Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23389 del 24/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/08/2021, (ud. 19/05/2021, dep. 24/08/2021), n.23389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20464-2018 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CHIARA SOZZI, MARIA

SONIA VULCANO e GIUSEPPE ZIZZO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10/2018 della COMM. TRIB. REG. LIGURIA,

depositata il 02/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/05/2021 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. C.L. propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 10 del 2.1.2018, con la quale la commissione tributaria regionale della Liguria, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento di classamento e rendita catastale notificatogli dall’agenzia delle entrate – in esito a dichiarazione Docfa 30.9.2013 – con riguardo ad un immobile abitativo da lui posseduto in (OMISSIS) (variato da A2, cl. 4, Euro 2949,49 ad Al, cl. 3, Euro 3919,91).

La commissione tributaria regionale, per quanto qui ancora rileva, ha osservato che:

– come già ritenuto dai primi giudici, l’avviso in questione doveva ritenersi sufficientemente motivato poiché facente richiamo alla comparazione con immobili di analoghe caratteristiche;

– quanto alla attribuzione della categoria signorile A1, non risultava violato il D.M. n. 701 del 1994, anche considerata la effettiva dimensione dell’immobile (superiore a 240 m2) così come attestata dagli stessi documenti catastali presentati dalla parte contribuente.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

Il ricorrente ha depositato memoria.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il C. lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento, nonostante che quest’ultimo fosse privo dell’indicazione degli elementi di fatto e delle ragioni giuridiche della classificazione, risolvendosi piuttosto in una motivazione meramente apparente di sola indicazione delle fonti normative di riferimento. Ne’ l’amministrazione finanziaria poteva integrare la motivazione mancante mediante produzioni documentali in corso di causa.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

L’indirizzo di legittimità in punto motivazione degli atti di classamento ed attribuzione di rendita catastale conseguenti a procedura partecipativa Docfa è andato consolidandosi, nel senso che: “qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993, e dal D.M. n. 701 del 1994, (cd. procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati”; là dove, in caso contrario – e cioè nell’ipotesi in cui la discrasia non derivi dalla stima del bene ma dalla divergente ricostruzione degli elementi di fatto indicati dal contribuente – “la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (tra le molte, Cass. n. 12497 del 2016, Cass. n. 12777 del 2018, Cass. n. 31809 del 2018).

Orbene, nel caso di specie è lo stesso contribuente ad evidenziare come l’attribuzione della rendita contestata sia stata conseguente a procedura Docfa avviata nel settembre 2013 dal proprio dante causa, e come nell’avviso di accertamento in questione – facente riferimento al criterio comparativo utilizzato per la riclassificazione – l’amministrazione finanziaria non abbia variato la consistenza fattuale in sé dei luoghi così come esposta dalla parte nella sua proposta, salvo addivenire ad una diversa stima economica e di mercato di quella medesima consistenza fattuale, al fine di renderla omogenea a quella di unità immobiliari similari.

Come correttamente considerato dai giudici di primo e di secondo grado, nella concretezza della fattispecie ciò doveva ritenersi sufficiente, sul piano motivazionale, a porre il contribuente in condizione di espletare fin dal ricorso introduttivo (come poi è in effetti avvenuto) ogni compiuta difesa in fatto ed in diritto avverso la più onerosa classificazione.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della normativa sul classamento catastale ed attribuzione di rendita (D.M. n. 701 del 1994, D.M. 2 agosto 1969; D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 6 e 7, R.D.L. n. 652 del 1939, art. 8). Per avere la commissione tributaria regionale desunto la fondatezza della classificazione come “signorile” dell’immobile in oggetto (A1) senza valutare il complesso delle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche, ma limitandosi al solo dato della superficie in applicazione di una disciplina sugli immobili “di lusso” (D.M. 2 agosto 1969, cit.) in realtà estranea alla materia.

p. 3.2 Il motivo è infondato.

Va premessa, in effetti, l’autonomia della disciplina catastale che delinea l’immobile classificabile come “signorile” rispetto a quella che definisce, a fini non catastali ma di agevolazione fiscale (“prima casa”), l’immobile “di lusso” ai sensi del citato D.M. LLPP del 1969.

Si è in proposito recentemente ribadito (Cass. n. 2250 del 2021, ma così già Cass. n. 23235 del 2014 ed altre) che: “in tema di estimo catastale, in assenza di una specifica definizione legislativa delle categorie e classi, la qualificazione di un’abitazione come “signorile”, “civile” o “popolare” corrisponde alle nozioni presenti nell’opinione generale in un determinato contesto spazio-temporale e non va mutuata dal D.M. 2 agosto 1969, atteso che il procedimento di classamento è volto all’attribuzione di una categoria e di una classe e della relativa rendita alle unità immobiliari, mentre la qualificazione in termini “di lusso”, ai sensi del citato d. m., risponde alla finalità di precludere l’accesso a talune agevolazioni fiscali”.

Ciò non consente tuttavia di accogliere il motivo di ricorso in esame dal momento che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, la commissione tributaria regionale nella sentenza impugnata non ha affatto basato il proprio convincimento di congruità della classificazione in Al sul solo elemento della superficie come astrattamente riferibile proprio a quel DM, fondandolo invece sull’insieme dei parametri già esaminati dal primo giudice e recepiti per relationem.

Si legge infatti nella sentenza dei giudici regionali che: “correttamente i primi giudici hanno osservato che l’attribuzione della categoria catastale è avvenuta per comparazione con immobili aventi analoghe caratteristiche, diversi dei quali nello stesso edificio, come ha documentato l’agenzia producendo il prospetto delle varie unità immobiliari del caseggiato”.

L’elemento della superficie ha dunque svolto, nel convincimento della commissione tributaria regionale, un ruolo non esclusivo ed assorbente, bensì concorrente ed interdipendente con gli altri elementi, a loro volta desunti dalla comparazione con immobili analoghi e, in particolare, con immobili siti nello stesso edificio, perlopiù accatastati in categoria A1.

Nel rievocare i fatti del giudizio, la commissione tributaria regionale ha anche meglio precisato gli accertamenti fattuali svolti dal primo giudice ai quali essa ha ritenuto di doversi conformare, posto che (sent. pag.2): “dall’elenco degli immobili allegato al procedimento e relativo agli appartamenti siti in (OMISSIS), particella (OMISSIS), risulta che la maggior parte di quelli che hanno una consistenza analoga a quella dei ricorrenti, consistenza vani 11,5, hanno attribuita la categoria A1”, Aggiungendo inoltre che già i primi giudici avevano rilevato: “come l’immobile del contribuente insista su una zona di altissimo valore immobiliare della città che ha mantenuto le caratteristiche originarie ed ha una superficie catastale di 256 m2 disposti su vani di ampia superficie, non rilevando la circostanza che l’immobile sia situato in una zona trafficata, in quanto caratteristica scontata delle zone centrali”.

Sono esattamente questi i parametri di convincimento fatti propri nella sentenza qui impugnata i quali, come è evidente, vanno ben oltre il richiamo al solo elemento costituito dalla superficie.

Ciò posto, il motivo di ricorso in esame si dimostra per il resto finanche inammissibile nella parte in cui, attraverso la deduzione di una asserita violazione normativa, mira piuttosto a suscitare una nuova valutazione fattuale ed estimativa della tipologia e delle caratteristiche dell’immobile in questione, certamente non richiedibile nella presente sede di legittimità. Il che è reso tanto più evidente dal richiamo in ricorso delle varie contestazioni dal contribuente mosse fin dall’atto introduttivo del giudizio, e concernenti appunto una diversa considerazione di merito di queste caratteristiche assunte nella loro concretezza e contestualizzazione.

Ne segue pertanto il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, tenutasi con modalità da remoto, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021

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