Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23404 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/10/2017, (ud. 07/04/2017, dep.06/10/2017),  n. 23404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10939-2013 proposto da:

P.M.C., (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

SA.GI., V.S., n.q. erede di S.M. e

n.q. di procuratore generale di: S.A., SA.AN.,

S.R., VI.ST. deceduto e per esso eredi la moglie

S.T. e il figlio V.G., V.V.,

VI.SA. n.q. eredi di S.M., SA.RO., SA.SA.,

SA.SA. n.q. di eredi di sa.an., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 13, presso lo studio

dell’avvocato MIRELLA TAVANO, rappresentati e difesi dall’avvocato

CORRADO MARTELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 221/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 19/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, riunita nella camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c., comma 1 del 7/4/2017, udita la relazione del consigliere Antonello Cosentino, osserva quanto segue.

Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza depositata in data 27.11.2007, definiva il giudizio incardinato dai signori Sa.Gi., S.M. e sa.an., nella qualità di eredi del proprio genitore S.S., nei confronti dei fratelli To. e S.G. e del coniuge di quest’ultima, P.S.. Gli attori avevano domandato la declaratoria di simulazione degli atti di compravendita del 15/3/76 e del 13/1/77 per mezzo dei quali il de cuius aveva ceduto due immobili di sua proprietà, rispettivamente, al sig. P.S. (marito di S.G.) e alla sig.ra F.A. (moglie di Sa.To.), sull’assunto che tali atti dissimulassero altrettante donazioni lesive della loro quota di legittima. Il tribunale, dopo aver dichiarato l’estinzione per rinuncia agli atti della causa nei confronti del convenuto Sa.To., disponeva una c.t.u. e, all’esito, accoglieva la domanda di simulazione relativa del contratto del 15/3/76, ritenendo che il prezzo risultante dall’atto fosse esiguo rispetto al valore dell’immobile e che, peraltro, della relativa corresponsione non fosse stata raggiunta la prova; dichiarava altresì il contratto dissimulato, di donazione dell’immobile a P.S., nullo per difetto di forma, non essendo stato esso stipulato con l’intervento dei testimoni, necessari per la validità delle donazioni. Deceduto P.S., la vedova, S.G., ed i figli, M.C., O., S., Gi., Sa., An., V., R. e An., appellavano la sentenza del tribunale, deducendo l’illegittimità – per violazione delle disposizioni dell’art. 1417 c.c. – della prova per testi posta a fondamento della decisione. Al riguardo gli appellanti argomentavano che gli attori non avevano proposto alcuna domanda di nullità, nè di riduzione, della donazione dissimulata, bensì unicamente una domanda di simulazione, in relazione alla quale i medesimi non potevano essere considerati terzi rispetto al loro dante causa S.S., con conseguente inammissibilità, ex art. 1417 c.c., della prova per testi ammessa dal tribunale. Gli appellanti inoltre deducevano l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie da parte del primo giudice, argomentando, da un lato, che l’effettivo pagamento del prezzo doveva ritenersi provato, alla stregua della deposizione del teste Ca., da giudicare attendibile; d’altro lato, che detto prezzo doveva giudicarsi congruo, risultando erronea, alla luce dei prezzi di immobili similari emergenti dalle produzioni in atti, la contraria opinione del c.t.u.

La corte d’appello di Messina, con sentenza n. 221/2012, rigettava il gravame argomentando, per un verso, che la prova testimoniale assunta dal tribunale e oggetto della denuncia d’inammissibilità formulata con l’appello era stata “chiesta in via diretta dai convenuti attuali appellanti” e, per altro verso, che la domanda degli attori “implicava la invalidità della donazione dissimulata dalla vendita” (cfr. pag. 6, penultimo capoverso, dalla sentenza gravata). A quest’ultimo proposito la corte territoriale evidenza come dagli atti processuali degli attori appellati emergesse chiaramente la deduzione che i contratti di donazione dissimulati da compravendite fossero lesivi delle quote di legittima degli attori stessi.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Messina i signori M.C., O., S., G., Sa., A., V., R. e Pe.An. (quali eredi di P.S. e S.G., quest’ultima anch’essa frattanto deceduta) hanno proposto ricorso per cassazione, articolato su due motivi di censura.

Gli intimati hanno depositato controricorso.

Col primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 – “la falsa applicazione dell’art. 1417 c.c. in cui la corte di appello sarebbe incorsa ritenendo ammissibile la prova per testi posta a fondamento della decisione del giudice di primo grado. Al riguardo i ricorrenti – premesso che l’erede può far valere la simulazione del contratto stipulato dal de cuius, senza incorrere nelle limitazioni probatorie previste dall’art. 1417 c.c., solo ove faccia valere un diritto proprio, quale la lesione della quota di riserva – deducono che G., M. e sa.an. non aveva esercitato un’azione di riduzione ex art. 564 c.c. e che, d’altra parte, i medesimi non sarebbero stati legittimati ad esercitare tale azione nei confronti del loro dante causa P.S., giacchè quest’ultimo non era chiamato all’eredità di S.S. e pertanto, ai sensi dell’art. 564 c.c., l’eventuale esercizio dell’azione di riduzione dei suoi confronti sarebbe stato subordinato all’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.

Il motive è inammissibile perchè la statuizione della corte territoriale che ha disatteso il motivo di appello con cui gli odierni ricorrenti avevano censurato la sentenza di primo grado per aver ritenuto ammissibile la prova per testi della simulazione del contratto di compravendita intercorso tra il loro dante causa è il signore P.S. si fonda su una duplice ratio decidendi, ossia (vedi pag. 7, penultimo capoverso, della sentenza). Su.:

1) la ragione che “la prova per testi assunte in primo grado è stata chiesta in via diretta proprio dei convenuti attuali appellanti”;

2) la ragione che “in ogni caso, la domanda degli attori – eredi del venditore S. implicava la invalidità della donazione dissimulata dalla vendita”.

Il ricorso per cassazione attinge, con il primo motivo ora in esame, soltanto la seconda ratio decidendi, cosicchè, se anche tale motivo fosse giudicato fondato, esso non potrebbe comunque condurre alla cassazione della statuizione impugnata, risultando la stessa autonomamente sorretta dalla prima ratio decidendi, non impugnata; d’onde l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame per carenza di interesse del ricorrente. Questa Corte ha infatti reiteratamente affermato che, qualora la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza. (cfr. tra le tante, Cass. 9752/17).

Col secondo motivo di ricorso si lamenta l’insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa il mancato accoglimento dei motivi di appello concernenti l’asserita congruità del prezzo risultante dall’impugnato atto di compravendita e l’effettivita del relativo pagamento. Il giudice avrebbe omesso di fare riferimento ai documenti prodotti riguardanti analoghe compravendite e avrebbe motivato apoditticamente circa le qualità personali dei testi escussi.

Il motivo è inammissibile perchè, come questa Corte ha più volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata,contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Al riguardo va altresì ricordato che questa Corte ha già chiarito che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (sent. n. 16499/09).

Il ricorso va quindi, conclusivamente, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’importo D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater, D.Lgs. n. 546 del 1992.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, D.Lgs. n. 546 del 1992, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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