Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23404 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. III, 26/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 26/10/2020), n.23404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28398-2019 proposto da:

E.E., B.M.;

– ricorrenti –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

VERONA SEZ PADOVA, PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA C/O CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 965/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito l’Avvocato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, E.F., è cittadino nigeriano, della regione dell’Edo State. Racconta di essere fuggito dalla Nigeria per timore di persecuzioni ad opera della setta Aye, che aveva già ucciso il fratello.

I timori per sè derivavano dal fatto che i membri della setta vedevano in lui un affiliato ad una setta rivale, e potevano comunque confonderlo con il fratello a cagione della somiglianza fisica tra i due.

Ha chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, o, in subordine, di quella umanitaria.

La Commissione Territoriale ha negato ogni forma di protezione, ed il ricorrente si è rivolto all’autorità giudiziaria. Tuttavia, il Tribunale di Venezia ha ritenuto il suo racconto poco credibile, ed ha altresì escluso che in Nigeria possa prospettarsi una situazione di generalizzato conflitto armato tanto grave da poter far temere per i civili in quanto tali.

Questa tesi è stata confermata dalla corte di appello.

E.F. ricorre con tre motivi. Il Ministero Interno non si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La corte di appello ritiene poco credibile il racconto del ricorrente, sia in rodine alle minacce ricevute dalla setta religiosa, che quanto alla uccisione del fratello, che infine quanto alla sua fuga momentanea nella capitale del Paese, e poi in Italia.

Ad ogni modo, i giudici di merito ritengono che la situazione della Nigeria non è tale prospettarsi un conflitto armato generalizzato capace di porre in pericolo l’incolumità dei civili.

Quanto alla protezione umanitaria, la corte esclude che la situazione del paese sia tale da creare una condizione di vulnerabilità.

2.- E.F. ricorre con tre motivi.

Con il primo motivo lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e dunque nullità della sentenza per difetto di motivazione, che si assume essere carente ed apparente.

Il ricorrente ritiene che la corte non abbia adeguatamente motivato quanto alla credibilità del suo racconto, che, si ripete, i giudici di appello, sulla scorta della decisione di primo grado, ritengono inverosimile in diversi punti.

Intanto, ritiene il ricorrente che non gli è stata data possibilità di contraddire sugli aspetti ritenuti poco credibili, e che in sede giudiziaria non gli sono state fatte domande che avrebbero potuto comportare chiarimenti decisivi.

Nel merito ritiene insufficiente la motivazione resa dalla corte.

Con il secondo motivo lamenta violazione della L. n. 251 del 2007, art. 3 e L. n. 25 del 2008, art. 27.

Secondo il ricorrente la corte, nel valutare la situazione esistente in Nigeria, non avrebbe adeguatamente considerato il ruolo delle sette religiose in quel paese, la cui violenza e la cui azione verso gli iniziati, e non sono quelli, è invece un fatto noto e documentato; tanto è vero che anche in Italia si hanno prove di riti violenti e macabri da parte di sette costituite dagli emigranti.

Con la conseguenza che non tanto della generalizzata situazione politica della Nigeria la corte doveva occuparsi, ma di quella provocata dall’azione e dalla presenza delle sette religiose nell’intero paese.

Con il terzo motivo invece il ricorrente lamenta violazione della L. n. 286 del 1998, art. 5 quanto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non tenendo in alcun conto che una situazione di vulnerabilità può verificarsi e prospettarsi solo che vi sia una situazione di insicurezza anche temporanea nella regione di provenienza.

Ribadisce che, al contrario di quanto accertato dalla corte di merito, la situazione della Nigeria è di particolare instabilità e pericolosa per i civili.

Contesta inoltre alla corte di non avere proceduto ad un esame comparato della integrazione raggiunta in Italia con la situazione del paese di provenienza.

3.- Il ricorso è infondato.

Va premesso che entrambe le corti hanno ritenuto poco credibile il racconto del ricorrente. Sebbene ci sia qualche decisione di questa corte in senso contrario, va ribadito che in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018; Cass. 28862/2018; Cass. 33858/2019).

Questa regola trae argomento dal fatto che la credibilità del racconto serve a poter effettuare una individualizzazione dell’accertamento, ossia ad accertare le condizioni del diritto alla protezione non in astratto, ricavandole semplicemente dalla situazione del paese di origine, bensì in concreto, ossia tenendo conto della condizione personale del ricorrente, vale a dire di quanto costui rischia come individuo, per la sua personale situazione.

Il giudizio di credibilità è un giudizio di fatto, non censurabile in Cassazione, se non per difetto di motivazione, come ha effettivamente fatto il ricorrente (Cass. 3340/2019).

E tuttavia, le ragioni indicate dalla corte, che non ha fatto mera relazione a quelle di primo grado, sono ampie e non contraddittorie, cosi da escludersi il vizio paventato.

Lo stesso ricorrente implicitamente ammette le lacune del suo racconto ma ritiene che avrebbero dovuto essere superate in sede di interrogatorio, attraverso il contraddittorio, ossia attraverso apposite domande che la corte avrebbe dovuto porgli e che non ha posto.

Non c’è ovviamente un obbligo generalizzato di audizione dello straniero (Cass. 3030/2018), il quale peraltro non allega argomenti che avrebbe potuto addurre e che gli è stato impedito di fare.

Con la conseguenza che il giudizio sulla credibilità rimane valido.

Anche ad ammettere che esso non precluda la valutazione della situazione oggettiva del paese di origine, va osservato, e ciò comporta l’infondatezza del secondo motivo, che la corte ha comunque motivato adeguatamente quanto alla situazione della Nigeria, ed alla convinzione che essa non comporti un generalizzato pericolo per ciascun civile in quanto tale; le fonti sono plurime, citate e riportate oggettivamente. Ove la situazione del paese di origine non sia tale, in generale, da comportare pericoli per i civili in quanto tali, essa può venire in considerazione quando quei pericoli comporta in relazione alla particolare situazione soggettiva del ricorrente, che ha una razza, appartiene ad una religione, o versa in una situazione particolare, tale che per lui, se non per tutti gli altri, la situazione in atto nel paese è fonte di pericolo.

La credibilità del racconto, come si è detto, serve anche a questa finalità, ossia di consentire l’individualizzazione della situazione che legittima la protezione dello straniero.

p.- Quanto alla protezione umanitaria (terzo motivo) se è vero che la corte non ha effettuato alcuna comparazione tra la situazione soggettiva del ricorrente quella del paese di origine, onde verificare se l’integrazione raggiunta, e dunque il livello di diritti acquisiti potesse venire pregiudicato dal rimpatrio, è anche vero che alcunchè è stato allegato dal ricorrente a dimostrare il suo livello di integrazione in Italia, cosi che l’omessa comparazione è comunque priva di rilevanti conseguenze e non aveva termini propri per essere effettuata.

Il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

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