Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2340 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. III, 29/01/2019, (ud. 08/06/2018, dep. 29/01/2019), n.2340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15761/2016 proposto da:

V.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIULIANO MIGLIORATI giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA POLICLINICO (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante pro tempore il Direttore Generale Dott.

A.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA (già CARIGE ASSICURAZIONI SPA), in

persona del procuratore speciale Dott. A.C.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA PATRIZI 13, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA GEMMA, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale a margine del controricorso;

CASA DI CURA S. ANNA – POLICLINICO CITTA’ DI POMEZIA SRL, in persona

del legale rappresentante Dott. M.E. Presidente,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MISURINA 80, presso lo studio

dell’avvocato MARIA ESTER BALDUINI, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

D.M.M., UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, MILANO ASS.NI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3085/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 3 e 4 motivo

del ricorso;

udito l’Avvocato MAURIZIO FILIACCI per delega orale; udito l’Avvocato

GIUSEPPE CILIBERTI;

udito l’Avvocato MARIO AVERSA per delega orale.

Fatto

FATTI DICAUSA

1. V.D., il 26/7/2007 promuoveva un’azione di risarcimento del danno biologico innanzi al tribunale di Roma deducendo che le strutture ospedaliere e il medico che hanno prestato impiantato una protesi peniena sulla sua persona per ovviare a una situazione di impotenza “coeundi”, evidenziatasi subito dopo un sinistro stradale, abbiano reso le prestazioni mediche con negligenza e superficialità, soprattutto in relazione alla causa psicologica dell’impotenza che lo aveva colpito, non prontamente diagnosticata, che ha comportato la sottoposizione a un iter terapeutico farmacologico e chirurgico lungo (durato circa 12 anni), penoso e inutile, in assenza di adeguato consenso informato. Inoltre, la scelta terapeutica di adottare una protesi peniena sarebbe stata errata e comunque non correttamente eseguita.

2. Sia il Tribunale adito in primo grado che la Corte d’appello, adita il 27/08/2011, hanno ritenuto infondata la domanda risarcitoria, sulla base della CTU acquisita che ha descritto la complessità del caso che ha richiesto l’intervento di numerosi specialisti.

3. Con ricorso per cassazione notificato il 17 giugno 2016 V.D. impugna la sentenza numero 3085 del 2015, pubblicata 19 maggio 2015, con la quale la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale di Roma, deducendo quattro motivi di ricorso. Gli intimati hanno notificato controricorso. L’Azienda Policlinico (OMISSIS) ha depositato memoria. Il Pubblico Ministero concludeva per l’accoglimento del terzo e quarto motivo.

Diritto

RAGIONI E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione in relazione agli artt. 2697,1218 c.c., art. 1176 c.c., comma 2, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in ordine alla ripartizione degli oneri probatori in materia di responsabilità professionale medica e, in particolare, che l’onere probatorio sull’adeguatezza del comportamento incombe sul medico e sulla struttura sanitaria, trattandosi di responsabilità contrattuale, e che i giudici di merito non avrebbero considerato tale aspetto.

2. Il motivo è inammissibile in quanto le critiche attengono all’iter terapeutico, giudicato invece corretto dal ctu, sicchè, per come prospettato, il motivo si risolve in una sollecitazione a rivalutare una risultanza istruttoria. La ratio decidendi che si coglie nella pronuncia impugnata è, peraltro, nel senso che il paziente, dopo la diagnosi del disturbo, di origine post-traumatica e psicologica, si è volontariamente sottratto ai controlli prescritti e ha fatto abuso di farmaci che hanno peggiorato le sue condizioni, rivolgendosi altrove anche dopo l’innesto della protesi, resasi infine necessaria per risolvere il problema di impotentia coeundi. Ne segue che la critica è anche priva di correlazione alla motivazione della sentenza impugnata.

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo controverso del giudizio in relazione alla lacunosità ed erroneità della relazione del CTU più volte denunciata nei precedenti gradi di giudizio.

4. Il motivo è inammissibile. Per essere il motivo dedotto coerente con il nuovo paradigma dell’art. 360, n. 5, in coerenza con la nuova formulazione della norma processuale, che ammette il sindacato di legittimità su fatti, oggetto di discussione, la cui rilevanza non è stata considerata dal giudice (e che, inoltre, abbiano valore decisivo), il “fatto omesso” avrebbe dovuto essere specificamente individuato e si sarebbe dovuto precisare se e dove nel giudizio di merito esso fosse stato introdotto: ciò, nel rispetto dell’onere di indicazione specifica cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e con l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sì da permettere poi sulla base di tale precisa indicazione alla Corte di verificare se la circostanza che si assume essere stata non considerata, nonostante sia stata oggetto di discussione tra le parti, si connoti come realmente decisiva ai fini della pronuncia (si vedano, in tal senso i principi di diritti affermati dalle sentenze delle SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, che qui si intendono richiamati e cui non si conforma la struttura illustrativa del motivo); inoltre, i vizi motivazionali non possono consistere nella difformità o incongruità di giudizio sull’apprezzamento dei fatti e delle prove espletato dal Giudice di merito (v. Cass. n. 18341 del 2013) e nella sola omessa considerazione di una risultanza istruttoria concernente un fatto che sia stato esaminato (sempre le citate SS.UU. del 2014). Il motivo, lo si ripete, non viene illustrato in modo conforme ai ricordati principi di diritto.

5. Il terzo motivo riguarda un vizio che viene denunciato nel contempo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e per violazione dell’art. 123 c.p.c., n. 4, in ordine all’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso in relazione alla mancata acquisizione di un valido consenso informato (p. 9 della sentenza di secondo grado). Assume il ricorrente che i Giudici territoriali, pur riconoscendo la genericità del modello di consenso informato sottoscritto dal paziente prima dell’intervento di installazione della protesi peniena, hanno errato nel ritenere che egli avesse comunque ottenuto tutte le informazioni necessarie in vista dell’operazione.

6. Anche in questo caso, in disparte l’evidente contraddizione nel dedure contemporaneamente l’omesso esame ai sensi dell’art. 360 , nuovo n. 5 e nel contempo la mancanza della motivazione, la sostanza dell’illustrazione del motivo, fermo che essa stessa evoca una motivazione esistente, si concreta in una sollecitazione a rivalutare le emergenze di fatto rilevanti e, dunque, si pone come motivo che non risulta articolato nei termini indicati dalla citata giurisprudenza a proposito del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Non si deduce l’omesso esame di un fatto, ma si lamenta che siano state mal valutate risultanze istruttorie.

7. Con il quarto motivo il ricorrente, ponendo a fondamento la medesima circostanza di cui al terzo motivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deduce che la Corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione di varie disposizioni normative e di deontologia medica in tema di consenso informato, da prestarsi in via preventiva e in forma adeguata alle circostanze del caso.

8. Il motivo è inammissibile perchè induce la Corte di legittimità a riesaminare, più che norme, circostanze di fatto già ampiamente valutate dai Giudici. I Giudici di merito, scrutinando tutte le circostanze del caso, con considerazioni incensurabili in tale sede perchè frutto di una coerente valutazione del materiale probatorio acquisito, hanno constatato che il ricorrente aveva acquisito piena consapevolezza del suo stato di salute nel sottoporsi all’intervento chirurgico e dei rischi ad esso connessi, posto che la peculiarità del percorso clinico per anni seguito imponeva la soluzione della protesi, una volta constatato che le cure farmacologiche non potevano più avere effetto. Inoltre, i Giudici hanno rilevato che il paziente, pur dopo l’intervento, che era riuscito, si era rivolto altrove per rimuovere la protesi dislocatasi, evento frequente di facile soluzione. Ragion per cui sono emerse circostanze idonee a far ritenere che, prima dell’intervento subito nel 2004, il paziente avesse sottoscritto un modulo di consenso informato secondo i canoni di deontologia professionali (ex artt. 33 e 35 Cod. deontologia medica, applicabili ratione temporis), posto che il consenso non solo era esplicitato in un documento sottoscritto dal paziente, ma era stato anche consapevolmente rilasciato per mezzo di un’informazione dimostratasi negli anni “adeguata”, scaturita da “colloqui” esaustivi “sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate” che, tuttavia, si sono manifestate anni dopo, e per cause diverse, non imputabili ai medici che lo hanno seguito.

9 Conclusivamente, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese,come di seguito liquidate.

PQM

1. Dichiara inammissibile il ricorso;

2. Condanna il ricorrente alle spese di lite, liquidate in Euro 4.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, le spese forfetarie al 15% e gli accessori come per legge;

3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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