Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23405 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 17/11/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 17/11/2016), n.23405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10004-2015 proposto da:

R.G., Z.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato MARIO BRANCADORO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO

ROMANO;

– ricorrenti –

contro

L.V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA

CRATI 20, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MUZZIOLI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CRISTINA BELLOMI,

CORRADO FERRI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 26/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato ROMANO Alessandro, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MUZZIOLI Paolo, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.V.M. con atto di citazione del 29 aprile 1999 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Brescia R.G. proprietario di un immobile che a sua volta aveva acquistato da P.L. e Lo.Lo., i quali a loro volta erano stati convenuti in giudizio, separato processo, da B.A., che reclamava la proprietà dello stesso immobile.

L’attrice esponeva di avere stipulato con R.G. (intestatario dell’immobile in regime di separazione dei beni con la moglie Z.A.) preliminare di vendita e che il promittente venditore si era rifiutato di adempiere e, dunque, chiedeva sentenza di trasferimento ex art. 2932 c.c..

La Z. rimaneva contumace.

Si costituiva R. il quale dichiarava di essersi rifiutato di adempiere perchè la L. non aveva accettato di assumersi il rischio di una possibile evizione da parte del B. il quale rivendicava la proprietà da coloro che avevano venduto l’immobile al R. e proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento dell’attrice.

Il Tribunale di Brescia, con sentenza n. 1339 del 2003, accoglieva la domanda di esecuzione in forma specifica e trasferiva l’immobile, subordinatamente al pagamento del prezzo, rigettava la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto.

Dopo la pubblicazione della sentenza e prima della notifica dell’appello di R. e Z. (notificato con citazione del 16/10/2003) la promittente venditrice comunicava al R., con raccomandata del 26/6/2003, che il prezzo di acquisto era a sua disposizione presso una banca e il R. (che in precedenza aveva rifiutato l’offerta reale del prezzo) provvedeva a incassare il prezzo in data 30/6/2003.

La Corte di Appello di Brescia, pronunciandosi su appello proposto da R.G. e Z., i quali riproponeva le stesse domande avanzate in primo grado, con contraddittorio integro, con sentenza n. 100 del 2007 dichiarava:

– inammissibile l’appello proposto da Z.A. per difetto di interesse, in quanto in regime di separazione dei beni con il coniuge acquirente e, pertanto, estranea all’acquisto;

inammissibile, ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 1, l’appello proposto da R.G. perchè egli aveva prestato acquiescenza alla sentenza di primo grado spontaneamente incassando le somme a lui offerte a titolo di prezzo per l’acquisto del bene promesso in vendita, con ciò dimostrando la volontà di fare acquiescenza alla sentenza, pur non essendo tenuto a ricevere il pagamento atteso il carattere della pronuncia e la sua inidoneità; la Corte di merito osservava, inoltre, che non era possibile ravvisare altra motivazione alternativa all’accettazione del prezzo e che neppure il R. aveva dato alcuna spiegazione.

I coniugi R. e Z. proponevano ricorso per cassazione per un unico motivo.

La Corte di cassazione con sentenza n. 14120 del 2013 accoglieva il ricorso pronunciando il seguente principio di diritto: In mancanza di accettazione espressa, l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 1, può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato, abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia e cioè quando sia possibile affermare che gli atti sono incompatibili, sotto il profilo logico o giuridico, con la volontà di avvalersi dell’impugnazione.

Il giudizio veniva riassunto dai coniugi R. e Z., riproponendo le stesse domande avanzate con il precedente atto di appello.

Si costituiva la L., chiedendo la conferma della sentenza del Tribunale di Brescia.

La Corte di appello di Brescia con sentenza n.98 del 2015 confermava la sentenza del Tribunale di Brescia e rigettava l’appello. Condannava i coniugi R. e Z. a rimborsare alla L. le spese del giudizio di appello, di Cassazione e di rinvio. Secondo la Corte di Brescia, la condizione sospensiva prevista nel contratto preliminare “(…) che l’atto di compravendita stipulato dal R. in data 6 aprile 1990 mantenesse la sua piena efficacia e l’immobile in oggetto retsi quindi irrevocabilmente confermato nella piena ed esclusiva proprietà del sig. R.G. (…) andava considerata alla luce di quanto veniva precisato e, cioè, che “(…) qualora la condizione sospensiva non si avverasse integralmente entro il 31 dicembre 1997 e la sig.ra L. non intendesse egualmente procedere all’acquisto il presente preliminare non produrrà effetti e diverrà subito definitivamente inefficace (…)” e nel senso di qualificare, come aveva già fatto il Tribunale, quella condizione in termini di condizione unilaterale apposta nell’esclusivo interesse della L..

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da R.G. e da Z.A. con ricorso affidato a tre motivi. L.V.M. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo di ricorso R. e Z. denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1353 c.c. e art. 1362 c.c. e segg.. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, confermando la decisione del Tribunale, non avrebbe interpretato correttamente gli accordi tra le parti in ordine alla condizione sospensiva, cui le parti avevano subordinato l’efficacia del contratto preliminare. In particolare, specificano i ricorrenti, le parti, preso atto della controversia primaria insorta tra il B. e P.L., quest’ultimo dante causa del R., in ordine alla proprietà del bene oggetto di controversia avevano ritenuto di condizionare sospensivamente l’efficacia del preliminare al verificarsi dell’evento che “(…) l’immobile restasse irrevocabilmente confermato nella piena ed esclusiva proprietà del sig. R.”, specificando con successive clausole contrattuali, che “(…) qualora la condizione sospensiva non si avverasse integralmente entro il 31 dicembre 1997 e la sig.ra L. non intendesse egualmente procedere all’acquisto il presente preliminare non produrrà effetti e diverrà subito definitivamente inefficace (…)”. Ora, secondo i ricorrenti, il 31 dicembre 1997 starebbe ad indicare il termine entro cui potersi utilmente verificare l’evento dedotto a condizione sospensiva o entro il quale alla promissaria acquirente fosse riconosciuta la facoltà di manifestare la volontà di procedere egualmente all’acquisto, diversamente il contratto preliminare sarebbe divenuto allo spirare del 31 dicembre 1997 subito, definitivamente, inefficace, e non invece, come ha ritenuto il Tribunale prima e la Corte distrettuale, dopo che le parti avevano circoscritto temporalmente la fase di pendenza della condizione e che avessero attribuito a L. il diritto potestativo di incidere, potendo manifestare, anche dopo il 31 dicembre 1997, la volontà di concludere, comunque, il definitivo.

1.1.= Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perchè i ricorrenti non denunciano una violazione dei canoni interpretativi ex art. 1362 c.c. e segg., ma lamentano il fatto che la Corte distrettuale abbia assegnato ad una stessa espressione contrattuale, un significato diverso da quello ritenuto corretto. In buona sostanza, i ricorrenti ritengono che la data del 31 dicembre 1997 di cui alla clausola “(…) qualora la condizione sospensiva non si avverasse integralmente entro il 31 dicembre 1997 e la sig.ra L. non intendesse egualmente procedere all’acquisto, il presente preliminare non produrrà effetti e diverrà subito definitivamente inefficace (…)” starebbe ad indicare il termine entro il quale la sig.ra L. avrebbe potuto richiedere la stipula del definitivo e non, invece, come ha ritenuto il Tribunale prima e la Corte di appello dopo, che la sig.ra L. avesse la possibilità, anche, dopo il 31 dicembre 1997, di concludere, comunque, il definitivo. Infatti, come ha avuto modo di specificare la Corte distrettuale “(…) il testo del contratto è esplicito al riguardo (qualora la condizione sospensiva di cui sopra non si avverasse integralmente entro il 31 dicembre 1997 e la signora Vittoria L. non intendesse egualmente procedere all’acquisto il presente preliminare non produrrà effetti e diverrà subito definitivamente inefficace) ” e quindi va condiviso il ragionamento del Tribunale secondo cui “(…) come in tale modo il contratto preliminare avesse esplicitamente attribuito alla L. il diritto potestativo di incidere sulla sua efficacia e di rimuovere l’impedimento alla produzione degli effetti del preliminare (….) circostanza che non poteva che orientare verso una qualificazione di quest’ultima (condizione) in termini di condizione unilaterale apposta nell’esclusivo interesse della L. (…)”.

Epperò, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra Come è stato già affermato da questa Corte in più occasioni: l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. n. 10554 del 30/04/2010).

2.= Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1932 c.c. nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione sul punto della mancata corrispondenza tra prezzo residuo e pattuizione contrattuale. Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale erroneamente avrebbe data esecuzione in forma specifica al contratto preliminare inter parte con il trasferimento della proprietà dell’immobile di cui si dice subordinando tale trasferimento al pagamento da parte della sig.ra L. al sig. R. della somma di Euro 154.957,07 non aumentato dai pattuiti interessi, non tenendo conto che le parti aveva concordato che, nell’ipotesi in cui il contratto definitivo fosse stato stipulato dopo il 1 agosto 1995, la L. avrebbe dovuto corrispondere non solo il residuo prezzo, ma anche gli interessi al tasso annuo del 5%. La contestazione della difformità tra l’offerta fatta dalla L. e quanto contrattualmente pattuita era già stata sollevata, chiariscono i ricorrenti, negli scritti difensivi prodotti davanti al Tribunale di Brescia, la violazione censurata con il secondo motivo di appello atteneva alla violazione dell’art. 1932 c.c., operata nella sentenza pronunciata dal Tribunale di Brescia.

2.1.= Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perchè non coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

Va qui evidenziato che il tenore delle censure, richiama, in vero, il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, norma, nel caso, non più applicabile, trattandosi di sentenza depositata il 26 gennaio 2015, quindi dopo l’entrata in vigore della precitata novella, la quale ha introdotto una disciplina più stringente, limitata la possibilità della denuncia dei vizi di motivazione che consentono l’intervento della Corte di Cassazione solo al caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il cambiamento operato dalla novella è netto, dal momento che dal previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, viene eliminato non solo il riferimento alla “insufficienza” ed alla “contraddittorieta”, ma addirittura la stessa parola “motivazione”. Può quindi affermarsi che la nuova previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, legittima solo la censura per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, non essendo più consentita la formulazione di censure per il vizio di “insufficiente” o “contraddittorietà” della motivazione. Nè, a diverso opinamento può pervenirsi nella considerazione che la censura per “omessa, insufficiente o contraddittorietà della motivazione”, potrebbe trovare ingresso, dando prevalenza all’aspetto sostanziale più che a quello letterale e formale del mezzo e, quindi, prescindendo dalla inidoneità della formulazione, ostandovi l’evidente prospettiva della novella, introdotta dal Legislatore al fine di ridurre l’area del sindacato di legittimità sui “fatti”, escludendo in radice la deducibilità di vizi della logica argomentazione (illogicità o contraddittorietà), che non si traducano nella totale incomprensibilità dell’argomentare. In buona sostanza, ciò che rileva, in base alla nuova previsione, è solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio.

2.2.= Non sussiste neppure la denunciata violazione della normativa di cui all’art. 2932 c.c. posto che la Corte distrettuale ha chiarito che a fronte di pronta disponibilità della L. al pagamento con offerta reale della prestazione corrispettiva del versamento del prezzo non era stata obiettato da R. alcunchè con la comparsa di costituzione, nè il R., al momento della riscossione della somma a cui il Tribunale aveva subordinato il trasferimento, ha svolto riserva rispetto al quantum, condotta questa che impediva che l’importo potesse essere messo in discussione.

E’ del tutto evidente, dunque, che la non contestazione da parte del promittente venditore in ordine all’offerta proposta dalla L., secondo la Corte distrettuale, rendeva il quantum dell’offerta reale, quale quantum del prezzo residuo di cui al contratto preliminare, un fatto definitivo e vincolante, idoneo a consentire la pronuncia di una sentenza ex art. 2932 c.c.. Senza dire che la ratio decidendi relativa alla non contestazione di cui si dice, non risulta censurata in questa fase e come tale rende, comunque, ininfluente la censura riferita ad altra ratio decidendi.

3.= Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Secondo i ricorrenti avrebbe errato la Corte distrettuale nell’aver condannato i sigg. R. e Z. all’integrale rifusione delle spese di lite non solo del giudizio di appello e del giudizio di invio ma anche del giudizio di cassazione nonostante nel giudizio di cassazione fossero risultati totalmente vittoriosi.

3.1.= Il motivo è infondato.

Infatti nella giurisprudenza di questa corte è indiscusso che “in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte. (Cass., 20289 del 2015).

Pertanto, correttamente la Corte distrettuale ha precisato che, in considerazione dell’esito del giudizio, da valutarsi complessivamente, i R. Z., soccombenti, andavano condannati alla rifusione in favore della L. delle spese del giudizio in grado di appello, di cassazione e della fase del rinvio.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannati in solido a rimborsare alla sig.ra L. le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio da atto che, ai sensi del D.P.R. n. 113 del 2002, art. 13, comma 1, sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento a favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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