Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23402 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/10/2017, (ud. 07/04/2017, dep.06/10/2017),  n. 23402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14415-2013 proposto da:

P.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ISTRIA 2, presso lo studio dell’avvocato AGNESE IACOANGELI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO BRUNO;

– ricorrente –

contro

S.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN

TOMMASO D’AQUINO 75, presso lo studio dell’avvocato DONATELLA

GAUDIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE LEPORACE;

– controricorrente –

e contro

P.B., P.F.O., F.B.,

F.C., F.D., F.A.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 390/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, riunita nella camera di consiglio ex art. 380 bis, comma 1 del 7/4/2017, udita la relazione del consigliere Antonello Cosentino, osserva quanto segue.

P.G. ricorre contro S.L., e nei confronti dei coeredi P.F.O. (quale unica erede di P.O., deceduto incorso di causa), P.B., F.B., F.C., F.D. e F.A.M., per la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Catanzaro, confermando la sentenza del tribunale di Cosenza, ha rigettato la domanda con cui egli e gli altri coeredi di P.V. avevano rivendicato la proprietà dei beni relitti da P.V., previo disconoscimento del testamento (da loro ritenuto apocrifo) con cui il de cuius aveva istituito unico erede S.L..

Solo quest’ultimo ha depositato controricorso.

La Corte d’appello di Catanzaro ha ritenuto di non doversi discostare dalla decisione del tribunale di Cosenza, il quale si era adeguato alle risultanze di due delle tre consulenze tecniche di ufficio espletate nel primo grado di giudizio, peraltro corroborate dalla perizia del CIS di Messina, tutte concordanti nel ritenere l’autenticità della scheda testamentaria.

Col primo motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 191 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè, ancora, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. I ricorrenti, dopo aver ascritto alla c.t.u. posta a fondamento della decisione del tribunale numerose incongruenze, asseritamente dipendenti dall’ omissione di un esame approfondito della scheda e delle scritture di comparazione, assumono che la corte territoriale avrebbe errato nel limitarsi a fare propria la decisione di primo grado, senza motivare il diniego di una c.t.u. collegiale che potesse pronunciarsi con maggiore autorevolezza circa l’autenticità del testamento.

Col secondo motivo si censura l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, anche sotto il profilo dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per aver la corte distrettuale operato una scelta non adeguatamente motivata tra le varie consulenze difformi, recependo acriticamente la decisione del giudice di primo grado.

Col terzo ed ultimo motivo di censura si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c. anche sotto il profilo dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. I ricorrenti – muovendo dalla premessa di diritto che, nell’ipotesi di conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e colui che vanti diritti in forza del medesimo testamento, gravi sul secondo l’onere di provare la genuinità del testamento – assumono che tale principio sarebbe stato violato dal primo giudice (il quale aveva rigettato la domanda degli attori sul presupposto che la stessa non aveva “trovato valido sostegno probatorio”) e che la corte distrettuale non avrebbe posto rimedio all’errore.

I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente e vanno disattesi perchè propongono questioni di merito; la corte distrettuale ha dato adeguatamente conto delle ragioni per cui ha ritenuto attendibile la valutazione della CTU C., senza necessità di perizia collegiale.

Al riguardo va qui ribadito che, come questa Corte ha più volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (anche nella formulazione anteriore alle modifiche recate dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile ratione temporis nel presente procedimento) non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata,contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Va inoltre ricordato che questa Corte ha già chiarito, per un verso, che il motivo di ricorso con cui ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vecchio testo, si denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (sent. n. 2805/11); per altro verso, che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (sent. n. 16499/09).

Il terzo va disatteso perchè muove da una premessa in dritto superata dalle Sezioni Unite di questa Corte, che, con la sentenza n. 12307/12, hanno affermato che la parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura e grava su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo.

Il ricorso va quindi, conclusivamente, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’importo D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater, D.Lgs. n. 546 del 1992.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, D.Lgs. n. 546 del 1992 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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