Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23394 del 19/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/09/2019, (ud. 13/11/2018, dep. 19/09/2019), n.23394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17268/2014 proposto da:

ENTE AUTONOMO VOLTURNO S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI

5, presso lo studio dell’avvocato ENRICO SOPRANO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

R.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8367/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/12/2013 R.G.N. 3650/2009.

Fatto

RILEVATO

che la Corte territoriale di Napoli, con sentenza depositata in data 30.12.2013, ha respinto l’appello principale interposto da R.M., nei confronti della Circumvesuviana S.r.l. (ora Ente Autonomo Volturno S.r.l.), avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda del lavoratore, diretta ad ottenere la dichiarazione del proprio diritto alla rivalutazione dell’indennità “agente unico”, in considerazione degli aumenti retributivi riguardanti la paga di riferimento (di conducente di linea, agente di movimento, operatore di esercizio), in applicazione del criterio di computo di cui alla Delib. Giunta Regionale 2 dicembre 1986, sia per le prestazioni rese in unico turno, sia per quelle rese in doppio turno, con condanna della società al pagamento delle differenze retributive spettanti, oltre al loro accantonamento nella base di calcolo utile ai fini del TFR;

che la Corte ha altresì respinto l’appello incidentale interposto dall’Ente Autonomo Volturno S.r.l. (già Circumvesuviana S.r.l.) avverso la stessa sentenza, con il quale si lamenta la erroneità della decisione nella parte in cui non ha accolto la domanda riconvenzionale, proposta dalla società datrice, diretta ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente percepite dal lavoratore a titolo di indennità di agente unico;

che per la cassazione della sentenza ricorre la S.r.l. Ente Autonomo Volturno affidandosi ad un motivo;

che R.M. è rimasto intimato;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione di legge – violazione e falsa applicazione della regola di diritto di cui all’art. 2697 c.c.” e si lamenta che i giudici del gravame avrebbero erroneamente disatteso l’appello incidentale interposto dalla società “con una laconica motivazione” che attiene alla mancata prova, da parte della società datrice, di avere corrisposto al dipendente somme in misura superiore rispetto a quanto avrebbe dovuto erogare; al riguardo, la S.r.l. Ente Autonomo Volturno rappresenta che “per la verità non è stato mai contestato dal ricorrente nel corso del giudizio innanzi al Tribunale che la (allora) Circumvesuviana avesse corrisposto a far data dall’1.1.1991 e sino alla data di incardinamento del giudizio di primo grado un importo superiore a quello dovuto, in base al limite fissato dall’ultima Delib. G.R. intervenuta in materia, la n. 9240 de 1986”; che tale circostanza, “dedotta dalla Circumvesuviana sin dalla costituzione in giudizio innanzi al Tribunale, trova una puntuale conferma nel contenuto delle stesse argomentazioni svolte dal lavoratore al fine di contrastare la domanda di restituzione delle somme indebitamente percepite”; che, “anche nel ricorso depositato innanzi alla Corte di Appello di Napoli, il lavoratore non contestava la circostanza che la società datrice di lavoro corrispondesse, dal 1991, un importo pari a lire 4.073 (ovvero Euro 2,10 a far data dall’entrata in vigore dell’Euro)”; che, a parere della S.r.l. Ente Autonomo Volturno, lo stesso ricorrente avrebbe “documentato” e non avrebbe “disconosciuto il fatto che Circumvesuviana, sin dall’1.1.1991, avesse corrisposto un importo superiore a quello cristallizzato nella Delib. Giunta Regionale n. 9240 del 1986”; che da ciò, secondo la prospettazione della società ricorrente, discenderebbe “l’erroneità della motivazione dei Giudici” di merito “posta a sostegno della non meritevolezza della domanda riconvenzionale spiegata dalla società resistente”;

che il motivo è inammissibile sotto diversi e concorrenti profili; premesso, infatti, che la società lamenta la mancata restituzione, da parte del lavoratore, di somme asseritamente erogate in eccedenza; che la Corte di Appello ha respinto l’appello incidentale, perchè ha ritenuto la pretesa sguarnita di prova; che, nella sostanza, con il mezzo di impugnazione articolato, si richiede un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede, e si fa riferimento a documentazione che non viene prodotta; va osservato che la prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009): la qual cosa non è avvenuta nella fattispecie, in cui la parte ricorrente ha, in modo generico, contestato la decisione oggetto del presente giudizio, sulla base di un asserito e non delibato riconoscimento, da parte del R., di avere ricevuto somme “in eccesso rispetto a quelle effettivamente spettanti”;

che, peraltro, nel motivo, articolato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – ed in cui si deduce la “violazione e falsa applicazione della regola di diritto di cui all’art. 2697 c.c.” -, il ricorrente censura, invece, la “motivazione laconica ed erronea” della Corte di merito in ordine al fatto che “la società non aveva dimostrato, come era suo onere, ex art. 2697 c.c., di aver corrisposto al dipendente somme in misura superiore rispetto a quanto avrebbe dovuto erogare”: e ciò è inammissibile per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile, ratione temporis, al caso di specie poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 30.12.2013;

che, inoltre, nel motivo (alle pagg. 12, 13 e 14), si asserisce che il lavoratore non avrebbe mai contestato, nel corso dei giudizi di merito, il fatto che gli sarebbero state erogate somme superiori a quelle dovute, in base al limite fissato “dall’ultima Delib. Giunta Regionale intervenuta in materia, n. 9240 del 1986” e si fa, inoltre, riferimento agli Accordi Aziendali del 15.12.1975 e del 17.12.2003, non prodotti (e neppure indicati nella lista dei documenti offerti in comunicazione, elencati nel ricorso per cassazione), nè trascritti, in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014, cit.). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità della doglianza svolta dal ricorrente;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che nulla va disposto in ordine alle spese, non avendo il R. svolto attività difensiva;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2019

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