Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23397 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. III, 26/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 26/10/2020), n.23397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32613/2019 proposto da:

N.Y., elettivamente domiciliato in Roma Via Ippolito Nievo 61

Sc. D, presso lo studio dell’avvocato Rossella De Angelis e

rappresentato e difeso dall’avvocato Natale Arculeo;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO; COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE MILANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3790/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – Con ricorso affidato a due motivi, Y.N., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Milano, resa pubblica in data 18 settembre 2019, che ne rigettava l’appello proposto avverso la decisione del Tribunale di Milano, che, a sua volta, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, rigettava la richiesta di protezione internazionale volta ad ottenere, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.

1.1. – A sostegno dell’istanza il richiedente aveva dedotto di aver lasciato il suo Paese d’origine (Nigeria) poichè, una volta venuto meno il padre, non essendo economicamente in grado di affrontare il viaggio per raggiungere in Gambia la madre e la sorella, decideva di passare prima per il Niger e poi, attratto da promesse di maggiori guadagni, per la Libia, ove però era rimasto vittima di tratta di braccianti; una volta liberato da tale organizzazione, finiva nuovamente nella mani di un nuovo trafficante, finchè non veniva imbarcato per l’Italia.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) le dichiarazioni rese dal richiedente asilo, oltre a presentare contraddizioni in relazione all’anno di arrivo nel Paese d’accoglienza(2011-2015), non erano riconducibili ad alcuna delle situazioni previste per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) poichè di natura personale ed economica; b) non sussistevano neanche i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al citato art. 14, lett. c) poichè, come evidenziato dalla voce “sicurezza” del rapporto “viaggiare sicuri” del sito internet della Farnesina, vi era una situazione di violenza indiscriminata solo nel nord-est della Nigeria, assente invece nella zona centrale, dalla quale proveniva il richiedente; d) non sussistevano neanche i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo indicato quale situazione di vulnerabilità la sua nazionalità gambiana, senza indicare episodi di penalizzazione o discriminazione per tale differenza di origine e culturale, con conseguente irrilevanza dell’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglimento.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Il ricorso è stato notificato anche alla Commissione territoriale, rimasta, anch’essa, soltanto intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio, laddove la Corte territoriale ha negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari senza valutare in concreto nè le condizioni di vita in cui il richiedente si troverebbe in caso di rimpatrio – in quanto solo “formalmente cittadino nigeriano iure soli, ma… nato e cresciuto in una famiglia Gambiana e dunque considerato culturalmente estraneo e straniero” in Nigeria -, nè il grado di integrazione raggiunto, dallo stesso, nel Paese d’accoglienza e senza effettuare alcuna valutazione comparativa tra l’una e l’altra.

1.1. – Il motivo è infondato.

Nella specie, la Corte territoriale ha escluso di poter riconoscere la protezione invocata avendo il ricorrente ricondotto la propria vulnerabilità soggettiva alla sua nazionalità gambiana, senza allegare alcuna circostanza o episodio di emarginazione o penalizzazione subito proprio in virtù della differente cultura tra il Gambia e la Nigeria; circostanze ed episodi che, neppure, in questa sede vengono, d’altronde, indicati.

Pertanto, una volta esclusa la sussistenza di una condizione di particolare vulnerabilità del ricorrente, il giudice di appello ha – in armonia con i principi enunciati da questa Corte (Cass. n. 17072/2018, Cass., S.U., n. 29459/2019) – ritenuto non dirimente il livello di integrazione socio-lavorativa raggiunto nel Paese di accoglienza, operando quest’ultimo quale fattore concorrente e non esclusivo ai fini della concessione della protezione umanitaria.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per aver la Corte milanese negato la protezione sussidiaria, di cui al citato art. 14, lett. c) sulla base di una indagine superficiale e generica della situazione di sicurezza della Nigeria, fondata esclusivamente sulla fonte informativa non accreditata “viaggiaresicuri”, non sottoposta al contraddittorio tra le parti.

2.1. – Il motivo è fondato.

E’ orientamento di questa Corte che, in tema di protezione sussidiaria al D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, vada esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, a nulla rilevando, a tal fine, la ritenuta non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass. n. 14283/2019).

Difatti, la protezione sussidiaria, nel caso di cui all’art. 14, lett. c), cit., va riconosciuta per il sol fatto che il richiedente provenga da territorio interessato da situazioni di violenza indiscriminata: situazioni in cui il livello del conflitto armato in corso è tale che l’interessato, rientrando in quel paese o in quella regione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17 febbraio 2009, C465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, C 285/12, Diakitè; cfr. inoltre: Cass. n. 25083/2017 e Cass. n. 13858/2018).

La forma di protezione di cui all’art. 14, lett. c) prescinde, quindi, da fatti che attengano a una vicenda individuale che il richiedente abbia l’onere di allegare e provare, essendo il relativo fatto costituivo, come detto, la situazione di pericolo generalizzato dato dalla violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato nel paese o nella regione in cui l’istante deve essere rimpatriato.

La prova di tale situazione, in difetto di attivazione della parte, va acquisita d’ufficio dal giudice: come è stato efficacemente rilevato da questa Corte, quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Cass. n. 17069/2018).

Dunque, fermo che, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente, al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312/2019).

Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha adeguatamente assolto ai propri doveri di cooperazione istruttoria nei termini specificati, essendosi inammissibilmente limitata a richiamare (peraltro in modo generico e del tutto laconico), quale fonte informativa i contenuti del sito “viaggiaresicuri”, i quali – se non corroborati da altre pertinenti e recenti fonti informative – sono per sè inidonei (per le preminenti finalità di assistenza al turismo che connota la fonte) a fornire informazioni pienamente adeguate e attendibili sulle effettive situazioni di criticità del tessuto sociale, politico ed economico dei territori considerati (nella specie, lo Stato nigeriano di Nasawara, di provenienza del ricorrente), e in ogni caso di per sè insuscettibili di escludere il ricorso dei presupposti necessari ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

3. – Ne consegue il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo motivo.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo motivo e accoglie il secondo motivo di ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

 

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