Cass. 28990/2018).

Nei giudizi di protezione internazionale l’esame officioso della situazione generale esistente nel paese di origine del cittadino straniero svolto dal giudice del merito deve poi essere specifico e dar conto delle fonti di informazione consultate. Ne consegue che incorre nella violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, oltre che nel vizio di motivazione apparente, la pronuncia che, nel prendere in considerazione la situazione generale esistente nel paese di origine del cittadino straniero, si limiti a valutazioni solo generiche o comunque non individui le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, oppure non indichi il contenuto di tali fonti, limitandosi solo a citarle.

2.3.- Il secondo motivo censura violazione degli artt. 115 e 166 c.p.c., oltre che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

La tesi del ricorrente è che la carente istruttoria di cui al motivo precedente ha indotto la corte a ritenere non rilevante il fatto narrato, pur avendolo ritenuto credibile, o comunque pur non avendo dubitato della sua credibilità.

La corte di appello, in sostanza, avrebbe negato rilievo ai fini della protezione sussidiaria agli eventi narrati e non contestati sulla base di rapporti reperiti in rete e del cui contenuto la corte non ha dato conto.

Questo motivo può ritenersi assorbito dall’accoglimento del primo.

Il ricorso va pertanto accolto.

P.Q.M.

La corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

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