Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23387 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 06/10/2017, (ud. 12/09/2017, dep.06/10/2017),  n. 23387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 27232 del ruolo generale dell’anno

2011 proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

s.r.l. Maber Impianti, in persona del legale rappresentante pro

tempore

– intimata –

e nei confronti di:

s.p.a. Equitalia Nomos, in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, sezione 4, depositata in data 21 settembre

2010, n. 71/2010.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate, per quanto ancora d’interesse, recuperò maggiore materia imponibile nei confronti della società contribuente. Prendendo le mosse dal processo verbale di constatazione del 18 giugno 2004, contestò:

– ai fini Iva, in relazione agli anni d’imposta 2001 e 2002, l’indebita detrazione dell’imposta, in quanto concernente prestazioni di servizi scaturenti da contratti di appalto, che in realtà schermavano mere intermediazioni di manodopera, svolte in violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, nonchè l’omessa contabilizzazione di operazioni di vendita emergenti da documentazione extracontabile contenente ripeiloghi di vendite;

– ai fini dell’Iva e delle imposte dirette, quanto agli d’imposta 2003 e 2004, ricavi ed operazioni non contabilizzati risultanti dalla suddetta documentazione extracontabile.

La società impugnò i relativi avvisi, senza successo in primo grado.

Di contro, la Commissione tributaria regionale ha accolto il successivo appello della contribuente. Ha sostenuto che l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto esibire la copia integrale del processo verbale di constatazione, con tutti gli allegati e la documentazione in esso richiamati; non avendovi proceduto, non si era potuto procedere a verificare la gravità, precisione e concordanza delle presunzioni poste a fondamento della pretesa impositiva.

Contro questa sentenza l’Agenzia propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui non v’è replica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con i primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, l’Agenzia, in entrambi i casi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 e art. 324 c.p.c., là dove il giudice d’appello ha ritenuto che i fatti indicati nel processo verbale del giugno 2004 non fossero provati in mancanza di produzione del verbale. Ciò perchè sarebbero mancati specifici motivi d’impugnazione dei capi della sentenza con la quale il giudice di primo grado aveva per un verso ravvisata la sussistenza dell’intermediazione e per altro riscontrato la mancanza di tracce della merce nei libri acquisto, escludendo la sussistenza di prove contabili dell’affermata inversione tra vendita ed acquisto.

1.1.- In definitiva, con le due censure in questione l’Ufficio deduce la parziale acquiescenza della società alla sentenza di primo grado, derivante dall’omessa impugnazione dei suindicati capi della sentenza di primo grado.

2.- La censura è infondata.

A norma dell’art. 329 c.p.c., comma 2, applicabile al processo tributario in virtù del richiamo operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, “l’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate”.

2.1.- Perchè, tuttavia, un tale effetto si verifichi (determinando la c.d. acquiescenza impropria o acquiescenza tacita qualificata) occorre che le parti della sentenza non impugnate siano autonome e non già dipendenti da quella che è oggetto dell’impugnazione; il che può accadere soltanto se la sentenza impugnanda contenga più capi contro i quali la parte ha interesse a proporre impugnazione (così, tra varie, Cass., ord. 24 maggio 2017, n. 13047).

2.2.- Tale presupposto non si può ravvisare nel caso in esame, in cui secondo quanto emerge dall’appello, integralmente trascritto in ricorso, la società aveva contestato la sentenza di primo grado perchè il giudice non si era accorto dell’assenza e fragilità” dell’impianto probatorio, anche a causa della mancata allegazione del processo verbale di constatazione e dei suoi allegati.

Sicchè le statuizioni su cui punta l’Agenzia e che assume non impugnate non riescono ad identificare autonome ragioni del decidere.

I due motivi vanno quindi respinti.

3.- Inammissibile è, poi, il terzo motivo di ricorso, col quale l’Ufficio lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., là dove il giudice d’appello ha desunto dall’omesso deposito del verbale la mancanza di prova della pretesa impositiva.

Non di violazione dei criteri di riparto dell’onere probatorio si tratta, bensì di valutazione del materiale probatorio, l’erronetà della quale rimane a questi estranea.

4.- Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva.

PQM

 

la Corte:

rigetta i primi due motivi di ricorso e dichiara inammissibile il terzo.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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