Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23392 del 19/09/2019

Cassazione civile sez. II, 19/09/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 19/09/2019), n.23392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15576/2015 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA REGINA

MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CAMPI,

rappresentato e difeso dall’avvocato TOBIA RENATO BINETTI;

– ricorrente –

contro

SIM SOCIETA’ IMMOBILIARE MANZONI SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

A. CARONCINI 6, presso lo studio dell’avvocato GENNARO CONTARDI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ATTILIO DORIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 546/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con tre distinti contratti preliminari datati 10.7.1977, 15.12.1977 e 18.5.1978 la SIM Società Immobiliare Manzoni s.r.l. (di seguito solo SIM) prometteva di vendere ad F.A., che prometteva di acquistare, distinte e costruende unità immobiliari site in (OMISSIS).

Dichiarato dal Tribunale di Bari il fallimento di F.A. con sentenza del 3.6.1985, con citazione dell’1.2.1989 la SIM agì in giudizio contro il fallimento ai sensi dell’art. 2932 c.c.. Tale causa fu definitiva con transazione nel settembre del 1994 “con atto di reciproca rinuncia e senza riconoscimento di alcuna pretesa” (così nella narrativa della sentenza impugnata).

Quindi, con citazione del 18.6.2002, preceduta da una altra citazione notificata in data 3.12.1996 intesa al rilascio degli immobili promessi e ancora occupati dal F., la SIM convenne in giudizio quest’ultimo affinchè fosse dichiarata la prescrizione del diritto di lui alla stipula dei contratti definitivi (in subordine, agiva altresì per la risoluzione dei contratti per inadempimento).

Nel resistere in giudizio F.A. proponeva domanda riconvenzionale di usucapione dei medesimi immobili e, con separata citazione, chiedeva (nuovamente la declaratoria di usucapione ed anche) l’emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c..

Riunite le due cause, il Tribunale di Bari, in accoglimento della domanda di tesi della SIM, dichiarava prescritto il diritto del F. alla stipula del definitivo di vendita e rigettava le domande di quest’ultimo.

L’appello proposto dal F. era respinto dalla Corte distrettuale di Bari, con sentenza n. 546/15.

Applicata la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia, i giudici d’appello osservavano che la prescrizione del diritto di stipulare il definitivo di vendita non era stata sospesa dal fallimento, potendo essere esercitato il relativo credito o dalla curatela o dallo stesso fallito in caso di inerzia degli organi fallimentari.

Rilevava, quindi, la Corte territoriale che la transazione fra la SIM e la curatela fallimentare non aveva implicato alcun riconoscimento del diritto del F., chè anzi ogni riconoscimento delle rispettive pretese era stato letteralmente ed esplicitamente escluso dalle parti.

Quanto alla domanda di usucapione, escludeva, in espressa adesione al principio enunciato da Cass. S.U. n. 7930/08, che il godimento degli immobili da parte del F. potesse qualificarsi come possesso.

E, infine, per la pura ipotesi che nella fattispecie si potesse ravvisare un atto d’interversio possessionis in favore del F., osservava che la possessio ad usucapionem doveva ritenersi senz’altro interrotta dalla domanda di rilascio che, espressa nelle forme di cui agli artt. 1165 e 2943 c.c., la SIM aveva notificato a lui nel 1996 (e quindi prima che si compisse il ventennio dall’epoca dei contratti preliminari).

La cassazione di tale sentenza è chiesta da F.A. sulla base di due motivi.

Ai quali resiste con controricorso la SIM, che ha altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2932 e 2941 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Deduce il ricorrente che il F., dal 3.6.1985, data di dichiarazione del suo fallimento, fino al 18.3.1998, data in cui fu chiusa la procedura fallimentare, è stato privato della capacità di agire in giudizio e, quindi, impossibilitato a far valere i diritti di credito nascenti dai contratti preliminari, con conseguente sospensione del termine prescrizionale. Inoltre, sostiene, detto termine è stato interrotto dal fatto di aver la SIM riconosciuto in più occasioni il diritto del F. all’esecuzione dei preliminari: e cioè nel 1994 allorchè essa propose all’amministrazione fallimentare una soluzione transattiva alla lite pendente con la stessa, sul presupposto che la curatela avesse diritto a conseguire il trasferimento dei beni; il 13.12.1999 quando notificò al F. un ricorso per sequestro giudiziario (rinotificato il 3.1.2000); e, più indietro nel tempo, il 18.5.1987 allorchè notificò alla curatela fallimentare un atto di messa in mora ai sensi della L. Fall., art. 72, affinchè manifestasse la volontà di subentrare o meno nei contratti preliminari.

1.1. – Il motivo è manifestamente infondato in ciascuna delle censure in cui articola.

1.1.1. – Quanto alla dedotta sospensione della prescrizione, va ribadito che gli artt. 2941 e 2942 c.c., non prevedono, quanto ai diritti del fallito verso i suoi debitori ovvero sui beni compresi nel fallimento, che, tra il fallito e i terzi, la prescrizione rimanga sospesa per la durata del fallimento, atteso che i diritti del fallito possono essere esercitati dal curatore, e, in caso di inerzia di quest’ultimo, il fallito è, in via eccezionale, legittimato ad agire per far valere i suoi diritti senza che i terzi possano opporgli la sua incapacità processuale, prevista esclusivamente a tutela dell’interesse della massa dei creditori (Cass. nn. 14737/16 e 396/07).

1.1.2. – In ordine alla pretesa interruzione, escluso qualsivoglia rilievo all’intimazione L. Fall., ex art. 72, perchè ultradecennale rispetto alla citazione del 18.6.2002, deve rilevarsi che in tema di prescrizione, le trattative per comporre bonariamente la vertenza, non avendo quale precipuo presupposto l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria, e non rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui ai sensi dell’art. 2944 c.c., non hanno efficacia interruttiva, nè possono importare rinuncia tacita a far valere la prescrizione medesima, perchè non costituiscono fatti incompatibili in maniera assoluta – senza, cioè, possibilità alcuna di diversa interpretazione – con la volontà di avvalersi della causa estintiva dell’altrui diritto, come richiesto dall’art. 2937 c.c., comma 3, a meno che dal comportamento di una delle parti non risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito, e si accerti che la transazione è mancata solo per questioni attinenti alla liquidazione del credito e non anche all’esistenza di tale diritto (Cass. nn. 27930/11, 17016/10 e 5327/07). Pertanto, le trattative di amichevole composizione possono comportare l’interruzione della prescrizione, ex art. 2944 c.c., quando dal comportamento di una delle parti risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito e la transazione sia mancata solo per questioni attinenti alla liquidazione, ma non anche all’esistenza, del diritto, sicchè, a fortiori, l’effetto interruttivo si realizza quando le trattative abbiano avuto ad oggetto esclusivamente la liquidazione del quantum e si siano svolte in circostanze e con modalità tali da implicare l’ammissione del diritto stesso (Cass. n. 18879/15).

Nello specifico la Corte territoriale ha accertato, con valutazione in fatto in sè non censurata nè del resto censurabile in questa sede di legittimità, che la causa tra la SIM e la curatela del fallimento del F. fu definita transattivamente nel settembre del 1994 con atto di reciproca rinuncia e senza riconoscimento di alcuna pretesa, così escludendo “letteralmente ed esplicitamente (…) ogni riconoscimento dell’altrui diritto”. Accertamento, questo, in linea con la corretta interpretazione dell’art. 2944 c.c., come sopra precisata.

Quanto, poi, al preteso atto interruttivo della notifica di un ricorso per sequestro giudiziario, in disparte la novità della questione, che non risulta oggetto di trattazione nella sentenza impugnata, è sufficiente rilevare che: a) nulla, a stregua della criptica deduzione di parte ricorrente, autorizza a ritenere che una tale notifica implicasse riconoscimento del diritto di credito derivante dai prefati contratti preliminari; e b) proprio il tipo di domanda cautelare proposta lascia intendere, semmai, l’esatto contrario, ossia una controversia sulla proprietà o sul possesso (espressione che ai fini dell’art. 670 c.p.c., n. 1, include anche la detenzione), e dunque una negazione implicita del diritto del F. a conseguire la proprietà dei beni che aveva promesso di acquistare.

2. – Col secondo mezzo d’annullamento è dedotta la violazione dell’art. 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Lamenta parte ricorrente che la Corte territoriale, nell’escludere il possesso dei beni in contesa, si sia fermata alla mera terminologia impiegata dalle parti nei preliminari, senza considerare che l’anticipata trasmissione del godimento degli immobili, con “gli oneri, gli obblighi, le spese e tutti i rischi…”, implicava il trasferimento del possesso di fatto, contrapposto a quello di diritto che sarebbe derivato solo con la stipula del contratto definitivo di vendita. Richiama, inoltre, giurisprudenza di questa Corte (n. 7690/93), “incredibilmente ignorata” dal “Tribunale” (v. pag. 22), sulla configurabilità di una possessio ad usucapionem nel caso di consegna anticipata del bene promesso.

Deduce, ancora, il ricorrente che la Corte distrettuale non avrebbe considerato le svariate prove a dimostrazione del possesso esercitato; e che sarebbe erronea l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il termine ventennale per l’usucapione sarebbe stato interrotto dalla citazione notificata il 3.12.1996 dalla SIM, atteso che con tale atto la SIM aveva dedotto che il F. esercitava una detenzione precaria dei beni, cioè l’opposto del possesso che si volesse contestare.

2.1. – Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

2.1.1. – Inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, perchè il ricorrente, nell’affermare che il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, avrebbero “incredibilmente” ignorato Cass. n. 7690/93, non considera in alcun modo la pronuncia di Cass. S.U. n. 7930/08 (che essendo stata resa a composizione del contrasto giurisprudenziale insorto in materia, ha superato l’anzidetto precedente contrario), ancorchè expressis verbis richiamata dalla e posta a base della decisione d’appello (v. pag. 5 sentenza impugnata).

2.1.2. – Infondato quanto ai restanti profili.

Escluso, in virtù della citata sentenza delle S.U., che il potere di fatto esercitato dal F. potesse, in difetto di interversione, qualificarsi come possesso, trattandosi piuttosto di detenzione, giustamente la Corte territoriale non ha attribuito rilievo alcuno alle modalità attraverso cui quest’ultima si è estrinsecata.

Infine, sebbene assorbita dalla reiezione delle due precedenti censure del motivo in esame, anche la terza critica – è appena il caso di osservare – non ha pregio alcuno. Proprio perchè intesa ad accertare che il F. detenesse in via precaria i beni in oggetto, la domanda giudiziale della SIM in data 3.12.1996 è la più icastica contestazione del preteso possesso dell’odierno ricorrente, ed è dotata, pertanto, di altrettanto indiscutibile efficacia interruttiva ai sensi dell’art. 1165 c.c..

3. – Da ultimo deve rilevarsi che a pag. 24 del ricorso si legge, testualmente: “Il distinguo (non è esattamente chiaro rispetto a cosa: n.d.r.), d’altronde, fu nettamente delineato dalla sentenza di Codesta Ecc.ma Corte n. 406/00 inter partes, passata in giudicato, che rigettò la domanda proposta dalla SIM con citazione 3.12.1996, escludendo la precarietà del godimento esercitato dal F. e affermando in positivo il suo diritto a conservare il godimento stesso “fino a quando il rapporto obbligatorio derivante dal preliminare non venga risolto””.

Orbene: a) la sentenza n. 406/00 di questa Corte Suprema riguarda altre parti ed altra questione; b) tra le odierne parti in causa non risulta essere stata emessa alcuna sentenza di questa Corte; c) nel giudizio di cassazione l’esistenza del giudicato esterno intervenuto nelle more del giudizio di merito, senza tempestiva deduzione in quella sede, non è nè rilevabile d’ufficio nè deducibile per la prima volta dalla parte (cfr. Cass. nn. 21170/16 e 25401/15); e d) neppure da quanto ermeticamente allega il ricorrente risulta essersi mai formato un giudicato affermativo il suo possesso.

4. – Il ricorso va dunque respinto, ponendo le spese, liquidate come in dispositivo, a carico del ricorrente.

5. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 5.500,00, oltre accessori di legge e spese generali forfettarie nella misura del 15%.

Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2019

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