Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23404 del 17/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 17/11/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 17/11/2016), n.23404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11203-2012 proposto da

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA CAVOUR presso

la CORTE di CASSAZIONE rappresentato e difeso dall’avocato GIOVANNI

BRIZZI;

– ricorrente –

contro

C.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA UNITA’

13, presso lo studio dell’avvocato LUISA RANUCCI, rappresentata e

difesa dall’avvocato PIETRO DI MEGLIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1734/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato BRIZZI Giovanni, difensore del ricorrente che

deposita ricevuta di avvenuta notifica e chiede l’accoglimento del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, M.C. impugnava la sentenza n. 5100/06 del Tribunale di Napoli, con la quale erano state respinte le domande da lui formulate, aventi ad oggetto la dichiarazione, in via principale, di risoluzione del preliminare di compravendita del (OMISSIS) relativo all’appezzamento di terreno di are 24, riportato in catasto terreni del Comune di (OMISSIS), in danno della promittente venditrice C.M.C., e, in via incidentale, di legittimità del recesso da lui operato ex art. 1385 c.c., comma 2, con conseguente condanna della convenuta al pagamento della penale di Lire 50.000.000 e del doppio della caparra confirmatoria.

All’uopo, l’appellante lamentava, da un lato, la mancata applicazione dell’art. 1453 c.c. e, dall’altro lato, l’accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dalla C., ai sensi dell’art. 2932 c.c..

In particolare, deduceva che, nonostante dalla consulenza tecnica d’ufficio fosse risultato che il fondo promessogli in vendita avesse una estensione complessiva di mq. 2.160, a fronte di mq. 2.400 indicati nel contratto, la sentenza impugnata non avesse accertato se nella specie la superficie reale fosse, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1538 c.c., inferiore di un ventesimo rispetto a quella indicata in contratto.

Sosteneva altresì, per quanto concerneva il viottolo di accesso, che erroneamente, il tribunale avesse ritenuto la doglianza riguardare l’estensione, laddove la stessa era relativa alla larghezza la quale, in luogo di corrispondere a mt. 2,50, si era ridotta, a causa di un muraglione costruito da terzi, a pochi centimetri, rendendo di fatto l’accesso praticamente impossibile.

Da ultimo, rilevava che, nonostante la C. in contratto avesse dichiarato di essere piena ed esclusiva proprietaria del fondo, si fosse obbligata per l’evizione ed avesse dichiarato che sui cespiti compromessi in vendita non gravassero garanzie reali, vincoli derivanti da pignoramenti o da sequestri, privilegi, oneri e diritti reali, il canone enfiteutico incidente sul fondo promesso in vendita rendeva legittimo il suo rifiuto alla stipula del contratto definitivo.

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 1734/2011 del 18.5.2011, ha rigettato il gravame, sulla base, per quanto nella presente sede ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

a)il promissario acquirente ha la facoltà di recedere dal contratto nell’ipotesi in cui la superficie dell’immobile indicata nello stesso sia superiore a quella reale, laddove può proporre la domanda di risoluzione solo nel caso in cui abbia ricevuto una formale richiesta di pagamento di un supplemento di prezzo per la maggiore estensione dei fondo (e non, come nel caso di specie, di una minore estensione dello stesso bene);

b) il grave inadempimento della promittente venditrice risultava smentito dalla planimetria e dalla indicazione dei confini contenute nel preliminare, nonchè dalla dichiarazione dell’appellante di “… ben conoscere il suddetto terreno per averlo più volte ispezionato”;

c) quanto alla larghezza del viottolo di accesso, l’indagine svolta dal perito d’ufficio aveva dimostrato che la sua larghezza media era di circa mt. 2,50, come indicato in contratto; pertanto, risultava illegittimo il rifiuto del M. alla stipula del contratto definitivo, vieppiù se si considerava che era anche intervenuta l’autorizzazione vescovile alla cancellazione del canone enfiteutico;sussistevano, invece, i presupposti dettati in tema di trasferimento coattivo del fondo in questione.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da M.C. con ricorso affidato a quattro motivi, illustrati con memoria. C.M.C., ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1538 e 1453 c.c. e l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non aver la corte locale esaminato la relazione tecnica d’ufficio, dalla quale avrebbe desunto che la minore superficie era stata determinata dell’abusivo frazionamento operato dalla venditrice, e per aver confuso gli istituti del recesso del compratore (previsto dall’art. 1538 c.c., comma 2) e della risoluzione per inadempimento del venditore (di cui all’art. 1453 c.c.).

La questione sollevata dal ricorrente concerne la possibilità, per il promissario acquirente, di chiedere la risoluzione per inadempimento del venditore nel caso di misura reale del terreno inferiore di oltre un ventesimo.

1.1.= Il motivo è fondato.

In tema di compravendita di immobili, la pattuizione di una vendita a corpo, con la conseguente fruibilità dei rimedi speciali di cui all’art. 1538 c.c., non esclude, infatti, l’esperibilità della generale azione di risoluzione contrattuale, nè di quella di risarcimento per colpa o dolo del contraente inadempiente, di cui all’art. 1218 c.c. (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 25250 del 03/12/2007). A ben vedere, la Corte partenopea ha errato nel sostenere, dopo aver confermato che l’estensione effettiva dell’appezzamento di terreno promesso in vendita fosse di mq. 2.160, in luogo dei mq. 2.400 riportati nel contratto preliminare (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), che, in siffatta evenienza, il promissario acquirente avesse a sua disposizione solo il rimedio del recesso contemplato dall’art. 1538 c.c., comma 2.

Invero, sulla base di una semplice lettura di quest’ultima disposizione, se coordinata con quella del primo comma e con l’art. 1539 c.c., si evince che la facoltà di recesso in favore del compratore è prevista per la differente eventualità in cui la misura reale del bene acquistato a corpo risulti superiore di oltre un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto, nel qual caso il compratore dovrebbe corrispondere un supplemento di prezzo, ma ha, appunto, l’alternativa di recedere dal rapporto.

Per l’ipotesi, invece, in cui l’estensione del bene si dovesse rivelare inferiore di oltre un ventesimo rispetto a quella concordata (ed è il caso di specie), tornano a trovare applicazione i generali strumenti, tra i quali, in primo luogo, quello della risoluzione del contratto per inadempimento.

Non è poi revocabile in dubbio che anche ai contratti preliminari si applichi l’art. 1538 c.c. (cfr. Cass. n. 20393 del 2013; n. 15691 del 2006).

2. = Il ricorrente lamenta ancora:

a) Con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1538 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per aver la corte locale erroneamente ritenuto che il suo comportamento, finalizzato in un primo momento alla stipula del rogito notarile, contrasterebbe con la sua successiva volontà di risoluzione contrattuale (manifestata formalmente solo con l’atto introduttivo del giudizio del maggio 1999).

b) Con il terzo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1538 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per aver la corte locale inutilmente, a suo dire, indagato se il contratto preliminare fosse conforme alle prescrizioni di legge e conferito valenza alle dichiarazioni rese dalle parti in sede di stipula ed all’avvenuto trasferimento del possesso materiale.

c) con il quarto motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1538 c.c. e art. 1476 c.c., n. 3, (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per essersi la corte locale limitata, quanto al canone enfiteutico insistente sul fondo, a richiamare la intervenuta autorizzazione vescovile, senza valutare se la stessa fosse idonea alla trascrizione e alla voltura catastale.

2.1= Tutti questi tre motivi (il secondo il terzo e il quarto) rimangono assorbiti nell’accoglimento del primo motivo.

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e dichiarati assorbiti gli altri tre motivi, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per nuovo esame e per la liquidazione delle spese, anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche, per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016

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