Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23402 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. III, 26/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 26/10/2020), n.23402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28083-2019 proposto da:

W.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

ROMA;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 08/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito l’Avvocato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, W.C., proviene dal Senegal. Arrivato in Italia per la prima volta nel 1990, ha poi fatto ritorno in Senegal per le vacanze diverse volte; stato espulso nel 2010 perchè trovato in possesso di orologi contraffatti, ed è rientrato in Italia nel 2013 attraverso la rotta balcanica.

Ha riferito di essere partito dal Senegal sia a causa di una lite ereditaria con i fratellastri, sia per migliorare la sua condizione economica, e di essere stato depredato, in sua assenza, dal fratello, di tutti i suoi beni, nonchè di avere in Senegal una moglie e cinque figli.

Si è visto respingere la richiesta sia di rifugiato, che di protezione internazionale. Ricorre con un motivo. Il Ministero si è costituito tardivamente e non ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La decisione impugnata ritiene che si tratti di una migrazione di natura puramente economica e rigetta la richiesta del ricorrente (anche quella di protezione umanitaria) asserendo che non v’è alcuna prova della vulnerabilità, che il ricorrente avrebbe dovuto allegare e non ha fatto; nè che costui corre pericoli alla propria salute in quanto risulta essersi curato con profitto in Italia, e non avendo documentato l’esistenza di altre cure in corso oltre a quelle già effettuate.

2.- Il ricorrente lamenta omesso esame di un fatto controverso. Denuncia invero erronea interpretazione delle norme sulla protezione internazionale, ma sotto il profilo di una carente istruttoria quanto ai pericoli per la salute.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente ricorda come, in astratto, la protezione umanitaria vada estesa anche ai migranti che, se rimpatriati, potrebbero subire pericoli o danni alla salute, dunque una compromissione di tale fondamentale diritto. Ed in tale avvertimento trova una giurisprudenza conforme di questa corte, secondo cui “in tema di protezione internazionale, nei casi in cui “ratione temporis” sia applicabile il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai fini del riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la vulnerabilità del richiedente può anche essere conseguenza di una seria esposizione al rischio di una lesione del diritto alla salute adeguatamente allegata e dimostrata, nè tale primario diritto della persona può trovare tutela esclusivamente nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 36 in quanto la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona, come quello alla salute, e al contempo di essere posti nella condizione di integrarsi nel paese ospitante anche attraverso un’attività lavorativa, mentre il permesso di soggiorno per cure mediche di cui al citato art. 36 si può ottenere esclusivamente mediante specifico visto d’ingresso e pagamento delle spese mediche da parte dell’interessato (Cass. 2558/2020).

Tuttavia, il motivo non può essere accolto, per due ragioni.

La prima è che la decisione impugnata non ha affatto omesso di valutare i pericoli che un rimpatrio o il diniego della protezione comporta per la salute, avendo invece (p. 5) ritenuto che, da un lato, la malattia che il ricorrente allegava risulta curata in Italia, e dunque non è più in essere e non si giustifica di conseguenza l’esigenza di soggiorno; per altro verso che costui non ha documentato di avere altre cure in corso, che il rimpatrio potrebbe pregiudicare. Ciò detto, non può neanche ritenersi questa ratio decidendi contraria alle norme sulla protezione internazionale.

Invero i rischi di compromissione del diritto alla salute vanno valutati non solo in relazione alla situazione del Paese di origine, o di rimpatrio, e dunque alla situazione sanitaria locale, ma anche alla patologia di cui il richiedente è afflitto ed alla possibilità di curarla o meno.

Nel caso presente, il ricorrente non allega alcunchè che possa dimostrare un rischio per la salute nel caso di rimpatrio, salva l’affermazione astratta che la corte avrebbe dovuto fare una più approfondita istruttoria su tale rischio.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

 

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