Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23389 del 19/09/2019

Cassazione civile sez. II, 19/09/2019, (ud. 17/05/2019, dep. 19/09/2019), n.23389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.A., rappresentato e difeso dagli Avvocati Gianfranco

Pagano e Roberta Laura Quercioli;

– ricorrenti –

contro

C.C., rappresentata e difesa dall’Avvocato Teodorico

Delfini;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Genova n.

126/2015, pubblicata in data 29 gennaio 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17 maggio 2019 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – C.C. chiedeva la restituzione dell’immobile sito in (OMISSIS), dalla medesima trasferito ad B.A. per atto notaio G.V. di (OMISSIS) in data 28 luglio 2009, allegando vizi genetici e funzionali del negozio traslativo, idonei a determinare, in tesi, la nullità, l’annullabilità o l’inefficacia del suo trasferimento o, quanto meno, la sua risoluzione per inadempimento della controparte.

Deducendo che l’immobile era stato trasferito dal B. alla società immobiliare Las Vegas Games, della quale egli era legale rappresentante, essa evocava in causa anche la società suddetta, che restava contumace.

Il B. si costituiva, resistendo. Il convenuto contestava il fondamento delle domande, invocando l’efficacia e la ritualità della quietanza contenuta nell’atto traslativo, a riprova del proprio adempimento e della sussistenza della causa lecita del negozio.

2. – Istruita la causa con documenti e prove orali, il Tribunale di Genova, con sentenza depositata in data 27 giugno 2013, dichiarava inammissibile la riconvenzionale tardivamente introdotta dal B., affermava che il prezzo non risultava pagato, inquadrava il contratto nella figura del negozio traslativo con funzione di garanzia, reale, della restituzione del denaro mutuato, messo a disposizione della C. dal B., dichiarava altresì che il trasferimento immobiliare celava un patto commissorio, nullo ai sensi dell’art. 2744 c.c., e ne faceva discendere la nullità dell’atto traslativo, con affermazione del diritto della C. ad ottenere la retrocessione dell’immobile, e del B. ad ottenere i titoli che egli aveva consegnato in pagamento; non assumeva pronunce restitutorie, in difetto di specifica domanda in proposito. Dalla nullità del primo atto traslativo il Tribunale faceva discendere la nullità o l’inefficacia del secondo atto, in favore della società, amministrata e partecipata dal B..

3. – La Corte d’appello di Genova, con sentenza in data 29 gennaio 2015, ha dichiarato inammissibile l’appello del B., in quanto privo di alcuna censura specifica e non avente i caratteri richiesti dall’art. 342 c.p.c..

La Corte distrettuale ha rilevato che il gravame, senza in alcun modo censurare la pronuncia appellata, si è limitato a riprodurre il contenuto della conclusionale depositata nel primo grado dal convenuto, omettendo di indicare le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto e alla individuazione delle norme applicabili, tautologicamente ripercorrendo il contenuto delle prove orali acquisite, senza neppure specificare la ratio della domandata modificazione.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 luglio 2015, sulla base di un motivo.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della controricorrente sul rilievo della omessa proposizione dell’impugnazione per cassazione entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza. L’eccezione è basata sulla deduzione che in data 2 febbraio 2015 la sentenza della Corte d’appello sarebbe stata notificata telematica-mente al procuratore (in allora) del ricorrente, laddove il ricorso per cassazione è stato notificato soltanto il 29 luglio 2015, oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza de qua.

1.1. – L’eccezione va disattesa.

Deve essere senz’altro confermato, in punto di diritto, il principio, già enunciato da questa Corte, secondo cui la notificazione con modalità telematica, ai sensi della L. n. 53 del 1994, artt. 3-bis e 11, della sentenza, effettuata ad un indirizzo di PEC risultante dai pubblici elenchi di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16-ter, convertito con modificazioni nella L. n. 221 del 2012, è idonea a determinare la decorrenza del termine breve di cui all’art. 326 c.p.c. (Cass., Sez. U, 28 settembre 2018, n. 23620; Cass., Sez. lav., 25 maggio 2018, n. 13224).

Sennonchè, nella specie, dalla relata di notifica ai sensi della citata L. n. 53 del 1994, prodotta dalla controricorrente, emerge per tabulas che la notifica effettuata telematicamente dall’Avvocato Teodorico Delfini, difensore della C., all’Avvocato Filippo Zanasi, difensore, nel giudizio di appello, del soccombente B., ha ad oggetto la “sentenza Corte di appello Genova n. 1266/2015”, mentre la sentenza cui si riferiscono il giudizio e l’impugnazione è la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 126/2015.

La diversità tra la sentenza impugnata (con ricorso notificato nel rispetto del termine lungo di sei mesi) e la sentenza che dalla depositata ricevuta di avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica risulta notificata, non consente di applicare, al proposto ricorso per cassazione, il termine breve decorrente dal compimento della notifica telematica.

2. – Con l’unico motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., per avere la Corte d’appello affermato che l’atto di citazione in appello non soddisfa i requisiti richiesti da tale norma. Ad avviso del ricorrente, l’atto di appello evidenzierebbe invece la debolezza dell’impianto motivazionale della sentenza di primo grado, ripercorrendo tutte le risultanze testimoniali e d’interrogatorio formale per dimostrare come le stesse non consentano le conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale.

2.1. – Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 16 novembre 2017, n. 27199), l’art. 342 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, va interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

Nella specie, dall’esame diretto dell’atto di citazione in appello (cui è possibile accedere, essendo denunciato un vizio in procedendo) si ricava che esso si risolve in una ripetizione della comparsa conclusione di primo grado.

L’atto introduttivo del gravame, infatti, riepiloga: ciò che ha ammesso il B. in sede di interrogatorio; il contenuto delle dichiarazioni della C.; le deposizioni dei testi S.G., Ca.Ma., D.G.A.M.. Inoltre indica “i fatti certi, come emergono dalle prove orali e documentali”; sostiene che “nessuna delle circostanze su cui parte attrice vuole fondare le sue domande è invece stata provata”; e conclude – “per effetto di quanto sopra esposto” – nel senso che “nessuna delle domande attrici merita accoglimento”, sottolineando che “la parte attrice non ha fornito la benchè minima prova in ordine alla situazione debitoria che avrebbe costituito, a suo dire, il vero e unico movente della compravendita con il B.”.

Solo nella parte finale dell’atto di appello il B. afferma, con una formula avente il significato di clausola di stile, che “per tutte queste ragioni la sentenza di primo grado è nulla in quanto carente di valida motivazione giuridica e in fatto”.

In nessun altro punto l’appellante si riferisce, per specificamente contestarla, alla sentenza di primo grado e alle rationes che ne sostengono il decisum: nessuna argomentazione critica è rinvenibile rispetto alla conclusione alla quale è pervenuto il Tribunale, il quale – dopo avere condiviso le osservazioni della difesa della C. in punto di diversa affidabilità dei testi Ca. e S. – ha affermato che, nelle circostanze di tempo e di luogo indicate da quest’ultimo testimone, “è stato stipulato un accordo con il quale il bene immobile di (OMISSIS), immediatamente trasferito al B., fungeva da garanzia reale del mutuo messo a disposizione della C., e pertanto si è in presenza di un autentico patto commissorio che accede al trasferimento immobiliare”.

Ne deriva che correttamente la Corte di Genova, non essendo stata posta in condizione di comprendere con chiarezza il contenuto della censura proposta, ha dichiarato inammissibile l’appello.

L’atto di gravame proposto, infatti, non contiene la chiara ed inequivoca indicazione delle censure mosse alla pronuncia appellata, nè in punto di ricostruzione del fatto nè di valutazione giuridica, e non evidenzia gli argomenti da contrapporre a quelli indicati dal primo giudice.

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,

seguono la soccombenza.

4. – Poichè il B. è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato al fine di ricorrere dinanzi alla Corte di cassazione, va fatta applicazione del principio secondo cui il ricorrente in cassazione ammesso al patrocinio a spese dello Stato non è tenuto, in caso di rigetto dell’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass., Sez. Lav., 2 settembre 2014, n. 18523; Cass., Sez. VI-5, 22 marzo 2017, n. 7368).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 8.200, di cui Euro 8.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2019

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