Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23403 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. III, 26/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 26/10/2020), n.23403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28394-2019 proposto da:

I.S., B.M.;

– ricorrenti –

e contro

COMMISIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

VERONA SEZIONE PADOVA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA C/0

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 952/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito l’Avvocato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, I.S., è cittadino nigeriano, della regione dell’Edo State. Racconta di essere fuggito dal suo Paese per evitare la vendetta di una comunità che aveva già ucciso il padre e la madre.

In particolare, il padre, essendo a capo della predetta comunità, ha distratto fondi e li ha usati per investimenti personali, suscitando la reazione degli altri membri che hanno ucciso prima lui e poi la moglie, e pretendendo dal ricorrente la restituzione del maltolto, hanno altresì tentato la stessa azione nei suoi confronti.

I. racconta di essere fuggito onde evitare di venire ucciso, ma riferisce anche di non avere assistito personalmente agli episodi delittuosi ai danni dei propri genitori, bensì di averne avuto conoscenza da altri.

Ha chiesto dunque tutte e tre le forme di protezione, ossia: il riconoscimento dello status di rifugiato politico, la protezione internazionale, ed infine il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma la Commissione territoriale ha respinto le sue richieste. Il ricorrente ha adito il Tribunale di Venezia, che ha confermato il rigetto espresso dalla Commissione, assumendo che la vicenda narrata fosse di natura privata e non inducesse dunque a ritenere una persecuzione da parte dello Stato o di altro gruppo organizzato, sebbene non statale, e che potesse risolversi per l’appunto, in via privata. Nè v’erano ragioni di vulnerabilità personale che potessero consentire il rilascio del permesso per motivi umanitari.

La corte di appello di Venezia ha confermato questa decisione, ed il ricorrente la contesta ora con tre motivi. V’è una costituzione tardiva, senza controricorso, del Ministero Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata.

La corte di appello ritiene che la vicenda riferita dal ricorrente, ed utilizzata per sostenere una sorta di persecuzione in patria, è di natura meramente privata, ed inoltre risolvibile senza necessità di fuggire dalla Nigeria, cosi che non vi sarebbero nè i presupposti del riconoscimento dello status di rifugiato, che peraltro presuppone una situazione di generalizzata violazione dei diritti umani, che invece in Nigeria non è dato riscontrare, nè per la protezione sussidiaria, atteso che non v’è alcun pericolo in caso di rientro in patria, proprio per via della possibilità di risolvere privatamente la situazione; nè infine v’è motivo di riconoscere diritto al permesso per motivi umanitari, in quanto non è dimostrata alcuna integrazione in Italia che possa essere compromessa dal rimpatrio. 2.- Il ricorrente propone tre motivi di ricorso.

p.- Con il primo motivo, lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

La censura mossa alla decisione impugnata è di avere escluso dal novero delle minacce rilevanti quelle provenienti da gruppi privati, che invece sono anche esse da prendere in considerazione quando lo Stato non sia in grado di proteggere il cittadino da tali minacce; ossia, nella ratio della norma contano anche le violenze e minacce che derivano da soggetti non statuali, ed altresì da soggetti privati, nel caso in cui l’autorità pubblica non riesca o non voglia perseguirle non fornendo cosi tutela al minacciato.

p.- Con il secondo motivo invece oltre che denunciare violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 si denuncia altresì violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27.

Ritiene il ricorrente che la corte ha errato nel considerare meramente privata la vicenda per via del fatto che la minaccia di morte non proveniva da enti o istituzioni pubbliche, quando invece il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 ricomprende tra i soggetti autori di persecuzioni rilevanti ai fini della protezione anche soggetti non statali, persone fisiche o comunità qualora lo stato non sia in grado o non voglia reprimere l’ingiustizia. E la corte avrebbe errato nel non considerare il livello di corruzione delle forze dell’ordine nigeriane, e dunque la difficoltà di rivolgersi loro per avere tutela.

p.- Infine con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 relativamente alla protezione umanitaria.

Ritiene il ricorrente che per ritenere sussistente una situazione di vulnerabilità non occorre che vi sia una generalizzata condizione di instabilità politica e sociale nell’intero territorio nigeriano, essendo sufficiente che la situazione riguardi l’area o la regione del ricorrente.

I primi due motivi possono trattarsi congiuntamente e sono infondati.

Sebbene una precedente decisione abbia ritenuto che “in tema di protezione sussidiaria, le minacce di morte da parte di una setta religiosa integrano gli estremi del danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e non possono essere considerate un fatto di natura meramente privata anche se provenienti da soggetti non statuali, sicchè l’adita autorità giudiziaria ha il dovere di accertare, avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi ed acquisendo le informazioni sul paese di origine, l’effettività del divieto legale di simili minacce, ove sussistenti e gravi, ovvero se le autorità del Paese di provenienza siano in grado di offrire adeguata protezione al ricorrente” (Cass. 3758/2018), va ritenuto maggiormente condivisibile l’orientamento successivo secondo cui “le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b)” (Cass. 9043/ 2019).

Infatti, va escluso che possa riconoscersi lo status di rifugiato quando gli atti di persecuzione (tra cui rientra, è vero, il diniego di accesso alla giustizia, ma va pure considerato che non v’è prova che il ricorrente l’abbia tentato) non sono caratterizzati dai motivi che inducono alla persecuzione, ossia motivi legati alla razza, religione, nazionalità, gruppo sociale ecc. (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8).

Il ricorrente invoca motivi di persecuzione di natura patrimoniale economica, in generale.

Nè vi sono i presupposti per la protezione sussidiaria che, alla lett. c), l’unica di possibile riferimento (le altre due presuppongono prospettive di condanna a morte o tortura), considera rilevante la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Situazione questa esclusa dalla corte di merito, con accertamento motivato adeguatamente.

Infine, deve ritenersi infondato il terzo motivo che lamenta il mancato riconoscimento del diritto al permesso per ragioni umanitarie in quanto quest’ultima situazione presuppone un concetto di vulnerabilità costituito, per ormai regola giurisprudenziale, da un certo livello di integrazione in Italia, che abbia comportato l’acquisizione di diritti che il rimpatrio rischierebbe di far perdere. Non v’è prova, come ritenuto dalla corte, di tale raggiunto livello.

Il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

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