Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23399 del 24/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/08/2021, (ud. 31/05/2021, dep. 24/08/2021), n.23399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9961-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RETE RINNOVABILE SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RUSSO CORVACE,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO EMMA e

LAURA TRIMARCHI;

TERNA RETE ELETTRICA NAZIONALE SPA, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

RUSSO CORVACE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MARCO EMMA e LAURA TRIMARCHI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 473/2017 della COMM.TRIB.REG.LAZIO, depositata

il 10/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/05/2021 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. CARDINO ALBERTO che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza n. 473/17, depositata il 10/2/2017, la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate e confermava la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto i ricorsi proposti da Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a. e Rete Rinnovabile s.r.l., contro l’avviso con cui l’Ufficio aveva liquidato imposte di registro, ipotecaria e catastale, in relazione all’atto stipulato tra le due società, titolato dalle parti contraenti come contratto di affitto, relativo ad un terreno destinato alla costruzione ed esercizio di un impianto fotovoltaico, e riqualificato dall’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come contratto di costituzione di diritto di superficie.

La CTR, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per mancata presentazione di istanze di rimborso da parte della contribuente, rilevava che il contratto intercorso tra Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p,A. e Rete Rinnovabile s.r.l., interpretato secondo la comune intenzione delle parti, e per quanto emerge dal suo insieme e dalle singole clausole contrattuali, presenta il contenuto e gli effetti propri di un contratto di affitto/locazione, sia pure di natura atipica stante la derogabilità della relativa disciplina, costitutivo di un diritto personale di godimento, e non di un contratto traslativo di un diritto reale di superficie, come invece ritenuto dall’Amministrazione finanziaria.

Non riteneva determinanti, ai fini della diversa qualificazione del contratto tassato, il peculiare contenuto delle clausole negoziali previste dagli stipulanti, come appunto la previsione della risoluzione anticipata, dell’obbligo di preventiva autorizzazione del progetto, di eventuali varianti e della cessione del contratto, nonché della previsione di un canone trimestrale, della risoluzione anticipata in caso d’inadempimento, delle spese straordinarie a carico dell’affittuario/conduttore, ed infine l’acquisto gratuito, da parte di Terna, dell’impianto fotovoltaico alla scadenza del contratto, anche in ragione degli interessi pubblici ad esso sottesi.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui resistono con controricorso le società contribuenti.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Sono state depositate memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

L’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (T.U.R.), nonché degli artt. 952,953,1571,1576,1587,1590 e 1615 c.c., per avere la CTR erroneamente qualificato l’atto negoziale in discussione come contratto di affitto/locazione e non come contratto costitutivo del diritto reale di superficie.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di giudicato interno in punto di vizio di motivazione dell’avviso di liquidazione impugnato, questione estranea alla ratio decidendi della sentenza di appello, la quale sostituisce quella di primo grado, incentrata piuttosto sugli accertati “difetti di disamina e di valutazione” degli elementi contenuti nel contratto intercorso tra le società Terna – Rete Elettrica Nazionale e Rete Rinnovabile, inficianti l’operazione ermeneutica volta alla individuazione della volontà manifestata dai contraenti, al di là del dato puramente testuale del negozio, difetti che si risolvono in carenze sostanziali dell’atto impugnato e che attengono al merito della qualificazione, essendo la rilevata lacunosità della motivazione dell’avviso chiaramente riferita alla circostanza che era mancata da parte dell’Ufficio “un’analisi adeguata del contratto e delle disposizioni in esso contenute”, argomenti sviluppati solo in corso di causa.

E’ stata, dunque, respinta implicitamente dalla CTR l’eccezione concernente “l’inammissibilità dell’appello per non aver contrastato una delle rationes decidendi (e precisamente quella che riteneva l’avviso di liquidazione del tutto carente di motivazione)” sollevata dalle parti appellate.

La sentenza d’appello, anche se confermativa di quella di primo grado, si sostituisce totalmente ad essa, per cui la portata della decisione va interpretata secondo i criteri ed i limiti della nuova motivazione della sentenza di appello (Cass. n. 352/2017).

La reiezione del gravame erariale si basa su argomentazioni che – come già detto attengono al merito della controversia, piuttosto che alla validità formale dell’atto impositivo, che era stato impugnato dalla contribuente anche sotto tale profilo (questione in appello non abbandonata) ma non costituisce una distinta ed autonoma ratio decidendi in grado di sorreggere la decisione sul piano logico e giuridico, i cui presupposti sono fatti oggetto di approfondita disamina.

Peraltro, la formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza, per mancata impugnazione, può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi, fondati cioè su distinti presupposti di fatto e di diritto, frutto di accertamento da parte del giudicante, non certo su singoli passaggi motivazionali della pronuncia giudiziale, con finalità semplicemente rafforzativa della decisione.

A seguito della presentazione dell’atto per la registrazione, l’Ufficio provvede al suo inquadramento in una delle categorie individuate dalla Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e suddivise in relazione agli effetti che sono in grado di produrre o del rispettivo nomen iuris, prevedendo nel contempo aliquote d’imposta differenziate, diversi potendo essere anche i criteri di determinazione dell’imponibile, e la norma che regola tale attività è il D.P.R. n. 131 del 1986 art. 20.

Va subito precisato che le questioni di incostituzionalità sollevate da questa Corte in merito al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e risolte dalla Corte Costituzionale con due recenti pronunce (sentenze n. 158/2020 e n. 39/2021) non incidono direttamente sulla fattispecie in esame, per la quale non è in contestazione il collegamento con altri atti o l’utilizzo di elementi extra testuali per l’opera di qualificazione negoziale (oggetto dei giudizi di costituzionalità), ma essenzialmente l’indagine sulla corretta interpretazione dell’atto negoziale tassato.

Ciò non di meno, appare utile ricostruire il novellato quadro normativo di riferimento, così come si è andato chiarendo per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale, avuto riguardo alla individuazione dell’esatta portata e dei limiti dei poteri dell’Amministrazione finanziaria, onde applicare la tariffa più rispondente al contenuto del contratto ed alla volontà delle parti.

Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 dispone che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Il testo attuale della disposizione è frutto delle modifiche introdotte dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2) (di “interpretazione autentica” della L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084), che recano l’espressa previsione della irrilevanza degli elementi extra testuali e del collegamento negoziale.

Il legislatore ha voluto imporre una interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, e per i suoi effetti giuridici, escludendo qualsiasi operazione ermeneutica della norma in chiave antielusiva che provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, consentendo all’Amministrazione finanziaria di operare, appunto, in funzione antielusiva, senza peraltro l’applicazione della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, svincolandosi da ogni riscontro probatorio di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al contribuente ogni legittima possibilità di pianificazione fiscale.

E come già affermato da questa Corte, “La detta condotta elusiva non potrà comunque ravvisarsi nella mera scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale.” (Cass. n. 11023/2021).

Tanto premesso, la ricorrente Agenzia delle entrate contesta la correttezza dell’interpretazione del contratto cne ha portato il giudice di secondo grado a qualificare l’atto, come recante un contratto di affitto “di terreni finalizzati alla costruzione di un parco fotovoltaico”, o piuttosto – ma senza rilievo ai fini fiscali qui considerati -come “tipo anomalo di locazione, in cui il locatario concede il godimento di un terreno, con facoltà di farvi delle costruzioni di cui godrà precariamente come conduttore”, all’uopo evidenziando la sottovalutazione di alcune “anomalie (…) rispetto alla causa tipica del contratto di locazione/affitto”, segnatamente, individuate nella concessione dello ius aedificandi sul terreno affittato, negli oneri di manutenzione straordinaria posti a carico dell’affittuario, nell’acquisto della proprietà degli impianti fotovoltaici da parte del proprietario del terreno al termine del rapporto contrattuale.

Orbene, il giudice di merito, cui spetta ia qualificazione dei negozi giuridici, ha analizzato le motivazioni dell’accertamento dell’Ufficio relativamente alla operata qualificazione dell’atto tassato, escludendone nella fattispecie la decisività, e congruamente motivando circa la non univocità degli elementi addotti dall’Agenzia delle entrate per un’interpretazione dell’atto diversa da quella voluta dalle parti contraenti, per cui la censura formulata in ricorso sotto il profilo della violazione di norme di legge (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nonché artt. 952,953,1571,1576,1587,1590 e 1615 c.c.) si infrange su un impianto motivazionale della sentenza impugnata la cui tenuta non è messa in discussione, ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivata.

Va, in proposito, osservato come costituisca principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e s.s., e sulla (in) coerenza e (il) logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, Cass. n. 2074/2002).

In altri termini, l’indagine ermeneutica e’, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per difetto della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465/2015; n. 7280/2019).

Orbene, la CTR del Lazio ha ritenuto pienamente compatibile la fattispecie contrattuale tassata con il “tipo” dell’affitto, ma anche con la figura della locazione atipica, che ne condivide la natura obbligatoria, perché la prevista manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto fotovoltaico a carico dell’affittuario, il quale ne mantiene la proprietà per tutta la durata (venti anni) del rapporto, ed anticipatamente risolvibile, così come la pattuita corresponsione di un corrispettivo periodico, non stravolgono la funzione causale dello schema negoziale prescelto, neppure rilevando, in senso contrario, l’attribuzione del diritto (personale) di edificare e di mantenere un impianto fotovoltaico sull’area in questione.

Ed allora, in luogo della mera riproduzione, nel ricorso per cassazione, degli stessi argomenti svolti nei gradi di merito con i quali aveva inteso sostenere la correttezza dell’interpretazione erariale del contenuto e dell’atto presentato alla registrazione, in ragione degli effetti giuridici oggettivamente prodotti, l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto attaccare la decisione in modo diverso e più specifico, stante l’onere di indicare i canoni ermeneutici violati (artt. 1362 c.c. e s.s.), e, soprattutto, il modo in cui si è concretamente realizzata la pretesa violazione, non essendo sufficiente contrapporre, in virtù del richiamo al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, una interpretazione diversa da quella criticata.

I rilievi formulati nel ricorso avrebbero dovuto essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla integrale trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea

applicazione della disciplina invocata (Cass. n. 22889/2006; n. 25728/2013; n. 28319/2017).

Ciò, viceversa, è mancato essendosi la ricorrente limitata ad obiettare che, sul piano civilistico dell’autonomia privata (art. 1322 c.c.), il contratto soggetto a registrazione ben può essere qualificato come “contratto (atipico) di locazione”, e che viceversa, sul piano tributario, l’atto non può non essere qualificato, in applicazione del citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, “come contratto concessivo di un diritto di superficie ed, in base a tale qualificazione, scontare l’imposta di registro” (aliquota 15% al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, comma III, tariffa allagata), ipotecaria (aliquota 2% al D.P.R. n. 347 del 1990, art. 1, tariffa allegata) e quella catastale (aliquota 1% D.P.R. n. 347 del 1990, art. 10).

A parere della ricorrente Agenzia delle entrate, in sede di qualificazione negoziale a fini impositivi “i concetti privatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono di fronte alle esigenze antielusive a semplici elementi della fattispecie tributaria”.

L’argomentazione della difesa erariale non appare concludente.

Proprio in relazione al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, corollario anch’esso del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost., questa Corte ha più volte affermato che le regole civilistiche di interpretazione del contratto ex art. 1362 c.c. e s.s., incentrate sulla ricerca della comune intenzione delle parti, non risultano, di per sé sole, dirimenti in ambito fiscale, come fatto palese proprio dalla formulazione del più volte menzionato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, dal quale si ricava la preminenza degli oggettivi effetti che la regolamentazione negoziale produce, a prescindere dalla volontà delle parti di produrli ovvero dal loro accordo per produrre un determinato risultato fiscale (Cass. n. 7637/2018; n. 2007/2018; n. 19752/2013; n. 10660/2003, n. 14900/2001).

Tuttavia, l’interpretazione dell’atto prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non può basarsi sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali, nonché dagli elementi comunque desumibili dall’atto presentato alla registrazione, e neppure può confondere gli effetti giuridici con quelli economici dell’operazione negoziale, essendo la finalità antileusiva, pure evocata dalla ricorrente, profilo affatto estraneo alla disposizione in esame.

L’azione accertatrice, ove intenda perseguire siffatta finalità, deve essere attuata mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia.

Un’ulteriore annotazione si impone riguardo al profilo antielusivo di cui sopra, appena abbozzato nel ricorso dell’Agenzia delle entrate, e cioè che esso non può identificarsi sic et simpliciter con il risparmio fiscale.

Sotto tale profilo, non risulta adeguatamente confutata l’affermazione del giudice di appello secondo cui se un impianto fotovoltaico può essere considerato alla stregua di una costruzione, si deve ritenere che il programma negoziale con il quale il proprietario di un terreno intenda concedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo una tale costruzione, con il diritto per il cessionario di mantenerne la proprietà, la disponibilità ed il godimento e di trasferirlo (anziché rimuoverlo) alla fine del rapporto in favore del proprietario, può astrattamente essere perseguito attraverso un contratto ad effetti reali e, precisamente, attraverso un contratto costitutivo del diritto reale di superficie.

Neppure risulta confutata la differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra il diritto reale d’uso e il diritto personale di godimento è costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del primo, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto.

L’opzione ermeneutica della CTR del Lazio trova senz’altro conforto nell’affermazione ulteriore, che si legge nella impugnata sentenza, circa il fatto che “la concessione (da parte di Terna quale concessionario delle attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica nel territorio nazionale e gestore e proprietario della rete elettrica nazionale) di un diritto di superficie a Rete Rinnovabile avrebbe determinato un vincolo o una restrizione sul terreno, un asset al momento improduttivo, incompatibile con il pubblico interesse al quale esso è destinato”.

Ne’, d’altro canto, v’e’ ragione per negare alle parti la possibilità di scegliere, nell’esercizio dell’autonomia privata riconosciuta dall’art. 1322 c.c., se perseguire risultati socioeconomici analoghi, anche se non identici, mediante contratti ad effetti reali o mediante contratti ad effetti obbligatori, fattispecie negoziali giuridicamente distinte, anche facendo ricorso a figure contrattuali atipiche, per interessi meritevoli di tutela (cfr. Cass. S.U. n. 8434/2020 e giurisprudenza di legittimità ivi richiamata).

Infine, qualunque forma di abuso del diritto ed elusione fiscale, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, è estranea al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e, come già detto, non può essere ricondotta alla ermeneutica dell’atto da registrare.

Sussistono giustificate ragioni, avuto all’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale, per disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso. Dichiara compensate tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenuta con collegamento da remoto, il 31 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021

 

 

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