Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2340 del 31/01/2018


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 2340 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: PORRECA PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 13156-2014 proposto da:
MARZANO

NICOLA

MRZNCL52D13A662N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE PASTEUR 5, presso lo
studio

dell’avvocato

rappresentato

e

difeso

CHRISTIAN

COLLOVA’,

dall’avvocato

ANGELO

BRACCIODIETA giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

ALANZA MASSIMO, ALANZA GIOVANNI, ALANZA DOMENICO,
ALANZA LUCIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
COSSERIA 2 C/0 STUDIO PLACIDI, presso lo studio

Data pubblicazione: 31/01/2018

dell’avvocato MARINO LIUZZI, che li rappresenta e
difende giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 27/2014 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 13/01/2014;

udienza del 10/11/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO
PORRECA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del l ° e 2 ° motivo del ricorso, accoglimento
del 3 ° ;
udito l’Avvocato ANGELO BRACCIODIETA;
udito l’Avvocato MARINO LIUZZI;

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FATTI DI CAUSA
Anna Roberti conveniva in lite la Casa di Cure Riunite s.r.l. e l’oncologo
Nicola Marzano, esponendo che, in quanto affetta da neoplasia, il 16 luglio del
1990 era stata sottoposta, presso la clinica Mater Dei di Bari, di proprietà della
suddetta società, a un ciclo di chemioterapia, subendo, a causa di una
fuoriuscita di liquido infuso, ustioni chimiche, di secondo e terzo grado, alla

trattamento era il dottor Marzano, il quale era venuto meno ai suoi obblighi di
vigilanza e, comunque, aveva delegato persona inesperta a sostituirlo,
chiedeva il ristoro dei danni, precisando di aver trattenuto la somma di 12
milioni di lire versata dalla Tirrena Assicurazioni, in conto del maggior credito.
Il convenuto negava la propria responsabilità deducendo, in particolare,
che lo stravaso si era verificato dopo che, per ferie, aveva lasciato l’ospedale
alle ore 14 di quel giorno.
Il giudizio, per quanto qui rileva, era proseguito da parte di Domenico
Alanza, Giovanni Alanza, Lucia Alanza, Massimo Alanza, eredi dell’attrice nelle
more deceduta, nei confronti del solo Marzano, che veniva condannato dal
tribunale di Bari al pagamento della somma, già rivalutata all’attualità, di
50.000 euro.
La corte di appello pugliese rigettava l’appello proposto dal sanitario,
ritenendo che questi non avesse provato, come suo onere, che l’insuccesso
dell’intervento era dipeso da un evento imprevedibile ovvero inevitabile con la
diligenza da lui esigibile, e, in ogni caso, di aver affidato ad altro sanitario
l’incarico di subentrare nel rapporto di cura interrotto per ferie.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione Nicola Marzano affidando
le sue ragioni a tre motivi.
Resistono con controricorso Domenico Alanza, Giovanni Alanza, Lucia
Alanza, Massimo Alanza.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE

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mano e all’avambraccio destro. Premesso che il medico preposto al

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 61, 115, cod. proc. civ., 2697, 1218, cod. civ., poiché
non era stato provato che, al momento dell’evento, il Marzano fosse ancora in
servizio. Anzi, dalle consulenze tecniche officiose percipienti disposte in sede di
merito, era emerso che, stante l’ora di inizio del trattamento, nel momento del
fatto il Marzano non poteva essere ancora in servizio, avendolo lasciato la

chiusura della cartella clinica, non riferibile allo stesso a differenza di quella di
apertura. Nella prospettiva sollevata, in ogni caso, non era il Marzano che
avrebbe dovuto provare il corretto affidamento della paziente col subentro di
altro idoneo medico, ma la vittima a dover provare, come non era stato, che il
rapporto di cura fosse in essere al momento in questione, trattandosi di fatto
costitutivo della sua pretesa.
Con il secondo motivo si prospetta, anche in correlazione a quanto
dedotto nel primo motivo, l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso in
relazione alla citata sottoscrizione del referto dell’evento dannoso nel diario
clinico della Roberti, e al menzionato momento in cui ebbe a verificarsi
l’infortunio, quale accertati anche in sede di consulenza tecnica, oncologica e
grafologica.
Con il terzo motivo sui prospetta il vizio di ultrapetizione perché la corte
territoriale aveva aggiunto alla somma liquidata dal giudice di prime cure, di
50.000 euro, l’acconto ricevuto dall’assicurazione, invece di sottrarlo
trattandosi di liquidazione complessiva, senza che vi fosse specifica domanda.
2. I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per
connessione, sono infondati.
Il profilo dirimente attiene all’onere della prova cui è sottesa la
configurazione della responsabilità del medico.
Nella fattispecie, una volta provato l’instaurarsi del rapporto di cura da
contatto sociale, era il medico che avrebbe dovuto dimostrare, nella cornice
dell’art. 1218, cod. civ., l’idoneo affidamento ad altro professionista della
prosecuzione di quel rapporto, avendo interrotto il proprio in conseguenza del
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struttura sanitaria alle ore 14, come confermato anche dalla sottoscrizione di

regime di ferie riferibile al contratto di lavoro. La sentenza di appello fa
sinteticamente ma correttamente riferimento all’obbligo in parola. Un obbligo
che, sia pure nel rispetto dell’organizzazione lavorativa della struttura
sanitaria, non può che gravare sul debitore della prestazione, inerendo alla
correttezza del suo adempimento finale.
Ne deriva l’infondatezza dei suddetti motivi.

Il ricorrente trascrive, in ossequio al principio di autosufficienza, la parte
rilevante della decisione gravata. Ferma l’ammissibilità del motivo, anche per
come specificatamente formulato, trattandosi di error in procedendo, questa
Corte ha il potere di esaminare gli atti processuali delle fasi di merito che
risultano rilevanti in parte qua ai fini del decidere. Al riguardo va rilevato che il
tribunale, cui era stata rivolta una domanda di liquidazione specificata in 93
milioni di lire circa, detratto l’acconto di 12 milioni di lire, sul totale quantificato
di 105 milioni di lire circa, aveva liquidato il complessivo danno all’attualità in
50.000 euro, ossia 96.813.500 lire, al netto dei soli interessi. Ometteva di
dettagliare la sorte di quanto trattenuto pacificamente in acconto, risolvendosi,
però, a determinare il complessivo danno ritenuto da liquidare. Non resta che
concludere nel senso che, erroneamente, l’acconto non era stato detratto. La
corte di appello, investita sul punto dal Marzano, ha affermato, motivando, di
ritenere congrua la liquidazione in aggiunta a quell’acconto. Il giudice di
appello, dunque, sommando quest’ultimo alla liquidazione effettuata in prime
cure, ha riformato la sentenza del tribunale in senso favorevole agli appellati
senza loro gravame, così errando per ultrapetizione.
Alla luce delle memorie dei ricorrenti in ordine al fatto che l’acconto
riguardava i rapporti con la casa di cura assicurata, va sottolineato per un
verso che tale questione risulta nuova, per altro verso che nella stessa
domanda attorea si domandava la sua decurtazione.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti, al riguardo può decidersi
nel merito, come da dispositivo che segue.
3. Spese compensate per la reciproca soccombenza.
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2.1. Il terzo motivo è invece fondato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo e,
decidendo nel merito, decurta dalla liquidazione del danno in favore degli
intimati costituiti, di 50.000,00 euro, la somma di euro 6.197,48.
Spese compensate.
Il Collegio ha deliberato la motivazione semplificata.

Il consigliere estensore
Dott. Pa61oWorreca

Così deciso in Roma il giorno 10 novembre 2017.

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